La rivolta di cui parla deve essere reale, positiva, e non polemica; e l'ultima risorsa contro la crisi del mondo moderno è per Evola la capacità eroica.
L'introduzione di Claudio Risè si fonda su alcuni punti:
- l'individuo nato con l'umanesimo è un "centro illusorio" per Evola;
- la separazione accentuata nella modernità fra individualità e forze eterne (l'autore ne fa un discorso psicologico);
- la modernità si basa ancora sull'idea di tempo lineare e non ha accettato quella di tempo ciclico;
- l'uomo, se vuole continuare a vivere, deve ritornare a riconoscersi in un'eternità.
- se oggi i moderni hanno la sensazione di un destino oscuro, già da tempo hanno agito cause che hanno destabilizzato le condizioni spirituali;
- si deve passare dalla reazione all'azione positiva;
- le prime forme di decadenza sono attribuibili per Evola fra l'VIII e il VI sec. a.C., ma le cause potrebbero essere ancor più remote; una seconda fase di ha con la caduta dell'Impero romano; una terza con Umanesimo e Riforma.
Ma interessante è il punto in cui dice che tutto ciò che noi consideriamo "storico" è già moderno, ha già le caratteristiche della modernità, con tutti i suoi limiti.
L'uomo tradizionale infatti non aveva la concezione della storicità attuale, e ciò è anche il motivo per cui gli storici (moderni, appunto) faticano a trovare datazioni, documenti e autori troppo lontani nel tempo.
Quindi la distinzione che fa Evola (parla di dualismo) fra civiltà tradizionale e moderna si basa proprio sull'importanza che la seconda attribuisce all'elemento temporale.
"I testi tradizionali non possono essere stati fatti dai mortali, sono quindi insuscettibili ad essere misurati dalla ragione umana";
- le forme tradizionali hanno un unico significato e un unico principio, anche se si possono rivestire contingentamente di forme diverse a seconda delle necessità e condizioni storiche.
- quando Evola parla dell'essere e del divenire, per la condizione materiale si riferisce e riprende Plotino indicando un "abbandono originario e radicale, un difetto perenne di limite", ma anche "impotenza a compiersi in una forma perfetta, a possedersi in una legge" (adharma);
- in merito a queste due nature, essere e divenire, vi è una nascita sia per vivere nell'esistenza del mondo terreno, sia per ritornare ad essere "uomo immortale". Ma l'esistenza terrena è solo una approssimazione verso il "sovramondo", verso il piu'-che-vivere, raggiungibile per Evola attaverso un "atto di transito":
1) iniziazione
2) le due grandi vie, quella eroica e contemplativa
con la mediazione del rito e della fedelta'
con il sostegno della Legge tradizionale
e individua un altro elemento: l'Impero (assimilabile alla Società Tradizionale trasposta nel dominio terreno);
- Evola vede la funzione regale e sacerdotale congiunte nella Tradizione primordiale, laddove Guenon dà preminenza alla sola funzione già sacerdotale;
- la regalità è una trascendenza immanente, cioè presente e agente nel mondo, funzione incarnata dal re, la cui forza rende efficaci le azioni rituali. Esso si imponeva per forza di spirito; la forza materiale non era che accessoria;
- la gloria del re è accomunata (riprendendo la concezione mazdea) a un fuoco soprannaturale proprio alle entità celesti solari, che fa partecipe il re dell'immortalità;
- anche nella concezione cinese il re ha una funzione suprema fra cielo e terra, e agisce-senza-agire cioè per pura presenza;
- il potere di re era quello di aprire le vie al mondo superiore, tramite le azioni rituali e sacrificali che compiva;
- parlando delle tribù nordiche, Evola dice: "un evento infausto valeva come effetto di qualcosa che egli come individuo mortale doveva aver commesso e che ne aveva paralizzata l'efficacia oggettiva";
- discorso sulla stabilità: a simboleggiare il perno della ruota del samsara vi è il rito del sedersi immobilmente su un trono, stabilità che è "forza-vita" corrispondente al fuoco segreto.
A questa condizione di stabilità si legano pace e giustizia (la parola stessa mekki-tesdeq), intese come pace interiore/perfezione di attività/attività pura (la pace profana ne è solo un riflesso) e giustizia come dharmaraja, rispetto della Legge primordiale. Ed è anche la concezione della giustizia intesa da Platone;
- il concetto di Legge ha un intimo rapporto con quello di verità, realtà e stabilità, a ciò-che-è (Evola accosta il termine vedico rta a dharma); ogni infrazione della Legge è sacrilegio ed empietà;
- anche per questo, l'utile che nella civiltà moderna è considerato un fine, nella civiltà tradizionale è solo un mezzo per un fine più alto;
- il demos, non esistendo uno Stato tradizionale che tragga la sua origine da esso, ha bisogno sempre di una catarsi prima di poter far parte di un sistema politico tradizionale.
