Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze, Norberto Bobbio

La patria perduta

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Una cosa sola avevo stabilmente acquisito: che l’insieme e la successione delle cose date che costituiscono di fatto la nostra vita è un vicolo cieco, per vasto e accessibile che possa a prima vista sembrare.
Sono gli angusti e occulti sentieri a ricondurci nella patria perduta: ciò che con fine, quasi invisibile scrittura sta inciso nel nostro corpo e non l’orribile cicatrice che vi lascia la raspa dell’esteriorità della vita, nasconde la soluzione degli ultimi segreti.

Compresi che così come potrei ritrovarmi nei giorni della mia giovinezza, se nell’abbecedario prendessi a fare a ritroso l’alfabeto dalla Z alla A, sino ad arrivare al punto in cui a scuola incominciai ad apprendere, analogalmente avrei dovuto poter tornar in quell’altra, lontana patria che è di là da ogni concepibile pensiero.

Come Ercole era riuscito a sottrarsi alla sua sorte con l’astuta preghiera rivolta ad Atlante: “Consentitemi che mi faccia un cercine, in modo che quest’orribile peso non mi spacchi il cervello”, intravidi che anche per me doveva esserci una qualche oscura via per fuggire da queste irte scogliere.

Compresi che nel “sentire” le lettere di un libro, e non nel leggerle semplicemente – nel collocare in se stessi come un interprete che ci traduca quel che gli istinti van tacitamente sussurrando, in ciò dev’esser la che ci dischiude la chiara comprensione della nostra interiorità.

“Le circostenze esteriori che potrebbero come dicono giustificare il mio odio, o renderlo comprensibile ai cervelli dei giudici di mestiere, probabilmente non la interessano molto. I fatti sembrano pietre miliari, ma non sono che vuoti gusci d’uovo. Sono come la detonazione di una bottiglia di champagne alla mensa di un pescecane, che solo un imbecille potrebbe prendere per l’essenziale di un banchetto.”

Per anni io avevo pedestramente seguito e applicato l’erroneo principio dei pittori, che si debba studiare la natura esterna per poter attingere la creazione artistica; ma da quando Hillel quella notte m’aveva ridestato, mi si era dischiusa la visione interiore: la capacità di vedere dietro le palpebre chiuse, che subito cessa se si aprono gli occhi – dono che tutti credono di avere e che invece nessuno fra milioni realmente possiede.

Gustav Meyrink, Il golem, Bompiani, 2008.

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