Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze, Norberto Bobbio

Giovanni Rizzoni e dibattito aull'art. 49 della Costituzione Italiana

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Art. 49 [GIOVANNI RIZZONI]

Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

Precedenti costituzionali: art. 47 Progetto di Costituzione.

Riferimenti comparati: Estonia, art. 48; Francia, art. 4; Germania, art. 21; Grecia, art. 29; Lituania, art. 35; Lettonia, art. 102; Portogallo, art. 51 Cost.; Repubblica ceca, art. 5; Spagna, art. 6; Svezia, Cap. 111, art. 7.

Diritto UE: art. 12, 2° co., Carta dei diritti fondamentali.

Legislazione di riferimento: I. 195/1974; I.569/1981; I.515/1993; I. 2/1997; I. 157/1999; art. 153, I. 388/2000.

Giurisprudenza:
a) costituzionale: sentenze 1/1957; 14/1964; 114/1967; 74/1968; 15/1973; 83/1992; ord. 79/2006.
b) ordinaria: Cass. pen., sez. I, 1621/1972, Fiorenzi; Pret. Fasano, 28.2.1981, in Giur. it., 1982, I, 2, 194 55.; Cass., S.U., 6344/1984; Cass., S.U., 5837/1984; Cass. pen., sez. I, 4017/1986, Donati; Pret. Milano, 11.9.1990, in Giur. comm., 1991,524; Trib. Roma, sez. I civ., 23.3.1995, in Giur. cost., 1995, 1131.
c) Cedu: sentenze 30.1.1998, Parti comuniste unifié de Turquie; 31.7.2001 e 13.2.2003, Refah Partisi (Partide la prosperité) et Autres; 3.2.2005, Partidu/ Comunisti/or (Nepecerist/) et Ungureanu.

Precedenti, origine e linee evolutive

La problematica dei partiti politici nel quadro costituzionale
·        L’articolo in commento è uno dei primi esempi di riconoscimento in una moderna costituzione del ruolo dei partiti politici.
·        Per l'inserimento della nuova realtà dei partiti nel sistema costituzionale i costituenti scelsero il riferimento alla libertà dei singoli, incentrato sulla visione dei partiti quali «libere associazioni» di cittadini; rifiuto del modello organico di partito-Stato che aveva contrassegnato l'esperienza fascista
·        La collocazione dell'articolo tra le norme riguardanti i diritti politici dei cittadini non ne diminuisce tuttavia il forte ruolo di principio di struttura del sistema (principi fondamentali dell'ordinamento repubblicano e norme riguardanti la forma di governo contenute nella Parte II della Costituzione)
·        La disciplina costituzionale dei partiti incide 1) sullo svolgimento del principio di sovranità popolare espresso dall'art.l: principio della sovranità popolare secondo opzione pluralista fondata su libera competizione e confronto democratico 2) sull'opzione politica art. 3 secondo comma [rimuovere gli ostacoli che «impediscono [...] l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica [...] del Paese»]: progresso di ampliamento della effettiva partecipazione (innovazione con i partiti di massa rispetto al paradigma liberale ottocentesco fondato sul principio del libero mandato) Extrastatualità, debole istituzionalizzazione, massima apertura all'inclusione del pluralismo politico; si differenziano dalle scelte operate in altri ordinamenti costituzionali - come quello tedesco e più recentemente lo spagnolo - che hanno puntato ad introdurre limitazioni al possibile novero di orientamenti ideologici dei partiti, imponendone l'adesione ai principi della democrazia liberale e fissando al contempo i presupposti per una successiva definizione dello statuto giuridico e istituzionale delle formazione politiche
·        Profilo problematico tra forma e sostanza: già dalla letteratura costituzionalistica e sociologica prodotta nella prima metà del secolo scorso, si mette in luce che l’ideologia dell’art. 49 – partiti come libere associazioni di cittadini accomunati da un idem sentire – è sovrastata da partiti-organizzazioni rigidamente gerarchiche quando non orientate al prevalente sostegno di singole figure carismatiche: pervasivo potere di influenza che vanifica il tradizionale principio di separazione dei poteri (senza che ad esso facciano riscontro corrispondenti principi di responsabilità e trasparenza nei processi decisionali); appannarsi delle identità dei partiti e la loro frequente trasformazione in organizzazioni «pigliatutto» o in mere «imprese della politica» prive di una precisa caratterizzazione ideologica e sempre meno idonee a svolgere una funzione di coordinamento delle domande sociali
·        Il loro riscontro ha dato luogo ad altrettante sollecitazioni sull'ermeneutica dell'articolo in commento volte ad estrarre dalle sue scarne disposizioni un set di parametri minimi armonizzabili con le restanti norme costituzionali con riferimento alle caratteristiche organizzative, i principi di democrazia interna, i criteri e i limiti per l'azione dei partiti nell'ordinamento
·        Dall'altro canto, non sono mancate le proposte per rendere espliciti quei parametri attraverso ipotesi di formale revisione dell'art.49, talvolta con la ripresa delle soluzioni avanzate sul punto senza successo in sede di Assemblea Costituente