- è interessante la concezione che Evola ha della cupiditas: per lui la radice dei principi in competizione di potenza e ricchezza, che deve essere frenata e guidata da una vita activa fortificata;
- per l’uomo tradizionale il piano fisico contiene solo degli effetti di cause prodotte nel piano invisibile. È qui che si inserisce il rito, che è azione per eccellenza e che predispone alla differenziazione gerarchica: esso, infatti, se compiuto da persona non qualificata o in modo imperfetto era “principio di sventura”; il rito che fallisce o abortisce ferisce e disgregia un dio ed è quindi sacrilegium perché altera una legge di dominio sovvrannaturale.
In nota, Evola dice: “La rovina degli Stati, la distruzione delle famiglie, e l’annientamento dei singoli sono sempre stati preceduti dall’abbandono dei riti”, “il destino di coloro che non hanno più riti sono gli inferni, essi retrocedono cioè dall’ordine sovranaturale”;
- nel rito, Evola riconosce due elementi: uno naturalistico che è la trasmissione di una forza vitale; uno sovrannaturale che proviene da una esecuzione ininterrota di riti;
- il rito per eccellenza è quello sacrificale: “Brahaman creò una forma più alta e più perfetta di sé medesimo”, intendendo con questa frase un autosuperamento della forza originaria del mondo.
Sembrerebbe quindi che il rito sacrificale sia anche trasformatore, per mezzo di un’azione, dice Evola, generatrice “di un dio o di un eroe”.
Stando a quanto egli dice, il rito si compone di 3 fasi:
a) operatività ex opera operante, con una purificazione rituale e spirituale del sacrificatore;
b) processo evocatorio di energie verso il sacrificatore, la vittima o un terzo elemento;
c) un’azione che determina la crisi che a sua volta “attua” il dio/eroe;
- il potere del rito sacrificale è immenso: non solo ciò che il rito attua si trasmette al sacrificatore per tutta la vita, ma anche alla discendenza, attraverso una sorta di eredità attualizzabile di volta in volta alla discendenza successiva tramite un rito di iniziazione. È ciò che ci insegna anche il Cristo?
- ed infatti il rito sacrificale era un privilegio che determinava la distanza fra la casta brahamana e le altre;
- c’è poi un punto nella distinzione fra arya e shudra indù: sembrerebbe che Evola dice che i primi, nobili, siano coinvolti nel ciclo delle rinascite e abbiano “avi” divini, mentre i servi-shudra, non siano coinvolti in tale ciclo, e con “avi” promiscui;
- gli shudra pertanto (o anche gli arya che ancora non erano passati attraverso il ciclo delle rinascite) erano privi dell’elemento solare, positivo maschile (eroi e de dell’Olimpo in Occidente); corrisponderebbero al culto lunare, negativo femminile che nelle civiltà mediterranee viene ad essere il culto delle Madri;
- la classe aristocratica tradizionale che portava il sacro in sé, nell’ottica degenerativa delle civiltà moderne diventa dapprima quella nobiltà cavalleresca medievale che non vedeva più il sacro dento di sé, ma fuori di sé; poi diventerà “aristocrazia” in senso moderno;
- tradizionalmente il padre di una famiglia aristocratica tradizionalmente intesa, rivestiva lo stesso ruolo del re sacerdotale; ciò fa sì che il focolare familiare formi un corpo solo in questa vita e nell’altra. “La famiglia antica è una associazione religiosa più che un’associazione di natura”. Da ciò anche l’importanza della primogenitura che è in rapporto con l’immortalità poiché libera gli “avi” grazie alla discendenza e alla discesa in battaglia nell’esistenza terrestre.
In questo senso si può anche dire che il vero padre dell’adulto è il brahmana cioè l’autore della sua nascita spirituale
L’utilità in una società tradizionale non era mai considerata come utilità materiale, ma come accessoria al fine di seguire la Legge tradizionale, data da un’autorità dall’alto e con efficacia certa, per conservare la tradizionalità e sacralità della società.
In questo senso non vi era oggetto o funzione che potesse essere considerato inferiore o superiore all’altro, ma era il modo, l’intenzione, con cui quell’oggetto o funzione venivano vissuti; Evola interpreta ciò come “fuoco creatore di luce” o fides che mantiene il contatto con la tradizione.
