Il 18 marzo 1996 è fissata una riunione del Consiglio di Amministrazione Telecom, e tra i vari punti c’è l’investimento di 1.200 miliardi di lire in Serbia.
A ottobre 1996 termina l’embargo per i Paesi della ex-Jugoslavia e “la volpe” Gianni Vitali bussa alla porta di Ernesto Pascale, amministratore delegato della Stet, la società cotrollante della Telecom (fino al luglio 1997, poi fusa con l’azienda a seguito delle privatizzazioni).
Pascale gli chiude la porta in faccia, così come Antonino Aloia, responsabile per le acquisizioni estere, dicendo che Vitali volesse tangenti.
Col beneplacito dell’allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi (poi Presidente della Repubblica) e dell’allora direttore generale del Tesoro Mario Draghi (oggi direttore della Banca d’Italia), il 30 gennaio 1997 salta la testa di Pascale, sostituito da Tomaso Tommasi di Vignano, torinese, che aveva lavorato all’Iri con Prodi.
Oltre la valenza economica dell’operazione c’era quella politica: il beneplacito all’operazione dell’allora ministro degli Esteri Lamberto Dino e del sottosegretario con delega ai Balcani Piero Fassino, permisero al regime serbo di Slobodan Milosevic di pagare gli stipendi arretrati, riorganizzare l’esercito, rivincere le elezioni.
Il 9 giugno 1997 viene stipulato l’accordo tra la Stet International Netherland, società di diritto olandese posseduta dalla Stet, per l’acquisto del 29% di Telekom Serbia (l’acquisto iniziale previsto era del 49%, poi il 20% è stato acquistato da Ote, la compagnia telefonica greca, e la Telecom italiana aveva messo un’operazione di 900 miliardi sotto “varie ed eventuali”).
La cifra sborsata è di 427 milioni di euro, 67 milioni in più (130 miliardi di lire) del valore effettivo, come calcolato dall’advisor Ubs, la banca elvetica.
La stima dell’Ubs, secondo Gerarduzzi e Spasiano (altri due dirigenti Telecom è bassa) e perciò chiedono alla banca di ritoccarla al rialzo [ma quando si compra non si cerca di spendere il meno possibile?].
Profumatissime anche le retribuzioni degli intermediari:
16 milioni di euro alla Mak environment, società macedone di mangimi per animali (?) (la metà sono finiti in mano di Gianni Vitali)
9 milioni di euro alla Natwest, advisor serbo
1,4 milioni di euro alla società greca D.A. Kourentis
Di altre parcelle si sono perse le tracce.
A fine dicembre 2002, Marco Tronchetti Provera, nuovo presidente Telecom, rivende quel 29% al ministero delle Poste serbo, per 195 milioni di euro, molto meno della metà di quanto l’aveva pagato Tommasi. Un vero affare.
A ottobre 1996 termina l’embargo per i Paesi della ex-Jugoslavia e “la volpe” Gianni Vitali bussa alla porta di Ernesto Pascale, amministratore delegato della Stet, la società cotrollante della Telecom (fino al luglio 1997, poi fusa con l’azienda a seguito delle privatizzazioni).
Pascale gli chiude la porta in faccia, così come Antonino Aloia, responsabile per le acquisizioni estere, dicendo che Vitali volesse tangenti.
Col beneplacito dell’allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi (poi Presidente della Repubblica) e dell’allora direttore generale del Tesoro Mario Draghi (oggi direttore della Banca d’Italia), il 30 gennaio 1997 salta la testa di Pascale, sostituito da Tomaso Tommasi di Vignano, torinese, che aveva lavorato all’Iri con Prodi.
Oltre la valenza economica dell’operazione c’era quella politica: il beneplacito all’operazione dell’allora ministro degli Esteri Lamberto Dino e del sottosegretario con delega ai Balcani Piero Fassino, permisero al regime serbo di Slobodan Milosevic di pagare gli stipendi arretrati, riorganizzare l’esercito, rivincere le elezioni.
Il 9 giugno 1997 viene stipulato l’accordo tra la Stet International Netherland, società di diritto olandese posseduta dalla Stet, per l’acquisto del 29% di Telekom Serbia (l’acquisto iniziale previsto era del 49%, poi il 20% è stato acquistato da Ote, la compagnia telefonica greca, e la Telecom italiana aveva messo un’operazione di 900 miliardi sotto “varie ed eventuali”).
La cifra sborsata è di 427 milioni di euro, 67 milioni in più (130 miliardi di lire) del valore effettivo, come calcolato dall’advisor Ubs, la banca elvetica.
La stima dell’Ubs, secondo Gerarduzzi e Spasiano (altri due dirigenti Telecom è bassa) e perciò chiedono alla banca di ritoccarla al rialzo [ma quando si compra non si cerca di spendere il meno possibile?].
Profumatissime anche le retribuzioni degli intermediari:
16 milioni di euro alla Mak environment, società macedone di mangimi per animali (?) (la metà sono finiti in mano di Gianni Vitali)
9 milioni di euro alla Natwest, advisor serbo
1,4 milioni di euro alla società greca D.A. Kourentis
Di altre parcelle si sono perse le tracce.
A fine dicembre 2002, Marco Tronchetti Provera, nuovo presidente Telecom, rivende quel 29% al ministero delle Poste serbo, per 195 milioni di euro, molto meno della metà di quanto l’aveva pagato Tommasi. Un vero affare.
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