La genesi dell'art. 49 Cost.
·        Diretto riflesso della riemersione - dopo il 25 luglio del 1943 - nella vita politica del Paese dei partiti politici organizzati riuniti nei Comitati di liberazione nazionale. È noto il ruolo svolto dai partiti durante l'«ordinamento provvisorio» seguito alla caduta del fascismo e alla tregua istituzionale del 1946 e nelle vicende che portarono al referendum istituzionale del giugno 1946 e alla contemporanea elezione dell'Assemblea Costituente. Si è a questo proposito osservato come la nuova Costituzione sia stata “tenuta  a battesimo” dalla partitocrazia, tanto che l’art.49 si sarebbe limitato a riflettere una situazione già compiutamente giuridica 8.
·        L'attuale testo dell'art.49 riproduce molto da vicino la formulazione proposta da LELIO BASSO nell'ambito dei lavori della I Sottocommissione («Tutti i cittadini hanno diritto, di organizzarsi liberamente e democraticamente in partito politico, allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese» - Seduta del 19 novembre 1946); nella proposta di Basso l'articolo era seguito da una seconda disposizione riguardante il riconoscimento di attribuzioni di carattere costituzionale ai partiti con una soglia minima di rappresentatività 850mila elettori) nel Paese
·        Il dibattito su tale seconda disposizione si intrecciò con quello sulle proposte, presentate da MERLIN, MANCINI e CARESTIA, volte a connettere la libertà di associazione dei partiti al rispetto dei principi fondamentali di libertà e di dignità della persona umana: proposte che vennero interpretate come possibili basi per controlli sulla organizzazione interna e sull'orientamento ideologico delle formazioni partitiche e che trovarono una ferma opposizione soprattutto da parte comunista in ragione dei paventati rischi di abusi ed ingerenze ad opera di organi statali
·        Problema dello status giuridico dei partiti: nonostante un ampio consenso sul principio, la I Sottocommissione non pervenne tuttavia ad una formulazione testuale sul punto, preferendo approvare un ordine del giorno DOSSETTI con il quale, nel ribadire la necessità di affermare in Costituzione «il principio del riconoscimento giuridico dei partiti politici e delle attribuzioni ad essi di compiti costituzionali», si rinviava ad un esame congiunto con la II Sottocommissione; la riunione congiunta con la II Sottocommissione non ebbe tuttavia mai luogo, per cui il testo presentato dalla Commissione plenaria all'Assemblea venne a contenere solo l'articolo riguardante la libertà di associazione in partiti
·        L'esigenza di meglio precisare il senso dell'espressione «metodo democratico» come criterio riferito sia all'organizzazione interna dei partiti che alla loro condotta esterna fu riproposta nel corso dell'esame del testo in Assemblea da Costantino MORTATI. Sul punto, dopo avere ritirato una prima proposta, presentò in accordo con Ruggiero una seconda formulazione («Tutti cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino a metodo democratico nell'organizzazione interna e nell'azione diretta alla determinazione della politica nazionale»)
·        Il relatore MERLIN si dichiarò tuttavia contrario su tutti gli emendamenti tendenti ad introdurre regimi di riconoscimento giuridico o di controllo sulla vita interna dei partiti (posizioni contrarie anche di  Targetti, Laconi, Codignola e Lucifero, tanto da indurre Mortati al ritiro dell'emendamento): assenza di ogni riferimento attinente la struttura e democraticità interna dei partiti

Rapporto tra art.49 e art.18 Cost.
·        a) l'art.49 integra, ma non sostituisce, l'art.18. In questo schema, i partiti rimangono pertanto disciplinati in parte dall'art.18 e in parte dall'art.49.
b) l'art.49 esclude (in quanto norma speciale) l'applicabilità dell'art.18 al fenomeno dei partiti

·        La dottrina prevalente è nettamente orientata in favore della prima ipotesi ricostruttiva: il modello pluralista fa venir meno la netta distinzione tra il diritto comune delle associazioni e il trattamento giuridico delle associazioni politiche, distinzione invece presente nella disciplina del fenomeno associativo in epoca statutaria: l’art.18 fornisce le lienee-guida valide per tutte le associazioni, e fra queste anche i partiti; la legislazione ordinaria non può introdurre limitazioni ulteriori rispetto a quelle ammesse per la generalità delle associazioni dall'art.18 attraverso una serie di principi tassativi (non possono esservi norme di privilegio)

Lo statuto giuridico del partito politico
·        L’opzione di ricomprendere il nucleo fondamentale della disciplina dei partiti nell'ambito del diritto comune delle associazioni è stata pienamente confermata dalla legislazione ordinaria emanata in periodo repubblicano, che ha fatto propria una linea non interventista sia sul piano delle garanzie interne alla vita associativa dei partiti sia per quanto concerne il regime degli eventuali controlli esterni
·        Lo statuto giuridico dei partiti nel nostro ordinamento è infatti tuttora quello delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche, regolate in via generale dalle stesse norme codicistiche - artt. 36-38 c.c. - applicabili ad enti dalla strutturazione estremamente debole, quali ad esempio le associazioni di carattere ricreativo e culturale (lo stesso vale per risoluzione interna delle controversie)
·        Rispetto a queste norme di carattere generale, il filone senz'altro più rilevante della legislazione ordinaria è quello inaugurato nel 1974 con le disposizioni in tema di finanziamento pubblico dei partiti: anche tali norme, tuttavia, non sono intervenute nel merito della disciplina della struttura interna dei partiti, limitandosi ad introdurre alcuni obblighi concernenti la trasparenza finanziaria delle formazione politiche
[l. 195/1974 («Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici»), successivamente integrata e modificata dalla l. 659/1981. La legge prevedeva due tipi di finanziamenti ai partiti: il primo destinato a contribuire alle spese per il funzionamento ordinario dei partiti, il secondo erogato a titolo di rimborso delle spese elettorali sostenute per le elezioni politiche. La l. 659/1981 ha esteso il rimborso anche alle spese per le elezioni regionali e per il rinnovo del Parlamento europeo. Dopo l'intervento del referendum popolare del 18.4.1993 con il quale è stata abrogata la parte della legge riguardante i finanziamenti pubblici per il funzionamento ordinario dei partiti, la l. 515/1993 ha modificato la disciplina dei rimborsi elettorali. La normativa è stata nuovamente rivista dalla l. 2/1997, recante norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici. Questa legge prevedeva di connettere il finanziamento pubblico ai partiti alle dichiarazioni di contribuzione volontaria effettuate dai contribuenti cui veniva offerta la possibilità di devolvere a tale destinazione in sede di dichiarazione Irpef un importo pari al 4 per mille dell'imposta dovuta il meccanismo, chiaramente ispirato alla disciplina per l'attribuzione dell'otto per mille Irpef alle confessioni religiose riconosciute (o, in mancanza di tale indicazione, allo Stato), si è tuttavia scontrato con gravi difficoltà applicative ed è stato successivamente abrogato dalla l. 157/1999, recante nuove norme in materia di rimborso delle spese elettorali e referendarie e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai partiti. Tale ultima legge ha ripristinato il tradizionale istituto dei rimborsi per le spese elettorali prevedendo a tal fine il finanziamento di quattro fondi riguardo rispettivamente il rinnovo del Senato, della Camera, del Parlamento europeo e dei consigli regionali. I contributi derivanti da ciascuno dei quattro fondi sono ripartirti in «quote annuali», il che riporta il funzionamento del meccanismo dei rimborsi su modalità assai vicine a quelle proprie dei vecchi finanziamenti per il funzionamento ordinario dei partiti]
·        La scelta di una struttura giuridica estremamente rarefatta appare in linea con la tendenza delle istituzioni ad essere più «deboli» e informali e pértanto meno sottoponibili a controlli e verifiche esterne (DOUGLASC, LANCHASTER)