Tale fides è la “forza di coesione” che permette il contatto con la tradizione, e va ad alimentare – in questo senso – il significato di utile. Ciò non mi sembra difforme nemmeno dalla concezione di dharma, inteso come azioni e pensieri aderenti all’essere e non alla forma, come “compimento del proprio essere” (Bhagavad-gita).
La fides non è, intendendola come “fedeltà” o “devozione”, un vincolo materiale (ad un regno, politicamente o militarmente), ma un vero e proprio “sacramento” che legava le varie razze dello spirito, e che permette lo svolgersi ordinato delle proprie fuzioni che la Legge ha attribuito per nascita.
La Legge era un riferimento ed un sostegno alla individualità umana, e dava a questa un significato superiore: attraverso la fides, questa azione conforme ai principi, ha fatto sì che tutta la vita esteriore fosse un rito, ed un’approssimazione quanto più possibile vicina alla Verità.
E per questo Evola parla anche di razza – non di sangue biologico beninteso – ma della razza dello spirito, collegamento con il sovrannaturale. Quando questo collegamento si attenua sempre in misura maggiore, la razza dello spirito è spezzata ed inizia la secolarizzazione e la “meccanizzazione” della società (in senso di società auomatizzata, dormiente, che ha perso il proprio collegamento con i Significati delle proprie azioni): Evola descrive la degenerescenza con Lao-Tze: “Perduta la Via, resta la virtù; perduta la virtù resta l’etica; perduta l’etica resta il diritto; perduto il diritto resta il costume.”
- progressivamente la concezione dell’uomo passa da quella di una società tradizionale dove i i riti erano considerati una “tecnica” in grado di far agire gli esseri, a quella delle società moderne dove c’è una progressiva individualizzazione, dapprima attraverso la mitologia, successivamente attraverso una vera e propria antropomorfizzazione;- Evola chiama i 3 principi che possiede l’uomo: l'Io cosciente, il demone (linga-sharira della tradizione indù) o doppio che è la forza profonda che ha formato una coscienza nel corpo, l’ombra che è tutto ciò che procede dal demone dopo la morte;- l’uomo comune alla sua morte perde la sua personalità e gli resta un’ “ombra” che si dissolverà con la seconda morte, mentre i principi vitali del “demone” torneranno al “totem” per ricreare una nuova vita successivamente;- l’altra via è quella degli eroi che avevano trionfato sulla seconda morte ed erano pervenuti a conoscere il proprio incorruttibile essere, strappandolo dal dominio del “totem”, di un limite. È questo per Evola il compito di un culto aristocratico tradizionalmente inteso;
- Evola parla di regalità condizionata quando essa non è qualità di esseri superiori al limite umano (“dei”), ma appunto quando è condizionata da un’azione determinata che la attualizzi: iniziazione (autonoma e diretta) o consacrazione (mediazione di una casta sacerdotale). Qui ovviamente entra in gioco l’idea evoliana di “lottare con l’Angelo”, di “conquista” autonoma dell’iniziazione;
- Evola vede nei riti eleusini quello più completo di iniziazione regale, e ex opera operato;
- il solo sacerdozio di per sé è dunque inferiore alla regalità, perché da questo promana, ed è per Evola una forma (inferiore, a partire della spiritualità devirilizzata della visione guelfa) propria di tempi più recenti, che segue pertanto l’arco discendente della civiltà moderna; mentre il re è un guerriero, in grado di elevarsi al di sopra dei brahmana: “i kshatriya non possono prosperare senza i brahmana, i brahmana non possono elevarsi senza i kshatriya”, “se i brahmana sono la base, i kshatriya sono il sommo del sistema delle leggi”;
- anche la nobiltà tradizionale fu definita da un elemento spirituale: Evola paragona l’ordinazione cavalleresca alla iniziazione della casta guerriera. La fides della cavalleria era superterritoriale e l’autorità spirituale di riferimento cui essere fedeli era l’Impero; e i cavalieri ordinavano cavalieri senza l’intrevento di un sacerdote, cioè loro di per sé avevano quella funzione sacedotale che già anche la funzione regale aveva in sé. Nella tradizione indù i guerrieri gareggiavano, vincendo, coi brahmana, o erano già “brahmana” avendo la funzione di custodire il “fuoco sacro”;
- se l’uomo tradizionale considerava tutto ciò che è terrestre come un effetto di cause di ordine superiore, è allora chiara l’origine della chiusura delle caste: eredi delle azioni sono gli esseri (“Il corpo è stato formato ad immagine dell’anima che esso racchiude”, “Il piano generale è uno: ma esso si suddivide in parti diseguali, di modo che nell’intero vi sono differenti sedi, le une migliori, le altre meno gradevoli – e le anime, diseguali anch’esse, prendono residenza nei luoghi differenti che convengono alle differenze loro proprie”, Plotino) (non sembra, cosi', che ci sia arbitrio nella scelta della nascita). Se la natura di un essere ne determina la nascita, le caste sono la manifestazione di ciò e contemplano le possibilità di sviluppo di disposizioni individuali.
