Introduzione
In un contesto sociale contemporaneo in cui prende piede una progressiva scientizzazione di ogni veduta, anche della più astratta, si inserisce a pieno titolo il fatto che si può applicare una teoria generale ad aspetti meno consueti e meno “astrattizzabili” come l’ambito sociologico. Il tentativo posto in essere dalla scienza moderna è, in un quadro più ampio, quello di irradiare certezze e prevedibilità anche a spaccati per loro natura imprevedibili. Il conformizzarsi a mappe cognitive pre-esistenti e in continuo movimento è anche un aspetto non secondario di istituzionalizzazione di una razionalità umana considerata limitata e per questo intrinsecamente permeata di un grado di errore. L’analisi da me fatta mette in luce come in questa prospettiva universalistica possa essere inserita anche quella relazione di potere alla base dei rapporti umani, pur considerando il mio solo un tentativo marginale. Per questo, il ricorso alla teoria luhmaniana e l’esplicito richiamo alla termodinamica non sono che aspetti utili a supportare le mie teorie in merito. Il richiamo implicito è invece quello riferito ad Elias ed in particolare al concetto di zivilization, una prospettiva in chiave universalistica dei valori del mondo ben distinta da una originaria kultur.
GIONATA RICCI ALUNNI
La reinterpretazione dei sistemi valoriali contemporanei consente di analizzare, in una prospettiva multiparadigmaticamente [Kuhn] indefinita e indefinibile, situazioni e alternative tra di loro diverse mediante un approccio sintetico e generalizzante della complessità reale che tende alla omogeneizzazione dei tratti comuni e dei meccanismi di ogni fattispecie concreta. Ciò che costituisce il minimo comune denominatore di ogni singolarità e specificazione differenziata quotidianamente, è il percepire esse stesse come strutture sistemiche in armonia con una linearità teorica dei sistemi viventi iniziata da Husserl e Schutz, e continuata tramite il contesto epistemologico funzional-strutturalista di Luhmann. È con tale prassi sociologica che è possibile ricorrere a schemi interpretativi della realtà caratterizzati dalla necessità di riduzione di complessità.
Nel caso ad oggetto, l’ambiguità del potere si adopera alla perfezione per la conferma di una simile ipotesi: nel considerare l’ineliminabile processo di differenziazione interno del potere, e al tempo stesso il tentativo di considerarlo una “relazione sociale” omogeneizzandone la definizione, si guarda non solo verso teorie astratte e generali di un aspetto pratico, ma anche alla tendenza odierna di scientizzare e calcolare – razionalizzandolo – l’esistente. Una siffatta ipotesi risponde alla perfezione alla domanda se il potere è anch’esso un sistema vivente, proprio dei meccanismi attribuibili a qualsiasi altro sistema.
Parallelamente alla distinzione luhmaniana mondo-ambiente-sistema che segue una prospettiva di grado di indeterminabilità, dalla massima alla minima, sino allo spazio effettivamente praticabile, il potere-sistema presenta la concretizzazione delle possibilità presenti nell’ambiente. Coadiuvato da verità, amore ed arte, non a caso è un mezzo di comunicazione simbolica – e in sé, perciò, linguaggio – che nel rifiutare la causalità, la limitatività e la mera coercizione come meccanismo che lo regola, si proietta “legittimamente” in una variabilità di sistema dove fisiologicamente l’evoluzione è la normalità, e dove l’instabilità è un fattore necessario per la sua riproduzione: il mutamento e l’adattamento al nuovo stato-di-cose è condizione sine qua non per la sopravvivenza sistemica. In questa prospettiva è il più adatto – e non il più forte – a sopravvivere, e il potere, utilizzando per derivazione gli individui come strumenti di sua trasmissione, propaga ambiguità individualmente e collettivamente, esistenzialmente e strutturalmente, riproducendosi come in una mitosi cellulare allorché ineliminabile. Ed è proprio la sua ineliminabilità che fa del potere il principale centro di interessi individuali, di soggetti che tentano di dominarlo e che vi cercano rassicurazioni ma dal quale in realtà sono dominati, essendo un meccanismo comunicazionale e di interazione dinamica pressoché latente. Quello della dinamicità è un tratto fondamentale già richiamato, ma che in una interpretazione estensiva si ricollega direttamente al consenso per la riproduzione del potere, nonché ad un plusvalore sistemico ben riassunto dall’assioma dello strutturalismo gestalico che, in capo a Wertheimer, si rifà ad una concezione tale per cui “il tutto è più della somma delle singole parti”.