I caratteri distintivi dell'associazione partito politico
·        Tratti distintivi che caratterizzano l'associazione partito rispetto alle altre associazioni, anche di carattere politico: specifica finalità attribuita ai partiti: concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale; da tale finalità la dottrina ha ricavato il carattere necessariamente «generale» dell'operare dei partiti nella vita politica del Paese, carattere che vale a distinguere tali organizzazioni da altre formazioni che perseguono scopi politici solo temporanei o confinati alla trattazione di specifici problemi di carattere economico-sociale
·        Conseguente a tale visione è la classica definizione del partito politico come «parte totale», propria di una formazione sociale che, pur adottando una visione del mondo necessariamente caratterizzata da uno specifico indirizzo politico ideologico, è in grado di proporre una sintesi politica dei particolari interessi espressi dalla società
·        L’orientamento prevalente fa derivare dalla missione costituzionale dei partiti la partecipazione ad elezioni, essendo queste il principale canale di determinazione della politica nazionale (CRISAFULLI parla di un vero e proprio monopolio legale dei partiti)
·        I paesi europei prevedono più o meno le stesse disposizioni (art. 4 Cost. Francia «i partiti e i gruppi politici concorrono all'espressione del voto»; art. 7 capitolo m Cost. Svezia: «Per partito si intende qualsiasi associazione o raggruppamento di elettori che partecipi ad una elezione con una particolare denominazione»)
·        Contrasta questa opinione chi ritiene la partecipazione elettiva importante, ma non sufficiente per caratterizzare un partito: non è l’unica funzione costituzionale attribuita, ma una partecipazione permenente, con caratteri di stabilità e di permanente articolazione organizzativa; la missione è di stabilizzare la differenziazione, e di trasferirla all'interno delle assemblee politiche: i partiti da questo punto di vista «mettono ordine nel caos», attraverso un processo di strutturazione del voto (che li differenzia sia dai gruppi che da altri gruppi politici organizzati) (“più alta espressione della democrazia perché ricomprende la partecipazione alla gestione della politica”: LELIO BASSO)

L’ambito coperto dalla garanzia dell'art.49
·        La dottrina fa concordemente discendere l'esistenza di un diritto di non iscriversi ad alcun partito come libertà «negativa» a conferma del rifiuto di ogni visione organicistica del partito politico come tramite per l'espressione della sovranità popolare
·        Quanto invece alla configurabilità di un vero e proprio «diritto all'iscrizione» ai partiti politici, la dottrina ha rilevato in genere come la pretesa individuale di aderire ad un partito debba in ogni caso trovare contemperamento, con l'esigenza da parte di quest'ultimo di preservare la propria identità politico-ideologica anche attraverso la selezione degli aspiranti all'iscrizione. Il venir meno di tale facoltà determinerebbe del resto una lesione proprio di quel diritto di libera associazione in partiti che l'articolo in commento intende tutelare (anche per mezzo dell’espulsione)
·        Per quanto concerne la possibilità di riconoscere il diritto di cui all'art.49 Cost. anche ai cittadini stranieri, a differenza dell’art. 18 – generico sulla libertà d’associazione -, la limitazione ai soggetti aventi cittadinanza italiana del diritto in questione trovi assai più solidi argomenti sia di carattere testuale che sistematico: l’art.49, infatti, è collocato nella parte del testo costituzionale riservata ai rapporti politici fra cittadini (diritti e doveri) e cosa pubblica [nel febbraio 1979 l'allora Presidente della Repubblica Pertini rifiutò di ricevere, in quanto cittadino straniero, Fabre, segretario nazionale del partito radicale, nel corso delle consultazioni per la formazione del nuovo Governo]  [anche se per D’ORAZIOL la sola iscrizione non è lesiva degli interessi pubblici, lo diventa solo se influente a livello istituzionale e statale]
·        L’esperienza successiva ha però mostrato la struttura transnazionale dei nostri partiti, con membri di diversa nazionalità; la progressiva espansione dei diritti derivanti dallo statuto della cittadinanza europea ha incluso in tale ambito alcuni importanti diritti (elettorato attivo e passivo alle elezioni europee, alle elezioni locali l’attribuzione dei diritti elettorali anche ai cittadini stranieri dei Paesi UE, in forza di leggi ordinarie, superando di fatto l'interpretazione degli artt. 48 e 51 Cost. [L. 9/1989: diritto elettrato passivo al Parlamento Europeo dei cittadini UE - l'Italia era il solo dei Paesi europei ad ammettere tale possibilità - + D.L. 197/1996, in attuazione della direttiva 94/80/CEE; ma non applicazione del capitolo C della Convenzione di Strasburgo del 5.2.1992 tra i Paesi aderenti al Consiglio d'Europa riguardante la concessione del diritto di voto attivo e passivo alle elezioni locali]