La casta, dice quindi Evola, ha anche la funzione di ricordare la propria natura (e l’iniziazione delle classi superiori completa questo processo) e di prender contatto con forze sovrumane.
“Compiendo i doveri prescritti [dalla casta] senza mirare a ricompensa, l’uomo consegue l’immortalità”;
- per quanto riguarda la contaminazione fra classi diverse, essa riguarda sia individui di classe superiori che non vogliono essere “contaminati” da inferiori, ma anche questi da quelli (sembrano, in entrambi i casi, escluse le donne): occorreva che ognuno fosse se stesso per realizzare la propria natura;
- la gerarchia nelle caste si giustifica come rapporti di potenza per un determinato atto: dai più puri a quelli maggiormente condizionati: la subordinazione di un inferiore al superiore è anch'essa l’espressione della fides evoliana;
- uscire dalla propria casta non era ammesso, ma era contemplata la possibilità di creare un nuovo modo d’essere attraverso le proprie azioni, parole e pensieri;
- per l’uomo tradizionale ciò che contava in una scienza era la sua capacità di “condurre in alto” (ed è l’elemento che manca alle scienze profane attuali): ogni mestiere nelle caste seguiva le disposizioni individuali e ad esso corrispondeva, ad un livello più elevato, un’arte sacra.
Nella degenerazione è successo però che il lavoro materiale ha preso il posto dell’azione che prima aveva un significato spirituale; il mondo antico non disprezzò infatti lo schiavo in sé, ma in quanto colui che compiva un lavoro puramente materiale, privo di significato spirituale. Ed in parte questo “lavoro materiale” è stato visto come elemento purificativo dalla tradizione ebraica e dal cattolicesimo, a seguito della caduta di Adamo;
- l’asceta rinuncia alla fedeltà alla propria natura, tramite l’azione (eroica) o tramite la contemplazione (ascesi vera e propria). Per contemplazione (distacco e diretto orientamento verso la trascendenza), Evola parla di buddismo delle origini, di neoplatonismo (“Non io debbo andare agli dei, sono gli dei che debbono venire a me”, Plotino) e di mistica tedesca (Meister Eckhart; “la via procede dall’esterno all’interno, di là da tutto ciò che è immagine”); per escesi eroica, Evola parla di processo immanente, “volto a destare le forze piú profonde dell’entità umana e a portarle a superare se stesse”.
Evola ripetutamente nel corso del libro attribuisce la decadenza della civiltà tradizionale ad uno spostamento di “fine”, che non è più quello metafisico e trascendentale.
Questo distacco ha fatto si’ che progressivamente la sola funzione sacerdotale sia andata a sostituire quella regale (che in quanto tale aveva “chiave e scettro” congiuntamente); qui ritorna un tema caro a Guenon, e che Evola riprende costantemente, che è quello di una progressiva affermazione dell’ambito exoterico-religioso a discapito di quello esoterico-Tradizionale.
In questa degenerescenza si denota come i culti apollinei solari di derivazione nordico-aria, siano progressivamente sostituiti da quelli lunari e delle Madri, dove viene a mancare quella virilità eroica necessaria alla azione reintegrativa nel divino.
La degenerescenza è poi continuata con la sempre minor importanza attribuita al sacro e alla virilità, l’apparire di una smodata personificazione deistica e mitologica, di un sentimentalismo religioso, e di un umanismo che non privilegia più la fides imperiale, ma l’invidualizzazione nel pensiero “filosofico”, lo studio dei fenomeni fisici, e la “democrazia”e il “livellamento” del demos.
In questo discorso rientra la degenerazione greca dell’VIII-VI secolo a.C..
Se è vero che lo strato più antico Greco è quello egeo e pelasgico, i culti solari (ad esempio achei o dori; Delfo) sono progressivamente sostituiti da dionisismo, orfismo, afroditismo, pitagorismo (improntato al tema demetrico e panteistico, dice Evola).
Persino i Misteri Eleusini, più vicini di tutti alla Tradizione primordiale, subirono l’influenza della sopradetta “democratizzazione”.
Fra tutte le civiltà, le tracce della spiritualità nordico-solare si trovano in misura maggiore nella civiltà aria, con questo termine intendendo solo parzialmente un significato etnico, ma soprattutto quello di razza dello spirito.