Ciò premesso, è importante considerare la complessità del sistema. Un sistema aperto caratterizzato da equifinalità, ovverosia da combinazioni diverse di possibilità per raggiungere i medesimi obiettivi, è tanto più adatto a sopravvivere e riprodursi quanto più differenziato e articolato sia al suo interno. Sposando tale tesi, l’autoreferenzialità (autolegittimazione) e l’autopoiesi (autoriproduzione dei suoi elementi costitutivi) sono determinanti, tanto più in un sistema complesso come quello del potere caratterizzato da un “sottosistema politico” [Luhmann] in cui vengono prese decisioni collettivamente vincolanti da partiti politici e gruppi di pressione (che costituiscono il “cuore dell’ameba”) e dalla pubblica amministrazione che, tramite l’attribuzione di ruoli e lo sviluppo di organizzazioni, attua i processi decisionali di base. E, scientificamente, la complessità è il nuovo paradigma che sostituisce quello lineare della fisica classica, ovvero che toglie prevedibilità ai sistemi non solo per la razionalità limitata umana [Simon], ma anche a causa della dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali del sistema, dalle quali differisce imprevedibilmente e con una sequenza di eventi casuali, conferendo ambiguità al sistema-potere e differenziandone le caratteristiche, anche con definizioni distorte (potenza, autorità, influenza, aggressività, incertezza, dominio, problematizzazione del potere). L’instabilità e le fluttuazioni del nostro universo fisico e biologico creano perciò sub-unità interagenti per la quali non ha la priorità la funzione (non struttural-funzionalismo parsonsiano), né una funzione gerarchizzata, né tantomeno una “complicazione” (somma meccanica delle parti senza effetti di interazione), ma la “complessità” che richiama di per sé la termodinamica come teoria generale. Se è vero – come è vero – che ciò che lega due sistemi è la temperatura e se è vero che sillogisticamente i sistemi S1 e S2 sono in equilibrio, e S2 è in equilibrio con S3, è altrettanto vero che S1 è in equilibrio con S3 (principio zero); nel caso concreto, allo stesso modo, se i sistemi potere, verità, amore e arte sono in equilibrio tra di loro e perciò la loro temperatura interna (relazioni, interazioni, scambi, informazioni, decisioni) è stabile e costante, se uno di essi si dovesse alterare, anche tutti gli altri saranno soggetti a turbolenze compensative. Il primo principio è invece un principio di conservazione dell’energia, la quale per permettere al sistema di funzionare e di espletare almeno le funzioni sufficienti al suo mantenimento deve essere consumata in parte per la produzione di lavoro, che non può essere prodotto ciclicamente facendo ricorso ad un’unica sorgente [Clausius e Kelvin], e che produrrà incessantemente ulteriore calore (secondo e terzo principio). Non potendo diminuire, l’entropia creerà maggior disordine, e con esso maggior complessità, che se non riequilibrata da chiusure operative adattive porterà inevitabilmente alla disintegrazione del sistema. Come un organismo che si nutre, produce lavoro, crea energia aggiunta che elimina tramite gli apparati escretori pena lo “scoppio” del sistema” [Palacios], anche il potere al suo interno produce energia, aumenta l’entropia e la riduce: non solo le relazioni sociali e i meccanismi di potere aggiungono plusvalore allo stato originario iniziale, ma creano sempre ambizioni ed interessi particolaristici in ogni individuo, nonché conflitti più o meno latenti [Roy], ma il sistema in sé si autotutela e limita tale entropia per mezzo della selezione, ossia concedendo ad alcuni maggior potere e facendo soggiacere ad esso altri. Inoltre, il retroterra relazionale alle basi del potere – e con esso il fatto che tali relazioni aggiungono temporalmente elementi rispetto al tempo precedente t-1 – è perfettamente in sintonia con l’unidirezionalità temporale di un sistema che aggiunge disordine, energia, complessità ma che non può tornare indietro. Rappresentando il disordine un gran numero di disposizioni dei sottosistemi interni al sistema, l’ordine è una relazione che permette di determinare la selezione di una particolare disposizione delle parti costituenti, tenendo conto anche dell’esistenza di un ordine precedente. Procedendo in questo senso, e considerando la tesi di Boltzman che considera l’entropia come il logaritmo di una probabilità, si può affermare che la probabilità è strettamente connessa con l’ordine di un