Il «concorso» alla determinazione della politica nazionale tra principio partecipativo e parità di condizioni fra i partiti.
·        La Costituzione pone il principio del concorso come modalità attraverso la quale i cittadini associati in partiti sono chiamati a determinare la politica nazionale, con riferimento alla dinamica partecipativa-integrativa della volontà politica: orientando finalisticamente la stessa azione dei partiti, il concorso dei partiti appare strumentale rispetto al concorso dei cittadini
·        L’art.49 si riconnette per questo profilo all'art. 3 comma 2 (rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono, fra l'altro, «l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica del Paese): il concetto di”partecipazione permanente” non si ferma alle sole elezioni [infatti secondo l’art. 1 la sovranità appartiene al popolo]; inoltre, il principio della concorrenza rinvia ad una pluralità di orientamenti politico ideologici (libere opinioni nella discussione parlamentare, confronto tra maggioranza e minoranza parlamentare realizzato attraverso la tutela della minoranze, e l'attivazione del criterio dell'alternanza alla guida del Governo)
·        Garanzia di una posizione paritaria tra le diverse forze politiche in modo che siano assicurate a ciascuna di esse eguali opportunità di partecipazione nella formazione degli organi rappresentativi e alla determinazione dell'indirizzo politico (anche se con bilanciamento con altri profili ritenuti degni di tutela legislativa, come lo scoraggiamento di un'eccessiva frammentazione dell'offerta politica e la considerazione per la consolidata rappresentatività delle forze politiche già presenti)

Principio del concorso e sistemi elettorali
·        propaganda elettorale e profili attinenti l'accesso ai mezzi di comunicazione di massa: «par condicio» tra tutti i soggetti concorrenti nella competizione elettorale, con assoluta eguaglianza di trattamento fra le forze politiche; viene peraltro temperato dalle norme attualmente vigenti, sulla base del tradizionale criterio del favore verso le forze politiche già presenti nelle Assemblee uscenti [sent. 83/1992 Corte Cost.: dimostrazione di seria consistenza attraverso la dimostrazione di un nmero minimo di elettori, tranne che per i partiti o gruppi già presenti in Pralamento]; nella seconda fase, privilegiando nell'accesso alle trasmissioni le formazioni che coprano con la proprie candidature un minimo del bacino elettorale interessato dalla consultazione
·        ciò ha altresì dato luogo in tempi recenti ad una legislazione di carattere vincolistico sul piano della disciplina delle spese sostenute dai partiti nel corso della campagna elettorale (L. 51/1993 aggiornata dal D.L. 11/2006, poi L. 22/2006): col referendum abrogativo del 18.4.1993 le forme di finanziamento per l'attività ordinaria dei partiti, si prevede il rimborso delle spese elettorali sostenute per le elezioni nazionali, regionali ed europee (anche se la tendenza è di alargare la platea e di abbassare la soglia di accesso ai finanziamenti)
·        Ci si è chiesti in particolare se il principio del concorso da art. 49, non siano indici di un chiaro orientamento della Carta in favore di sistemi di rappresentanza proporzionali; risultato messo invece a repentaglio dalla adozione di sistemi fortemente maggioritari, ma che danno più stabilità (SARTORI); anche se gli artt. 72 e 82 (iter legislativo con approvazione in proporzione dei gruppi parlamentari; lo stesso per le commissioni d’inchiesta) prediligono il proporzionale, non è previsto come obbligatorio
·        Ad ogni modo, non si può in particolare ritenere che la scelta di un sistema maggioritario sia tale da compromettere il valore costituzionale della parità di condizioni fra le formazioni politiche, purché si attuai alternanza governativa e si rispetti il volere della sovranità popolare