L’elemento decisivo è la liberazione interna, e la reintegrazione in una forma attiva e combattiva.
Parlando di questa liberazione, Evola parla della degenerazione della Tradizione ariana: la liberazione deve essere interna, perchè se si dà troppa importanza al samsara inteso come liberazione dal ciclo delle rinascite (una liberazione “esterna”), allora il significato della Liberazione non è quello trascendentale di reitegrazione con il divino, ma viene ad assumere un significato di “evasione”.
L’India è quella che tradizionalmente ha retto di più (rappresenta la “via della contemplazione” per Evola), sebbene anche qui da un lato il predominio della sola casta sacerdotale non si è fatto attendere, dall’altro la casta guerriera ha perso i suoi strati virili e una propria spiritualità.
Tale degenerazione si nota anche con il fiorire di espressioni artistico-religiose nuove, della tendenza all’abuso di simboli animali e vegetali, e con il culto tantrico Shakti, associate da Evola ad un culto della Madre.
Ma ciò su cui mette veramente l’accento Evola per l’India è la progressiva personificazione del Brahman principio, che perde la sua funzione spirituale per assumere invece solo quella di un principio emanante, che attraverso l’identità con l’atma, diviene elemento panteistico e perde la sua natura primaria che è quella trascendente e spirituale.
Il buddismo delle origini nasce come opposizione a questa degenerazione e ha l’obiettivo di ri-attualizzare un fine trascendente: è perciò tradizionale ed eroico.
La dottrina di Shankara resta orientata verso un Brahman nirguna indeterminabile, anche se viene considerata da Evola un tema lunare e non solare; la dottrina di Ramanuja attesta invece un vero e proprio distacco fra umano e divino.
In Iran il culto Ahura-Mazda aveva carattere guerriero e prevedeva tre caste (non gli shudra indù): anche qui si registra un declino dovuto dalla predominanza della casta dei sacerdoti mazdei, che Zarathustra, al pari di Buddha, tenta di restaurare in purezza
Anche il Mithracismo è considerato un culto tradizionale.
L’Islam originario vede nell’unica forma di ascesi la jihad, da non interrompere mai, fino al pieno consolidamento della legge divina. Esso presenta una completezza tradizionale in quanto exoterismo e Tradizione hanno un complemento nelle turuq con un insegnamento esoterico specifico (ta’wil) e la dottrina metafisica dell’Identità Suprema (twahid).
Gli Imam rappresentano una linea tradizionale, tanto che non possono essere lesi dalla colpa, o può essere proclamata la loro infallibilità dottrinale.
Nell’Islam non si parla di peccato originale (e solo in maniera affievolita della caduta di Adamo); viene respinta l’idea di un Salvatore, e viene esclusa la mediazione di una casta sacerdotale.
Il problema della caduta di Adamo e del peccato originale è invece un tema portante nell’Ebraismo. La sacralità, la tradizionalità dell’ebraismo e l’aderenza alla Torah, vengono a sfaldarsi con il mito apocalittico-messianico (e la concezione del popolo ebreo come popolo “eletto”), che ha fatto sì che l’elemento umano e l’elemento divino si allontanino e nel tradizionale culto di Jehovah (come lo chiama Evola) perde importanza l’elemento sacro alla base del rito.
Anche il culto solare d’Egitto degenera con il culto ctonio-lunare di Iside, Madre di tutte le cose, e il predominio della casta sacerdotale rispetto al faraone. Dice Evola: “spetta al sacerdote mediare l’efficacia degli esseri trascendenti: lo stadio magico-solare tramonta, subentra quello religioso”.
Lo stesso avviene nei caldei, negli assiri, e negli ittiti, ma anche nelle civiltà Maya, Tiahuanac, dei Pueblo, poi nell’Impero messicano, e in quello peruviano.
“Il concetto di purificazione ed espiazione sconosciuto nel culto olimpico, è nota dominante nello strato inferiore. Poi, perdutasi l’idea aristocratica della divinità come natura, subentra l’idea dell’uomo mortale che aspira all’immortalita’e allora purificazione ed espiazione assumono il significato di ‘purificazione dalla morte’, o un significato morale: come negli aspetti decadenti dei Misteri preludianti al cristianesimo”.
1) è ovvio che una divinità olimpica, nel senso evoliano solare, perfetta, non abbia niente da purificare; purificazione che invece è necessaria per ogni gerarchia inferiore;
2) la purificazione non è da intendersi però solo come purificazione dalla morte, ma allora è molto meglio il concetto di guerra santa che esprime Evola;
3) sul fatto che purificazione assume il significato di purificazione dalla morte o un significato morale solo per gli aspetti di decadenza, in particolare del cristianesimo, potrei essere d'accordo.