sistema, essendo una dichiarazione circa la verosomiglianza del manifestarsi di un certo particolare evento fra tutti i possibili eventi che possono manifestarsi un dato sistema; detto ciò, una situazione improbabile tenderà con il passare del tempo a trasformarsi in una situazione più probabile. E, in richiamo al secondo principio, ogni sistema lasciato a se stesso tenderà in media a raggiungere lo stato caratterizzato dalla probabilità massima, che non vuol dire che il sistema passerà necessariamente in una configurazione più probabile ma solo che questo accadrà “in media”, cioè qualche particolare cambiamento potrà andare in un altro senso, ma con bassa probabilità. Ad esempio, pur tenendo in considerazione le dovute eccezioni, a livello di potere la governabilità di un impianto relazionale, o sociale, o politico, è data dalla scelta della situazione migliore per raggiungere gli obiettivi preposti non solo in base ad astratte preferenze, ma anche grazie all’eliminazione degli errori precedenti e all’accaparramento delle situazioni che invece hanno la massima probabilità di essere le migliori per quel contesto. Non solo. La probabilità è anche strettamente connessa con l’informazione, che consiste quindi nell’esclusione di alcune tra le possibili disposizioni alternative di un sistema, cioè ad una diminuzione di possibili probabilità e di aumento di ordine; intendendo, per informazione, non tanto “conoscenza”, quanto “conoscibilità”, è anch’essa condizione sine qua non sia per l’ordine interno e per le relazioni dei sistemi – e quindi anche del potere -, sia per una comunicazione intersistemica nell’ambiente. Maggior informazione crea maggior ordine, poiché la poca probabilità – e quindi una segmentazione eccessiva della probabilità complessiva – dà molta più informazione che una probabilità unica. Nella lingua italiana per esempio, lettere con una bassa probabilità.come z, q, h danno molte più informazioni che lettere più probabili; nella fattispecie l’ispessirsi delle relazioni sociali a causa dei meccanismi del potere all’interno e con l’esterno del sistema, creano segmentazione, quindi minor probabilità singole, quindi maggior informazione, e con ciò maggior ordine, disponendo all’uopo in più possibilità di scelta e di confronto che significano gestione dell’incertezza, tranquillità sociale, minor tensione individuale e collettiva, tutti elementi che contrastano con l’aumento di entropia sociale. L’irreversibilità dei processi di potere, come quelli dell’organismo umano, sono tali perché formati da cicli aperti e non da cilindri configurazionali finiti, e cioè chiusi, della macchina termica di Carnot che perciò tende al massimo disordine poiché scambia energia ma non materia (sostanzialità); tanto è vero che solo in un sistema isolato dove non è scambiata nemmeno energia, si avrà il massimo di entropia e quindi uno stato di equilibrio, così come avviene nell’Universo. Un sistema aperto è in grado di autorganizzarsi spontaneamente quando si trovi lontano dall’equilibrio, in seguito a perturbazioni esterne che inducono fluttuazioni casuali del sistema che non lasciano previsionabilità sul quando e sul come avverrà la messa in ordine; l’ordine strutturale è di per sé condizione necessaria ma non sufficiente a che ci sia una corretta interpretazione della complessità organizzata, vista la correlazione con un ordine funzionale, l’esistenza di gerarchie e di retroazioni (catena alimentare nell’ecosistema naturale, organizzazione aziendale nel mondo sociale,…). I sistemi biologici, molto complessi e ordinati, conservano e trasmettono informazione sotto forma di ordine e funzioni acquisite durante l’evoluzione, e tengono conto di un feed-back e di fluttuazioni che possono portare a instabilità e alla formazione di nuove strutture, ovverosia determinando incompatibilità con la regolarità e la prevedibilità classiche. Pur tuttavia in sistemi dinamici non lineari parametri variano in modo caotico in sistemi sani, mentre una variazione regolare può essere segno di patologia: non a caso si accennava prima a distorsioni intrinseche del potere che di per sé, se non stabilizzate e non regolari, sono presenti in un qualsivoglia campo di azione in cui interagisca un continuum mezzi-fini (funzionalità e relativa risposta del retroterra sociale) e in cui la relazione-potere permei gli agenti del sistema (strutturalità). È l’estremizzazione di determinate forme che porta invece alla patologia, così