Il metodo democratico: il rispetto della democrazia procedurale
·        Una prima indicazione pacificamente tratta dal principio del metodo democratico è quella concernente l'obbligo per i partiti di astenersi da ogni forma di azione violenta nei confronti dell'ordinamento democratico o nei confronti degli avversari politici – non come da art 49, che non lo specifica, ma da art. 18 (perseguimento di fini vietati dalla legge penale: sovvertimento ordinamenti democratici 270-270bis, cospirazione politica 305) [in dottrina sono stati sollevati dubbi sulla costituzionalità dell'art.270 c.p. in quanto il tenore della norma sembra chiaramente diretta solo alla repressione di associazioni politiche informate a particolari ideologie rivoluzionarie, in evidente contrasto con i principi di cui all'art.21 Cost. - PETIA. Tali rilievi non sono stati sino ad oggi accolti dalla giurisprudenza – che quindi ne amplia la portata -, pur riconoscendo come l'intento originario della disposizione fosse certamente quello di perseguire le associazioni comuniste e anarchiche]
·        anche  con la sent. 114/1967  Corte Cost. in cui si afferma che «in uno stato di libertà, qual è quello fondato dalla nostra Costituzione, è consentita l'attività di associazioni che si propongano anche il mutamento degli ordinamenti politici esistenti, purché questo proposito sia perseguito con metodo democratico, mediante il libero dibattito e senza ricorso, diretto o indiretto, alla violenza»
·        Secondo l'orientamento prevalente, dalla prescrizione del metodo democratico non sarebbero derivabili ulteriori limiti; ancor minor fondamento potrebbero trovare limitazioni dirette a colpire particolari orientamenti ideologici professati dai partiti: rifiuto della Costituzione di pzioni di “democrazia protetta” (come Germania, Grecia, Spagna, Est europeo), ma individua nel libero confronto fra le diverse posizioni politico-ideologiche presenti nella società la risorsa più adeguata per la più ampia integrazione delle forze politiche nel sistema democratico; per questo si vieta qualsiasi forma preventiva di controllo sugli scopi e l'orientamento ideologico dei partiti
·        La possibilità di rinvenire nel testo costituzionale il possibile fondamento per un tale tipo di controllo, simile a quello previsto dall'art.21 della Grundgesetz, è stata in particolare prospettata dall'ESPOSITO: il principio del metodo democratico dovrebbe portare ad escludere dalla competizione politica i partiti che abbiano tra i propri fini prossimi o remoti l'instaurazione di un regime che si ponga come scopo l'esclusione di una parte dei cittadini dalla vita politica, imponendo una qualsiasi dittatura di classe o di ceto; collegamento sistematico con la XII disposizione transitoria, che si riferirebbe ad un divieto più generale
·        In realtà, il carattere è effettivamente isolato della XII disposizione transitoria (riorganizzazione del partito fascista), anche se con portata ampliata anche l'attività di formazioni che comunque propagandino principi, fatti o metodi propri del partito fascista [applicata in pochi casi, tra cui quello di Ordine Nuovo; inoltre, oltre alla L. 645/1952 assumono natura «sussidiaria» le norme della «legge Mancino» (D. L. 122/1993) in materia di discrimanazione razziale, così come da ratifica dell’art. 1 dellla Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale]
·        Inoltre, n controllo preventivo sul carattere ideologico partitico è fatto dall’art.139: non modificabilità del regime repubblicano
·        Parte della dottrina propone anche di distinguere 1) tra le attività partitiche esclusivamente dirette alla diffusione di ideologie e programmi politici - che dovrebbero essere ritenute completamente libere nei limiti nei quali non incitano a comportamenti violenti o comunque illegali – 2) ed eventuali strategie d'azione degli stessi partiti volte sistematicamente ad impedire od ostacolare il normale funzionamento delle istituzioni democratiche, da vietare
·        Riconducendo queste opinioni con gli orientamenti adottati dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, per i Paesi aderenti alla Convenzione, secondo l'art.11 CEDU, gli orientamenti ideologici professati dai partiti, anche quando contrari all'ordinamento giuridico e costituzionale esistente, non possono essere motivo di limitazione della libertà di azione politica del partito a condizione che: 1) l’attività e gli effetti siano legali e democratici 2) i mutamenti politici promossi dal partito siano compatibili con i «principi democratici fondamentali» (la limitzione partitica in base alla sicurezza nazionale è possibile solo in caso di «bisogno sociale imperioso», guardando alle concrete condizioni di pericolo per l’ordine democratico) [vedi sent. CEDU 30.1.1998, Parti comuniste unifié de Turquie vs. caso avallato di sciogliemento del Refah Partisi turco, un partito fondamentalista islamico)

Le garanzie riguardanti la democraticità interna dei partiti
·        Il metodo democratico è un diritto dei cittadini: essendo la istituzione-partito solo strumentale rispetto al fine di assicurare la più ampia partecipazione dei cittadini alla determinazione della politica nazionale; imposizione di una serie di standard attinenti ai diritti di partecipazione degli associati che trascendono i requisiti che sarebbero richiesti, da una prospettiva strettamente privatistica, per la tutela delle posizioni individuali endoassociative [prospettiva storica: nella prima fase della storia repubblicana l'assenza di democrazia interna dei partiti si è rivelata funzionale al consolidamento delle principali formazioni politiche, poi una organizzazione oligarchica non risponde più alle esigenze]
·        Dal punto di vista legislativo c’è il pericolo di fare norme ingerneti all’interno dei partiti e alla loro autoorganizzazione; in via di principio, comunque, sono da ritenere illegali i partiti retti da organizzazioni autocratiche, che di fatto impediscano la libera partecipazione degli iscritti alla determinazione degli indirizzi di partito (come già visto – e a fronte di tale dibattito - la legislazione ordinaria ha optato per una linea di non intervento nella vita organizzativa dei partiti, che continua a trovare la propria disciplina nelle scarne disposizioni del c.c. e negli statuti delle singole formazioni politiche) [alcuni partiti prevedono nel proprio statuto l'istituzione di Commissioni di garanzia statutaria competenti a decidere in via definitiva sulle controversie riguardanti la vita interna del partito, tramite compromesso arbitrale libero; lo afferma anche sent. Tribunale Roma 1995 sul caso PPI, poi renterpretato da Piazza in “Rocco e i suoi fratelli”]; le sole disposizioni previste in merito sono contenute nella L. 157/99 e attengono alle pari opportunità: ogni partito che usufruisce dei rimborsi per le spese elettorali deve destinare una quota pari ad almeno il 5% delle somme ricevute ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla vita politica (peraltro priva di specifiche sanzioni in caso di inadempimento)
·        Nella stessa direzione vanno le disposizioni della L. 90/2004 in materia di elezione dei rappresentanti  italiani al Parlamento europeo: nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati, pena riduzione dei fondi corrisposti alle liste a titolo di rimborso delle spese elettorali; una delle prime disposizioni che richiama l’art. 54 Cost., dopo la riforma, sulla promozione con appositi provvedimenti delle pari opportunità tra donne e uomini ai fini dell'accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive
·        Poiché le norme di riferimento sono solo – per la maggior parte – civilistiche, c’è una chiara evoluzione della giurisprudenza di ammettere la giurisdizione ordinaria in materia di controversie interne ai partiti (a differenza di prima); e lo si fa in base all’art.2 Cost., che dichiara inviolabili i diritti fondamentali dei singoli anche nell'ambito delle «formazioni sociali» ove si svolge la loro personalità (oltre che un ampliamento su linea civilistica per la tutela delle minoranze)
·        Criticamente, la dottrina ritiene inappagante il superamento dell'originario modello privatistico sulla base della sola interpretazione giurisprudenziale, ritenendo necessario in proposito un esplicito intervento legislativo volto a dare maggiore formalizzazione allo statuto giuridico dei partiti (ad es. proposte di Mondoperaio – Pellicani, Pastore, Pinelli – giugno-luglio 1993)