Se nella civiltà tradizionale ogni realtà era un simbolo ed ogni azione un rito, ciò valeva anche per la guerra, che era “santa”.
Ma fra la grande e la piccola guerra santa, la più importante è la prima: quella interiore e spirituale, rispetto a quella materiale, che è un riflesso della prima (come il corpo sta all’anima). La grande guerra è la lotta del principio più alto dell’uomo contro tutto quello che in lui vi è di umano, disordinato e materiale.
Per il guerriero tradizionale la piccola guerra è un modo di realizzazione della grande guerra (“colui che muore d’un colpo di spada in combattimento, compiendo il suo dovere di kshatriya compie nell’atto stesso il sacrificio più meritorio e la sua purificazione ha luogo all’istante”).
Tale guerra è ben rappresentata dalla lotta fra l’elemento olimpico-uranico spirituale del cosmos e gli elementi degenerativi titanici e femminili.
Evola individua il conflitto anche nella successione delle 4 età, che comprendono 6 tipologie di civiltà:
1) età dell’oro = civiltà primordiale (purità della Luce del Nord, ciclo artico, società regale, Saturno sat = essere, Iperborei, ethos virile)
La degenerazione inizia con civiltà atlantidea (interferenze dionisiache, spostamento dalla Luce del Nord a quella del Sud, mito del diluvio, Torre di Babele, mescolanza degli dei con le figlie degli uomini, magia nera)
2) argento = Madre trascendentale e demetrismo (purità della Luce del Sud, società sacerdotale con regalità subordinata al solo aspetto materiale, fertilità della Madre Terra, pathos sensualistico e panteistico, feste equinoziali intese come dispersione nell’illimitato, inumazione per un ritorno alla terra, promiscuità di classi)
3) bronzo = titanismo (degenerazione dell’età dell’oro con guerrieri e titani, l’uomo violento vuole riconquistare il potere spirituale usurpato dalle Madri, contraffazione dei poteri dell’età dell’oro, Prometeo)
degenerazioni:
a) amazzonismo: tentativo deviato di restaurazione femminile lunare attraverso guerrieri che adottano le stesse armi dei titani (rispetto a quelle “sacerdotali” delle Madri)
b) afroditismo: piano fallico, dominazione sull’uomo schiavo dei sensi, esperienza erotica
c) dionisismo (aspirazione maschile deviata e devirilizzata in forme passive e promiscue di estasi, relazione snaturata con la regalità)
4) età del ferro = attuale (Edda, età del lupo)
Il ciclo ario, quello eroico, di azione eroica, è quello che permette invece la restaurazione della spiritualità olimpico-solare e la reintegrazione alla civiltà primordiale, superando sia il titanismo di bronzo che la Madre d’argento.
Secondo Esiodo, la morte come la intendiamo oggi inzia solo con l’età del bronzo.
Per quanto riguarda la materializzazione, Evola dice che se la virilità oggi è concepita materialisticamente come forza fisica, la corrispondenza spirituale deve essere di natura femminile, quindi non virile-solare.
- nell’antichità classica i ludi ebbero un carattere sacro, alcuni creati anche da appositi collegi sacedotali, e si riconnettevano all’idea del trionfo della stirpe celeste su quella titanica, ed iniziavano sempre con solenni sacrifici;
- nell’ascetismo una menomazione si ha nel passaggio dal concetto di ascetica a quello di etica, soprattutto in connotazione morale;
- il Tempo tradizionale non è lineare ma ciclico: ogni ciclo ha un proprio significato, e il tempo in sé non è quantità, ma qualità, e ritmo (e il numero 7 corrisponde a “ritmi di sviluppo” nell’uomo, nel cosmo, nello spirito).
Il piccolo ciclo riproduce analogicamente il grande ciclo; e ciò significa anche la presenza di tempi propizi e non propizi.
Per quanto riguarda lo Spazio, oggi è semplicemente il contenente di corpi e movimenti, ma tradizionalmente è invece vivo e saturo di intensità e qualità (“etere vitale”). La stessa terra nel mondo materiale era riservata a coloro che erano portatori di un elemento divino, in grado di porre un “sigillo trionfale” e divino” su di essa, un’influenza superiore che era alla base dell’intimo rapporto tra uomo e terra. Poi sappiamo in che maniera si è “aristocraticamente” trasformato questo possesso sino ai giorni nostri…
Tradizionalmente lo stesso atto di prendere una terra era un atto sacro di creazione;
- uomo e donna: si è uomo o donna fisicamente solo perché lo si è trascendentalmente, si ha uno specifico dharma. Se per la virilità maschile vi sono le due forme di compiersi tradizionalmente come Asceta (puro distacco) o Guerriero (pura azione), per la donna ve ne sono altre due: Amante (puro darsi all’amato) e Madre (puro darsi al figlio), in senso metafisico.
