Shanghai era l’unica destinazione per la quale non era richiesto il visto o il passaporto e, per questo motivo, divenne una meta ideale per gli esuli; oltre che la mecca di avventurieri e delinquenti attirati dai cinque continenti in quella capitale del vizio.
Il cambiamento dell’assetto politico del 1949, con il trasferimento dell’autorità da Chiang Kai/shek a Mao Zedong, pose dunque fine alla storia di Shanghai.
A scrivere il suo requiem fu il giornalista americano Edgard Snow, amico e biografo del futuro “timoniere”:
«Addio città luccicante di glamour, addio ricchezza pomposa che convive con orde di affamati. Addio ai cinesi eleganti nelle limousine blindate; ai gangstar e ai sicari, ai club esclusivi, alle fumerie d’oppio, alle puntate dei giocatori di mah-jong, alle grida dei festini e delle ubriacature; alle vetrine con le sete, le giade e le perle. Addio ai transatlantici bianchi ormeggiati nello Huangpu; ai conquistatori americani e giapponesi. Addio alla più malvagia e variopinta città d’Oriente. Tutto questo è finito.”
Vado a Shanghai a comprarmi un cappello, Bamboo Hirst, 2008.
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