Partiti e selezione delle candidature alle cariche pubbliche.
·        Potere quasi monopolistico dei partiti sulle candidature e acceso alle cariche pubbliche per cooptazione: profili critici aggravati con il passaggio al sistema elettorale maggioritario per le elezioni politiche che, attraverso il doppio sistema delle candidature (uninominali nei collegi e delle « liste bloccate» per la quota proporzionale), e lo stesso con la L. del 2005 (liste bloccate per tutti i seggi)
·        Di qui il riemergere delle proposte, più volte avanzate in passato, di assoggettare le procedure interne di selezione delle candidature ad un sistema di elezioni primarie sul modello statunitense del XIX secolo (MORTATI durante la Costituente, o recenti proposte di revisione dell’art. 49 dalla Commissione Bozzi); sulle modalità di introduzione delle primarie si registrano tuttavia opinioni differenziate: da una parte la dottrina ritiene la libera autoregolamentazione da parte dei partiti per mezzo degli Statuti, dall’altra si giustifica l'intervento di «ingerenza democratica» della legge con una disciplina generale di svolgimento delle primarie (svoltesi per ora il 16 ottobre 2005 – Prodi per l’Unione -, e il 14 ottobre 2007 – Veltroni per il PD -)

La «politica nazionale» tra programma di partito e indirizzo politico
·        Ricostruzione di un continuum tra volontà popolare espressa nelle elezioni, il partito risultato maggioritario nella consultazione elettorale e l'indirizzo politico di governo, con la conseguente valorizzazione del rilievo istituzionale dell'azione svolta dai partiti; sullo sfondo l'accettazione di un funzionamento di tipo maggioritario, con tuolo oppositivo dei partiti perdenti – provvisto di autonomo rilievo costituzionale di controllo
·        Le concrete condizioni di sviluppo della democrazia nel nostro Paese nel dopoguerra hanno tuttavia dato fondamento ad un modello interpretativo notevolmente diverso: politica nazionale come derivati del sistema-partito nel suo complesso (piuttosto che un elemento direttamente connesso alla investitura popolare di un indirizzo di governo espresso da un singolo partito o coalizione); politica nazionale basata più sullo stato-comunità che sullo stato persona (insieme di obiettivi e programmi a vari livelli)
·        Cala, cioè, il rilievo istituzionale dei partiti, fino a riproporre la concezione societaria e comunitaria dei partiti propria della visione liberale: no definizione chiara del collegamento azione partitica-forma di governo, con confinamento ad una sfera solo politica e debolmente formalizzata
·        Il mattarellum del 1993 ha poi complicato le cose: emersione prepotente del collegamento mandaro elettorale-partiti vincenti-programma di governo (osucrato nell’epoca della proporzionale)

Partiti e gruppi parlamentari
·        Collegamento tra partiti e gruppi parlamentari: principale tramite di istituzionalizzazione dei partiti per la definizione dell'indirizzo politico (che trasferisce all’intero dell’Assemblea legislativa i diversi orientamenti politico-ideologici della società – MORTATI -, come lo si nota dallobbligo dei parlamentare di dichiarare entro 2 – Camera - o 3 – Senato – giorni, l’appartenenza al gruppo)
·        Tale rapporto si traduce nella configurazione dei gruppi - attraverso i richiami degli artt.72 e 82 Cost. alla composizione delle commissioni in sede legislativa e delle commissioni d'inchiesta - come articolazioni necessarie interne alla rappresentanza parlamentare
·        Né la Costituzione, né i regolamenti parlamentari si spingono tuttavia sino a definire vincoli di dipendenza di carattere formale tra partito e gruppo parlamentare: questo rapporto rimane in gran parte «presupposto», a differenza di quanto avviene in altri ordinamenti (ad es. in quello tedesco – art. 10 del regolamento del Bundestag, che prevede che un gruppo sia formato da almeno il 5% dei parlamentari apparteneneti allo stesso partito, altrimenti è necessaria l’autorizzazione del Bundestag stesso)
·        Nel nostro ordinamento invece si permettno gruppi puramente parlamentari o incubatori di nuovi partiti, ricordando la rappresentanza «monoclasse» borghese, dove i partiti si configuravano come «partiti parlamentari», identificandosi sostanzialmente come liberi raggruppamenti di eletti accomunati da un idem sentire sui principali problemi politici. D'altro canto, i primi movimenti politici extraparlamentari erano caratterizzati per la loro concentrazione su specifiche issues delle quali promuovevano la considerazione da parte della rappresentanza parlamentare; con l'avvento dei partiti di massa organizzati nel territorio questo rapporto si inverte: sono i gruppi parlamentari a rappresentare la proiezione dei partiti in Parlamento e a svolgere il ruolo di principale «cinghia di trasmissione» tra programmi e linee di azione partitiche e agenda delle istituzioni rappresentative
·        Questi caratteri fondamentali del sistema rendono difficile configurare il gruppo parlamentare quale «organo » del partito di riferimento, anche per la pratica impossibilità da parte di quest'ultimo di vedere riconosciuti mezzi di potere legale sul gruppo; i regolamenti parlamentari tendono d'altro canto ad ampliare la sfera di autonomia dei gruppi (poteri nell'ambito dei procedimenti di organizzazione dei lavori delle Camere; questa tendenza è stata seguita anche dalla legislazione ordinaria, in particolare quella riguardante il finanziamento dei partiti); gli stessi statuti dei partiti politici rinunciano del resto ad impostare secondo un modello di dipendenza organica il rapporto con il rispettivo gruppo parlamentare, puntando piuttosto alla valorizzazione di una relazione inversa ad esempio con la previsione della necessaria presenza dei responsabili dei gruppi fra gli organi direttivi del partito (es FI art. 23, DS art. 15, Margherita art. 19)
·        Anche se, le nuove dinamiche - a ragion d’essere delle nuove riforme elettorali - inducono a rendere più stringente il collegamento tra programma elettorale del partito e azione politica del gruppo riducendo di fatto il margine di autodeterminazione di quest'ultimo: il sistema elettorale imperniato sulla sfida tra coalizioni «preventive" rende sempre meno funzionale la divisione in distinti gruppi parlamentari (secondo le logiche valevoli, invece, per la rappresentanza proporzionale)