Queste 4 direzioni permettono di tendere veso l’uomo assoluto e verso la donna assoluta.
- sviluppo demografico in quantità piuttosto che in qualità: è un’altra forma degenerativa del mondo moderno, che crea l’uomo senza-forma, l’uomo-massa; sessualmente, gli uomini devono possedere il sesso e non esserne posseduti, perché “solo nello spirito il sesso è vero ed assoluto”;
- “se si paragona il potere procreatore maschio con il potere femmina, il maschio va dichiarato superiore, perché la progenitura di tutti gli esseri è distinta dalla caratteristica della potenza maschia… qualunque sia la specie del seme che si getta in un campo preparato nella stagione conveniente, questo seme si sviluppa su una pianta della stessa specie dotata di evidenti qualità peculiari”; nella tradizione indù il seme maschile è spesso chiamato virya, termine che però nei testi tecnici di ascesi è anche usato per la forza “controcorrente” che può rinnovare sovrannaturalmente tutte le facoltà umane.
Roma viene considerata da Evola l’ultima grande reazione alla crisi della civiltà tradizionale, vede in essa forze ario-occidentali ed eroiche, anche se culti demetrici ed afrodiasiaci (influenza dei Libri Sibillini) di Etruschi e Sabini (con Tito Tazio ad esempio) erano ben affermati e contrastavano dunque con i culti eroici solari: da qui le lotte interne ed esterne di Roma e i progressivi adattamenti (lotta simboleggiata anche da Romolo e Remo).
Roma permene nel segno delle divinità olimpiche anche se l’essenza del sovrannaturale della prima religione romana è da considerarsi come numen (nudo potere del rito) più che come deus (specifico atteggiamento spirituale).
Il processo di sfaldamento di questa rinnovata unione regale-sacerdotale inzia dalla stessa Roma, dove i vari Cesari puntano su un dispotismo burocratico-amministrativo troppo grande e troppo eterogeneo.
In questo contesto si colloca il cristianesimo “della decadenza” che Evola dice essere affine alle correnti profetiche ed d’espiazione ebraiche: al tipo guerriero del Messia si sostituisce il Cristo vittima espiatica (e col paolinismo ciò viene universalizzato).
Insomma, il cristianesimo in questa fase viene visto da Evola come “forma disperata di dionisismo”, dove la fede sostituisce l’azione eroica.
Evola infatti dice che il perno è il fatto che il cristianesimo non riguarda più l’iniziazione ai Misteri, ma diventa una religione “di sentimento” (pathos demetrico, se si vuole), e “confusamente mistico”. E Maria, progressivamente, “dispensatrice di ogni grazia”, assume un ruolo sproporzionato, in accordo con una civiltà che sempre più si stava trasferendo dal piano regale a quello sacerdotale.
“Così, di fronte all’ebraismo ortodosso, per il cristianesimo delle origini si può rivendicare al massimo un carattere mistico sulla stessa linea del profetismo, in nessun modo, però, iniziatico, come vorrebbe Schuon”. E ancora: “è così che più tardi dovunque in Occidente prese forma un vero esoterismo, ciò avvenne essenzialmente fuor dal cristianesimo, con ausilio di correnti non cristiane, quali la cabala, l’ermetismo, o vene di remota origine nordica”. Vede nel cristianesimo delle origini cadua e de-virilizzazione (ad esempio anche con la “frenesia del martirio”.
Evola, ben inteso, questo lo dice, ma senza conoscere i testi cristiani e il cristianesimo in generale.
Per questo, continua Evola, attraverso i principi di fratellanza, all’universalità eroica si sostituisce l’ideale della collettività comunitaria.
Il dualismo e la contrapposizione fra ordine sovrannaturale e naturale lo allontana dalla Tradizione: a) non solo la Natura perde il carattere sacro e viene bollata come “pagana”,
b) ma via via viene universalizzata una forma exoterica del cristianesimo destinata anche agli strati bassi della società, e
c) nasce un’ascesi di tipo monastico di tipo mortificatorio.
Con il principio del “date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”, si formalizzava la separazione anti-tradizionale fra funzione regale e sacerdotale.
Ma perché avviene ciò, si chiede Evola, nonostante il pantheos romano (l’Impero aveva una funzione unificatrice e “ordinatrice” avrebbe potuto inglobare e tollerare)?
