MODE
L’almeno teorica libertà di scelta e definizione dei personali stili di vita, prospettata dalla condizione esistenziale della società liquida, per dirla con Bauman, che costringe ad una quotidiana revisione di comportamenti e propensioni di consumo, postula il superamento di ogni normativa rigorosa, la fuoriuscita dalle cornici tematiche fisse, l’abbandono di ogni codice comportamentale che sia riferito ad un modello generale.
La società di persone, autodeterminate ed autoreferenziate prevede la proliferazione delle mode autonomamente definite, in luogo della moda prescritta ex cathedra. Gusti cambiano rapidamente, testimonials si sovrappongono, stili e sistemi di vita s accavallano, contaminandosi a vicenda e producendo clonazioni tematiche, effimere quanto appena notate. È il dopo consumismo che riproduce affannosamente pratiche di usa e getta, attivate prima ancora di aver completamente usato l’oggetti di consumo, estremo esito del secondo principio della termodinamica, entropia imperante di culture e mode.
Leggendo Amartya Sen, si scopre che la qualità della vita della società e delle persone devono essere valutate in funzione alle capacità proprie delle persone, piuttosto che alla ricchezza e al benessere economico della società. Capacità personali intese come possibilità di collocarsi in una società, di scegliere la forma della propria esistenza al mondo, attraverso la libertà di indirizzi, di istruzione, affettive, relazionali, culturali, religiose, politiche, associative, senza prevaricazioni, violenze o costrizioni.
Occorre essere in grado di valutare e scegliere, nella molteplicità delle informazioni, le notizie adeguate alle proprie esigenze. In questo modo si può veramente essere persona del terzo millennio, in grado di esprimere indiscutibilmente un’opinione nata da una scelta libera e consapevole.
Il tramonto delle verità assolute non deve condurre al relativismo più puro, ma soltanto ad una consapevolezza della fallibilità dell’assolutezza, semmai supportata da fondamenti teorici e documenti.
Nella società liquida, l’antico assunto epicureo “vivi nascosto” sembra trovare la sua massima realizzazione, l’anonimato viene garantito nell’intreccio dei non-luoghi che divengono gli spazi dell’esistere quotidiano e ai quali si accede solo attraverso varie forme di identificazione.
Come osserva Gadamer, il dialogo costituisce sempre una fuoriuscita dal sé verso l’altro, un’apertura al mondo, uno scambio di soggettività, tramite il quale si rientra nel proprio sé, ma non si è più quelli di prima. Il rimedio alla solitudine dei non-luoghi è costituito dall’apertura all’altro, dalla disposizione ad accogliere saperi diversi, culture sconosciute, dalla progressiva cancellazione di ogni estraneità, oggi resa possibile dalla sempre più rapida commistione di culture e popolazioni.
“L’uomo è ciò che mangia” Ernst Gombrich, 1953
GLOBALIZZAZIONE E’ GLOCALIZZAZIONE
La globalizzazione non è la fotografia del presente, un dato stabile e fisso nel tempo, ma un processo instabile e in continuo movimento, una realtà che muta continuamente aspetto e consistenza a causa di intime contraddizioni.
Globale significa “in più luoghi contemporaneamente, translocale”: il globale non esclude il locale, e viceversa, ma l’aspetto determinante è l’incontro tra culture diverse, luoghi distanti del pensare, individualità espressive (“glocalizzazione” dice Roland Robertson.
La tendenza omogeneizzante ed omologante della globalizzazione di stampo neo-liberista può essere comodamente superata da una cultura glocale che ragiona per vicinanze transculturali, anticipando ed adattandosi all’instabile irrequietezza del mondo moderno, ai paesaggi di persone della quotidiana.
E ciò fa adattare anche un MacDonald, che serve lasagne in Italia, salade niçoise in Francia, toglie il Mac Bacon e la Coca Cola in Giordania.
L’almeno teorica libertà di scelta e definizione dei personali stili di vita, prospettata dalla condizione esistenziale della società liquida, per dirla con Bauman, che costringe ad una quotidiana revisione di comportamenti e propensioni di consumo, postula il superamento di ogni normativa rigorosa, la fuoriuscita dalle cornici tematiche fisse, l’abbandono di ogni codice comportamentale che sia riferito ad un modello generale.
La società di persone, autodeterminate ed autoreferenziate prevede la proliferazione delle mode autonomamente definite, in luogo della moda prescritta ex cathedra. Gusti cambiano rapidamente, testimonials si sovrappongono, stili e sistemi di vita s accavallano, contaminandosi a vicenda e producendo clonazioni tematiche, effimere quanto appena notate. È il dopo consumismo che riproduce affannosamente pratiche di usa e getta, attivate prima ancora di aver completamente usato l’oggetti di consumo, estremo esito del secondo principio della termodinamica, entropia imperante di culture e mode.
Leggendo Amartya Sen, si scopre che la qualità della vita della società e delle persone devono essere valutate in funzione alle capacità proprie delle persone, piuttosto che alla ricchezza e al benessere economico della società. Capacità personali intese come possibilità di collocarsi in una società, di scegliere la forma della propria esistenza al mondo, attraverso la libertà di indirizzi, di istruzione, affettive, relazionali, culturali, religiose, politiche, associative, senza prevaricazioni, violenze o costrizioni.
Occorre essere in grado di valutare e scegliere, nella molteplicità delle informazioni, le notizie adeguate alle proprie esigenze. In questo modo si può veramente essere persona del terzo millennio, in grado di esprimere indiscutibilmente un’opinione nata da una scelta libera e consapevole.
Il tramonto delle verità assolute non deve condurre al relativismo più puro, ma soltanto ad una consapevolezza della fallibilità dell’assolutezza, semmai supportata da fondamenti teorici e documenti.
Nella società liquida, l’antico assunto epicureo “vivi nascosto” sembra trovare la sua massima realizzazione, l’anonimato viene garantito nell’intreccio dei non-luoghi che divengono gli spazi dell’esistere quotidiano e ai quali si accede solo attraverso varie forme di identificazione.
Come osserva Gadamer, il dialogo costituisce sempre una fuoriuscita dal sé verso l’altro, un’apertura al mondo, uno scambio di soggettività, tramite il quale si rientra nel proprio sé, ma non si è più quelli di prima. Il rimedio alla solitudine dei non-luoghi è costituito dall’apertura all’altro, dalla disposizione ad accogliere saperi diversi, culture sconosciute, dalla progressiva cancellazione di ogni estraneità, oggi resa possibile dalla sempre più rapida commistione di culture e popolazioni.
“L’uomo è ciò che mangia” Ernst Gombrich, 1953
GLOBALIZZAZIONE E’ GLOCALIZZAZIONE
La globalizzazione non è la fotografia del presente, un dato stabile e fisso nel tempo, ma un processo instabile e in continuo movimento, una realtà che muta continuamente aspetto e consistenza a causa di intime contraddizioni.
Globale significa “in più luoghi contemporaneamente, translocale”: il globale non esclude il locale, e viceversa, ma l’aspetto determinante è l’incontro tra culture diverse, luoghi distanti del pensare, individualità espressive (“glocalizzazione” dice Roland Robertson.
La tendenza omogeneizzante ed omologante della globalizzazione di stampo neo-liberista può essere comodamente superata da una cultura glocale che ragiona per vicinanze transculturali, anticipando ed adattandosi all’instabile irrequietezza del mondo moderno, ai paesaggi di persone della quotidiana.
E ciò fa adattare anche un MacDonald, che serve lasagne in Italia, salade niçoise in Francia, toglie il Mac Bacon e la Coca Cola in Giordania.
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