Partiti e divieto di mandato imperativo
·        Un fondamentale controlimite presente nel testo costituzionale al principio democratico del «concorso permanente" dei partiti nella determinazione dell'indirizzo politico viene individuato nel principio della «rappresentanza nazionale» dell’art.67 Cost. [“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”], da rivalorizzare, per evitare sostanziale svuotamento delle istituzioni rappresentative a favore di una partitocrazia sostanziale
·        Secondo l'interpretazione più diffusa, tuttavia, la scelta politica del costituente è chiaramente indirizzata verso la prevalenza del principio democratico, e quindi la portata dell'art.67 sarebbe solo negativa e residuale: non possono esserci sanzioni statali per i parlamentari che si attengono alla disciplina di partito e di gruppo
·        Al dilemma tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa risponde la valorizzazione da parte della Costituzione del ruolo dei partiti politici quale strumento attraverso il quale i cittadini possono concorrere con continuità ed organicità alla determinazione delle direttive politiche permettendo in tal modo la concreta attuazione del principio enunciato dall'art.1 Cost., secondo il quale la sovranità «appartiene» al popolo in via continuativa e non solo nel momento delle elezioni
·        Ma l’art. 67 non è un mero relitto storico, poichè la Costituzione ha rifiutato ogni ipotesi di immedesimazione tra partiti e organi statali, mantenendo al contrario la sussistenza di distinte organizzazioni, di partito e di Stato, collaboranti fra loro, senza però che l'una assorba l'altra (ed è pertanto chiara la volontà dei costituenti di allontanarsi dal modello di partito organico prevalso durante il regime fascista che aveva dichiarato il P.N.F. partito unico del regime avente personalità giuridica, MORTATI) - garanzia tuttora necessaria
·        il rapporto tra gli artt.49 e 67 va in definitiva ricostruito non tanto in termini di giustapposizione ma di integrazione (azione partica come ricomposizione unitaria, allo stesso modo della rappresentanza politica – art. 67 – non è sezionale ma generale rispetto agli interessi sociali)

Le limitazioni all'attività dei partiti politici nella sfera amministrativa e giurisdizionale
·        Ai sensi dell'art. 110, i giudici sono soggetti solo alle legge; sulla base dell'art. 104 la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere
·        L'art. 97 prescrive che i pubblici uffici siano organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione; viene contestualmente fissato il principio dell'accesso ai pubblici uffici mediante concorso; l'art. 98 statuisce che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, inoltre – secondo il comma 3 - con legge si possano introdurre limitazioni al diritto di iscrizione ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero

I fattori di cambiamento della forma partito
·        Oggi, fortissimi fattori di cambiamento derivanti da dinamiche di carattere sociale, dall'evoluzione del sistema politico e dalle trasformazioni avvenute nel campo propriamente istituzionale: l'insieme di queste istanze incide in modo rilevante sul significato da attribuire ai principi enunciati nell'art. 49; la disposizione costituzionale fa certamente riferimento ai partiti come grandi formazioni organizzate nel territorio e aperte alla partecipazione popolare
·        Gli anni recenti hanno tuttavia posto in evidenza la sempre minore capacità di penetrazione nella società dei partiti e la scomparsa della tradizionale militanza di base: fenomeni che hanno attenutao il loro carattere di massa, e si è voluto leggere l’emergere di un modello leggero (privo o quasi di strutture nel territorio e prevalentemente concentrato nella partecipazione alla competizione elettorale e nella successiva attività di mediazione politica nelle istituzioni rappresentative)
·        Ciò ha rilanciato l'attualità delle problematiche riguardanti la democrazia interna dei partiti: indubbio indebolimento della struttura associativa «dal basso» di queste organizzazioni ne ha accentuato il carattere di «impresa della politica», con la conseguente ulteriore concentrazione dei processi decisionali nelle mani delle élites dirigenti e la prevalenza delle pratiche di cooptazione dall'alto; poi, è mutata la qualità della membership dei partiti che è sempre più composta da cittadini dai quali viene espressa una crescente domanda di partecipazione attiva alla vita delle formazioni politiche
·        Sul piano della definizione delle priorità dell'agenda politica e della articolazione delle domande sociali, i partiti soffrono inoltre la concorrenza sempre più stringente di altri canali istituzionali, come i media, le organizzazioni sindacali e di categoria, i soggetti collettivi che in vari campi perseguono il sostegno di singole istanze di rilevanza sociale (ad es. nel campo della tutela ambientale, dei diritti dei consumatori, delle relazioni di genere).
·        Queste dinamiche finiscono per incidere sulla stessa identità delle formazioni politiche: al venir meno dei pilastri che avevano orientato il sistema dei partiti italiani - la conventio ad excludendum, lo spartiacque ideologico orientato sulla divisione tra i due grandi blocchi planetari, la formula dell'arco costituzionale - si è rapidamente sostituita una nuova Gestolt fondata sul bipolarismo tra le due grandi coalizioni che si sfidano per la guida del Paese (differenti soluzioni di raccordo tra formule elettorali e assetti di governo, l'introduzione di forme di elezione diretta degli esecutivi a livello locale e regionale, la preferenza per moduli più flessibili); le forme di investitura diretta dei capi degli esecutivi collegate alla elezione delle assemblee rappresentative hanno incoraggiato d'altra parte la affermazione di «partiti del premier» fortemente collegati alla figura carismatica di singole personalità


