Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze, Norberto Bobbio

Grani rossi e blu: il Regno delle Cause

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Niente, neanche stavolta. – Restarono immoti, fedeli alla loro forma. Troppo 
rigidi nella penombra che tutto avvolgeva perchè ciò potesse essere naturale.
“Sono anch’essi la medesima oppressione che sta schiacciando te. Non osavo fare il minimo movimento.”

Era un’orribile creatura grigia, larga di spalle, delle proporzioni di un uomo tarchiato, appoggiato a un nodoso bastone a spirale di legno bianco.

Dove avrebbe dovuto esserci la testa, non riuscivo a scorgere che un globo nebuloso di diafani vapori.
Un intenso odore di legno di sandalo e di ardesia bagnata emanava dall’apparizione.

I contorni del fantasma, stagliantisi spettrali nell’oscurità, si contraevano in modo appena percettibile e di nuovo si dilatavano, come a opera d’un lento respiro che pervadesse l’intera figura, unico movimento che fosse dato d’osservare. In luogo dei piedi, sul pavimento posavano ossei monconi, su cui la carne, grigia ed esangue, s’era ritratta all’insù in rigonfi concentrici.
Immota, la creatura mi tendeva la mano.
Piccoli grani posavano su quella mano, della grandezza di fagioli, rossi, con tanti punti neri ai margini.

Due piatti di bilancia, ognuno gravato dal peso di un emisfero del mondo, sono sospesi in qualche parte del Regno delle Cause, intuii – quello su cui gettassi un granellino, tracollerebbe al suolo.
Questo dunque l’orribile agguato che alitava all’intorno! Compresi. “Non muovere neppure un dito!” mi consigliò il mio intelletto, “dovesse la morte non venire per l’eternità a liberarmi da questo tormento.”
Anche così avresti fatto la tua scelta: avresti respinto i grani, udii mormorare dentro di me. Di qui non c’è ritorno.

Poi l’oscurità dissolse la mia distanza in uno spazio infinito e vuoto, al cui centro mi sapevo seduto sulla mia poltrona, con davanti ancora l’ombra grigia del braccio proteso.
E come apersi gli occhi, vidi tutt’intorno a noi degli esseri strani, disposti in due cerchi che s’intersecavano formando un otto.
Quelli del primo cerchio, in abiti dai riflessi violetti, quelli dell’altro vestiti di nero e rosso. Uomini di una razza straniera, di alta e naturalmente gracile complessione, i volti nascosti dietro fazzoletti lucenti.

La creatura grigia era sparita. E così le figure del cerchio rosso.
Quelle del cerchio blu, al contrario, si eran disposte ad anello intorno a me; sul petto avevano un’iscrizione in geroglifici d’oro e, mute, tenevan levate le braccia come in un giuramento, tra il pollice e l’indice sostenendo i rossi grani che avevo fatto volar via dalla mano dell’acefalo fantasma.

CHEBRAT ZEREH OR BOQER [Confraternita dei discendenti della luce del mattino]

Come giunsi al particolare dell’apparizione acefala che m’aveva teso dei grani rossi e neri, non potè quasi attendere la conclusione.
“Dunque, lei gliel’ha buttati via dalla mano. Non avrei mai pensato che ci potesse essere una terza via.
“Non fu una terza via,” dissi, “fu la stessa cosa che se avessi rifiutato i grani.”
Sorrise.
Se lei li avesse rifiutati, avrebbe anche percorso la strada della vita, ma i grani, che significano le forze magiche, non sarebbero rimasti. – Sono rotolati sul pavimento, lei dice. Ciò significa: sono rimasti qui e saranno custoditi dai suoi progenitori finchè non verrà il tempo della germinazione. Si vivificheranno allora le forze che adesso ancora sonnecchiano in lei.”
Non capii: “Saranno custoditi dai miei antenati?”
“Quel che lei ha vissuto, per un certo verso lo deve concepire simbolicamente. Il cerchio delle persone che irradiavano luce blu era la catena degli ‘io’ ereditari, che ogni nato di donna trascina con sè. L’anima non è nulla di ‘singolo’ – ha da diventarlo, e ciò si chiama allora ‘immortalità; la sua anima ancora si compone di molti ‘io’ – come un formicaio di molte formiche; lei porta in sè i resti psichici di migliaia e migliaia di progenitori – i ‘capi’ della sua razza. È così per tutti gli esseri. Come potrebbe un pulcino, covato artificialemente, cercarsi subito il cibo giusto, se non fosse in lui l’esperienza di milioni di anni? – L’esistenza dell’ ‘istinto’ rivela la presenza, nel corpo e nell’anima, dei progenitori.”

La differenza è che io ho preso i grani. Io dunque ho percorso la via della morte! Per me la cosa più sacra che possa pensare è di lasciar guidare i miei passi dallo Spirito. Ciecamente, fiducioso, dovunque la via voglia condurre: al patibolo o su un trono, alla povertà o alla ricchezza. Mai ho esitato, se la scelta era nelle mie mani.
Per questo non ho mai mentito quando ho potuto scegliere.
Conosce le parole del profeta Michea:
Detto ti è, uomo, quel che è bene,
e che cosa il Signore esige da te?
Se avessi mentito, avrei creato una causa, perchè avevo la scelta – quando commisi il delitto, non creai causa alcuna; non si liberò che l’effetto di una causa già da tempo innescata e in me sonnecchiante, sulla quale nessun potere io avevo.
Le mie mani sono dunque monde.
Avendo lo Spirito in me stesso lasciato ch’io divenissi un assassino, ha anche provocato un’esecuzione capitale nei miei riguardi; poichè gli uomini hanno legato la mia sorte al patibolo, essa si scioglierà dalla loro: io toccherò la libertà.”
È un santo, mi dissi, e i capelli mi si rizzarono in testa dal brivido che mi diede la coscienza della mia piccolezza.
“Lei mi ha raccontato di aver perduto per lungo tempo grazie a un intervento ipnotico che un medico operò nella sua coscienza la memoria della sua giovinezza. È questo il contrassegno – la stimma – di tutti coloro che sono stati morsi dal ‘serpente del regno dello spirito’. Sembra quasi che in noi, due vite debbano essere innestate l’una sull’altra, come un eletto ramoscello su un albero selvatico, prima che possa accadere il miracolo del risuscitamento.
Quel che in altri casi viene separato dalla morte, qui accade per estinzione della memoria – talvolta unicamente grazie a un improvviso rivolgimento interiore.
A me andò così. Apparentemente senza motivo esterno, a ventun anni, mi svegliai una mattina come trasformato. Ciò che sino ad allora m’era stato caro, mi apparve d’un tratto indifferente: la vita mi sembrò stupida come una storia da Far West e perdette la dimensione della realtà; i sogni divennero certezza – certezza apodittica, con forza probatoria, intenda bene: divennero una certezza reale e indiscutibile, e la vita del giorno divenne sogno.

Tutti gli uomini potrebbero fare altrettanto, se avessero la chiave. E la chiave sta unicamente e soltanto in ciò, che nel sonno si divenga coscienti della forma del proprio io, della propria pelle per così dire – e si trovi lo stretto spiraglio attraverso cui la coscienza si forza il cammino tra la veglia e il sonno profondo.

Gustav Meyrink, Il golem, Bompiani, 2008.

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