come un surriscaldamento della discrezionalità individuale dovuto ad un aumento dell’area di incertezza porta a soggiacere al potere in maniera pressoché remissiva, senza contare le conseguenti disfunzionalità caotiche. La dipendenza sensibile dei sistemi complessi alle condizioni iniziali, non descrivibili mediante leggi fisiche deterministiche, fa sì che il loro comportamento non è intrinsecamente indeterministico, ma che il problema sta nella fissazione di quelle condizioni iniziali mai conosciute appieno, e nella presenza inevitabile di errori nell’analisi – in questo caso – umana, conducenti ad una deviazione fra il comportamento previsto e quello reale. Nello specifico – e esponenzialmente –, per quanto piccola sia l’indeterminazione iniziale, l’incertezza corrisponderà ad un intervallo sufficientemente ampio in cui si innesta la discrezionalità individuale e i meccanismi di riproduzione del potere, in una situazione in cui la conoscibilità delle situazioni originarie, e con esse intendendo anche le cause che comportano un determinato assetto di potere, è scarsa o perlomeno ambigua. In effetti, storiograficamente le variabili o anche le costanti storiche variano e si sommano in base alle contingenze reali che comunque richiedono una numerosità abbastanza elevata di problematiche per innescare sociologicamente uno specifico tipo di potere e le conseguenti latenze che sottintendono ad esso, e le cui analisi in profondità sono molto spesso frammentarie e/o incomplete, o parzialmente errate, tanto che le dinamiche future di una situazione apparentemente simile possono discostarsi di gran lunga da quella già analizzata. Posizione a cui vanno aggiunti almeno due fattori da non sottovalutare: gli interessi particolaristici e le ambizioni individuali che sottintendono ai sottosistemi del sistema-potere, e le già ricordate relazioni con gli altri sistemi dell’ambiente, ossia una interpenetrazione e una desoggettivazione macrosociale che conduce a relazioni differenziali. Infatti, in un’ottica di autoproduzione e autopoiesi di sistemi sociali diversi da quelli meccanici, la qualità e la riduzione di complessità del sistema stesso date dal senso, sono affiancati ad interessi egoistici secondari al sistema ma che per la natura di impenetrabilità dello stesso spingono all’azione e – altra faccia della stessa medaglia – conferiscono instabilità. Contrariamente alla primazia dell’azione weberiana sul tutto, dunque, l’azione deve costituire un’autodescrizione del sistema per capirne le dinamiche, coadiuvata dalla presenza di un’informazione interna che non è necessariamente veritiera ma che in ogni caso corrisponde alle tendenze evolutive del sistema-potere, dove il potere non per forza di cose è bidirezionale al consenso, e dove nell’internalità la conflittualità latente è sempre presente. Infine però – e più in generale – il sistema-potere, proprio perché tale, è un sistema che entropicamente tende al disordine, ma che per non soccombere cerca “razionalmente” un ordine tramite una autoimmunizzazione, nonché decongestionando e componendo i conflitti essendo in grado di esperire un’azione a-conflittualizzante contro l’allentamento dei legami interni, la specializzazione, la cumulazione di effetti di rifiuto.
CONCLUSIONI
La tendenza attuale di ricondurre ogni aspetto della vita ad un approccio scientifico che generalizzi e astrattizzi ogni aspetto della vita reale, pur sempre tenendo conto dell’esistenza di molti altri approcci difformi, fa sì che anche studi sul potere possano essere ricondotti ad una teoria più generale; le elaborazioni di Luhmann rispondono perfettamente a tale esigenza, salvaguardando così la frammentazione dei nuovi paradigmi e al tempo stesso la loro generalizzazione, anche con il ricorso ad una neutralità di vedute. La termodinamica, in quanto legge generale, aiuta il formarsi di una simile teoria; e la portata di visioni così “perfezioniste” in ogni ambito comportano la fissazione a-prioristicamente dei limiti di ogni aspetto/”sistema” studiato e, implicitamente, il riconoscimento dell’esistenza di una individualità non scevra di difetti. All’uopo, si tenta di “razionalizzare l’insuccesso umano” [Feynman], laddove l’imprevedibilità è sempre presente.
Il sistema-potere non è perciò che uno fra i tanti sistemi, ma, proprio perché presente, fattore ineliminabile di influenza sociale.
(c) 2010, Dott. Gionata Ricci Alunni
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