II futuro istituzionale dei partiti
·        Risulta fortemente indebolita la configurazione del partito politico quale libera formazione sociale e principale tramite della partecipazione democratica dei cittadini nella vita politica del Paese; i partiti sembrano tuttavia restare organizzazioni non solo competitive, ma a tutt'oggi insostituibili (selezione della classe dirigente politica, la mediazione tra contrastanti istanze sociali e la loro traduzione in indirizzi politici dotati di un minimo di coerenza e compatibilità); le carenze – dovute ad es. alla cooptazione - si traducono immediatamente in disfunzioni gravi delle istituzioni della rappresentanza: di qui le proposte per l'introduzione sul piano costituzionale o della legislazione ordinaria di regole formali per garantire standard minimi (democrazia interna, riferimenti ideologici, programmi politici - obblighi di registrazione o di deposito degli statuti, obblighi di deposito del programma elettorale o di coalizione, ecc
·        Difficoltà di bilanciamento tra le esigenze di una maggiore regolamentazione e trasparenza e la necessità di evitare un'eccessiva «incorporazione istituzionale» (cioè distacco dalle istanze sociali e dalla domanda politica)

Riferimenti internazionali, sovranazionali e comparati
·        Il processo di formazione di un diritto  europeo non deve essere solo la sommatoria delle diverse realtà nazionali, ma una base di legittimazione per una nuova entità politica di dimensione europea: stato germinale della formazione di un sistema di partiti europei che possa fare da sostegno alla crescita di una Europa politica; la difficile strutturazione di formazione politiche realmente radicate su scala europea fonda uno dei principali motivi delle posizioni scettiche espresse da una parte della dottrina
·        L’attuale fase dei partiti europei è quella storicamente iniziale: la della autonomizzazione dai gruppi parlamentari; le grandi famiglie politiche europee sono venute definendosi prevalentemente attraverso processi di incorporazione delle rappresentanze partitiche nazionali nei maggiori gruppi politici presenti nel Parlamento europeo che si può pertanto definire la grande incubatrice dei futuri partiti a livello continentale
·        Ciò sembra avere rilevanti conseguenze sul piano dello stato giuridico dei partiti nazionali: secondo l'art. 191 Tr.CE «i partiti politici a livello europeo sono un importante fattore per l'integrazione in seno all'Unione. Essi contribuiscono a formare una coscienza europea e ad esprimere la volontà politica dei cittadini dell'Unione »; l’art. 12 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, nel garantire la libertà di associazione, segnatamente in campo politico, sindacale e civico, afferma inoltre che «i partiti politici a livello dell'Unione contribuiscono ad esprimere la volontà politica dei cittadini dell'Unione»; coì come le disposizioni art. 1-45 comma 4 Tr che istituisce una Costituzione per l’Europa [in tutto ciò c’è un forte riconoscimento del ruolo dei partiti, prevalentemente incentrato sull'aspetto della libertà di associazione e sulla funzione di integrazione politica dell'Unione]
·        Passi ulteriori verso una definizione del regime giuridico dei partiti politici sono stati tuttavia effettuati dopo la decisione della Corte dei conti europea riguardante la illegittimità dei finanziamenti sino ad oggi corrisposti ai partiti dai rispettivi gruppi parlamentari del Parlamento europeo: per ovviare alle difficoltà di sopravvivenza dei nascenti partiti europei derivanti da tale decisione, il Trattato di Nizza ha aggiunto un comma all' art. 191 Tr.CE ai sensi del quale «il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'art. 251 [e cioè a maggioranza] determina lo statuto dei partiti politici a livello europeo e, in particolare, le fonti del loro finanziamento»: si provvede in questo modo a risolvere il problema della base giuridica per il finanziamento delegando la responsabilità al Consiglio [norma entrata in vigore il 4 novembre 2003, che stabilisce anche i criteri per definirsi “partito politico europeo”: a) avere personalità giuridica nello Stato membro in cui ha sede b) aver conseguito almeno il 3% dei voti nelle ultime elezioni al Parlamento europeo in almeno un quarto degli Stati membri o essere rappresentato da parlamentari europei, nazionali o regionali in un ugual numero di Stati c) rispettare, nel programma e nell'azione, i principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali d) partecipare alle elezioni del Parlamento europeo]
·        Perciò i principi di riferimento sono quelli della democrazia pluralista, dove prevale il modello tedesco rispetto all’originario più simile al nostro ordinamento italiano; allo stesso modo, è evidente che la definizione di un «modello europeo» di partito politico difficilmente sarà privo di conseguenze anche sui partiti nazionali (saranno formazioni unitarie transnazionali, ma anche alleanze tra partiti affini in ambito nazionale) [distinguere tra partiti europei e partiti nazionali diventerà probabilmente sempre più difficile]
·        Ad ogni modo, l'art.49 Cost. non risulta oggetto di proposte di revisione costituzionale; e l’art. 191 Tr.CE non implica alcun trasferimento di competenze alla Comunità europea e lascia impregiudicata l'applicazione delle pertinenti norme costituzionali nazionali

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