La risposta sta proprio in questa separazione e nella fede intesa come attesa di un Messia, che non può essere l’Imperatore in terra, perché “Cesare” ed umano (“ogni potestà viene da Dio”).
Se il cristianesimo convertì all’esterno l’Occidente, esso all’interno rimase pagano.
Il significato sacro di Impero e pax continua nell’Impero d’Oriente, ma per poco.
Un altro punto di rottura è rappresentato da Bonifacio VIII: “Io sono Cesare, io sono Imperatore”, con cui viene a rafforzarsi la decadenza del concetto di mainbour, la forza dell’autorità dell’Impero sulla Madre Chiesa attraverso la potezione imperiale (secondo l’ordine di Melchisedek).
Le orde germaniche del nord preservavano i caratteri artici iperborei, le alterazioni rispetto ad essi erano minori, ed erano carichi di ethos. Ed il loro scontro-contatto con i romani-cristiani fu virilmente vivificante, come dimostano le successive incoronazioni Franche.
L’assegnazione di terre inizia ad essere la controparte assegnata ai futuri signori in cambio della fides dimostrata all’Impero in caso di conquista o difesa: ma inizialmente questo regime feudale fu solo un principio non cristallizzato, che lasciava libertà alle forze dinamiche della società, e allo stesso tempo permetteva – poiché non c’era dispotismo burocratico-amministrativo – di regolare tali forze in base ad “autorità e dignità”, ricalcando naturalmente e in base alla propria natura, la quadripartizione societaria delle classi ariane.
L’Impero non era sentito come una realtà superpolitica, ma come una istituzione di origine sovrannaturale.
Nonostante l’autorità “religiosa” della Madre Chiesa fosse ancora lì, si era ricostituita la regalità Imperiale.
E con questo che Evola intende con Medioevo ghibellino, e ciò anche grazie, dice Evola, all’etica aria della cavalleria
- nel capitolo della formazione degli stati nazionali parla anche di caste, e dice che ogni volta che una casta si rivolta contro quella superiore e si costituisce a sé, perde il carattere proprio che aveva nell’insieme gerarchico per riflettere quello della casta immediatamente inferiore.
Tale rivolta è tanto più anti-tradizionale quanto più è indebolito il principio superiore.
Così è stato anche nella nostra società l’assolutismo e la lotta fra i re e l’aristocrazia feudale, e successivamente le rivendicazioni borghesi. Su questo piano la fides non è più tradizionale e sacra, ma contingente e basata sulla convenienza;
- per quanto riguarda il Rinascimento, il vero “rinascimento” è quello medievale: nel Rinascimento storico infatti si perde l’unitarietà con quel centro regale e sacro, che è alla base della separazione fra profano e tradizionale, con la successiva creazione illusoria di un centro individuale autonomo (individualismo), al razionalismo cartesiano, e all’empirismo scientifico (che “ha distrutto ogni forma di rapporto con le forze segrete delle cose”);
- la Riforma protestante accentua questo processo, che fa sì che si accentui anche la distinzione, ormai secolarizzata, fra Chiesa e Stato.
La libera interpretazione delle Scritture, il fatto che l’uomo può giungere da sé alla salvezza, la “vita vana e perduta” che si attribuisce al monachesimo, ma anche la matrice calvinista che misurava la predestinazione personale in base al successo materiale, sono esempi di questa degenerescenza.
Evola addirittura accomuna protestantesimo e buddismo perché nascono in seguito alla degenerescenza di una casta sacerdotale, ma mentre il buddismo contrappone ad essa una via ascetica tradizionale, il protestantesimo va in direzione opposta.
- individua nella trasformazione e negli avvenimenti del mondo sino al kali yuga attuale un effetto karmico, come conseguenza di una serie di cause. E vede anche una forma ipotetica di restaurazione in una coscienza unitaria tradizionale europea, impossibile però da realizzare (se non con una vera e propria catarsi totale). Nonostante ciò, data anche (come dicevamo all’inizio dell’analisi del testo) la presenza di quell’essere immutabile e elemento spirituale dell’uomo, la Tradizione è sempre esistita e non può essere perduta (sebbene possa essere paragonata ad una “piccola vena”;
- Evola distingue poi fra “veglianti” che mantengono acceso il fuoco della Tradizione, coloro che hanno Desiderio (parola che uso io) e tendono alla Tradizione, e coloro che, come una lotta (Giacobbe con l’Angelo), “utilizzano i processi distruttivi dell’era moderna per usarli ai fini di una liberazione, come ritorcere il veleno contro se stessi e cavalcare la tigre” (questa via, dice Evola, è pericolosa ma può esser tentata).
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