Luhmann: Stato di diritto e sistema sociale.
Introduzione
Implicitamente al tema del giornalismo, la prospettiva che vuole essere messa in luce riguarda le connessioni logiche e teoriche riscontrabili nei modelli proposti da Luhmann e Sartori, con le implicazioni evidenziate per ciò che attiene al parallelismo nei sistemi mass mediali.
In particolare, un punto di contatto tra i due autori è costituito dalla presentazione del problema attraverso un approccio sistemico, sia per quanto riguarda l’aspetto della comunicazione, sia per quello della politica.
La tesi principale concerne l’ineliminabilità del parallelismo tra mass media e altri sistemi dell’ambiente, siano essi politici o economici, nonché l’esistenza di più parallelismi; si prende in considerazione il fatto che spinte autonomatizzanti siano state tentate, ma allo stesso modo siano fallite.
Particolare attenzione è dedicata all’omogeneizzazione sistemica, che viene interpretata come compenetrazione di più – e diversi – interessi, seguendo sempre un’ottica funzional-strutturalista la quale pone particolare accento sul fatto che «tali elementi [della ricerca] devono essere adeguatamente resi astratti per poter sostenere temi mutabili» [Luhmann, 1978, p. 109].
La reinterpretazione dei sistemi valoriali contemporanei consente di analizzare, in una prospettiva multiparadigmaticamente [Kuhn] indefinita e indefinibile, situazioni e alternative tra di loro diverse mediante un approccio sintetico e generalizzante della complessità reale che tende alla omogeneizzazione dei tratti comuni e dei meccanismi di ogni fattispecie concreta. Ciò che costituisce il minimo comune denominatore di ogni singolarità e specificazione differenziata quotidianamente, è il percepire esse stesse come strutture sistemiche in armonia con una linearità teorica dei sistemi viventi iniziata da Husserl e Schutz, e continuata tramite il contesto epistemologico funzional-strutturalista di Luhmann. È con tale prassi sociologica è possibile ricorrere a schemi interpretativi della realtà caratterizzati dalla necessità di riduzione di complessità.
Nel caso ad oggetto, concentrarsi sull’ineliminabilità del parallelismo che permea il sistema della comunicazione – che può voler significare parallelismo con il mondo della politica o con quello dell’economia –, ci consente di trovare un punto di contatto tra le teorie di Sartori e Luhmann. Parallelamente alla distinzione luhmaniana mondo-ambiente-sistema che segue una prospettiva di indeterminabilità, sino allo spazio effettivamente praticabile, il sistema presenta la concretizzazione delle possibilità presenti nell’ambiente. L’idea dell’autoemancipazione della comunicazione come sistema Altro-da-Sé ha la dinamica pressoché latente di relazionalità, intesa come plusvalore sistemico, ben riassunto dall’assioma dello strutturalismo gestalico che, in capo a Wertheimer, si rifà ad una concezione tale per cui “il tutto è più della somma delle singole parti”. Con questo si vuol perciò sostenere che l’importanza della funzione comunicativa sta proprio nel fatto di essere un sistema aperto caratterizzato da equifinalità, ovverosia da combinazioni diverse di possibilità per raggiungere i medesimi obiettivi: ed è tanto più adatto a sopravvivere e riprodursi, quanto più è differenziato e articolato al suo interno. Sposando tale tesi, l’autoreferenzialità (autolegittimazione) e l’autopoiesi (autoriproduzione dei suoi elementi costitutivi) sono determinanti, ancor più in un sistema in cui non solo «la differenziazione funzionale conduce (…) alla sovrapproduzione di corrispondenti rappresentazioni (…) e, quindi, all’obbligo di selezione per tutti i partecipanti al gruppo» [Luhmann, 1978, p. 91], ma inoltre «la sua funzione non consiste nel far affermare la volontà – la volontà popolare, quella finzione del semplice pensiero casuale – ma nell’ordinare operazioni selettive» [ibidem, p. 127].
Introducendo il concetto di selezione, al tempo stesso si introduce però anche l’idea di escludibilità: in effetti, la sovrapposizione media/politica esclude – o rende meno importante – la sovrapposizione media/economia. Ciò che rimane è invece il retroterra relazionale, e con esso il fatto che tali relazioni aggiungono elementi rispetto al tempo precedente t-1 in perfetta sintonia con l’unidirezionalità temporale di un sistema che non può tornare indietro, pur considerando che «la storia, di solito, non si muove in modo omogeneo» [Hallin-Mancini, 2004, p. 255].
Rappresentando il disordine come un gran numero di disposizioni dei sottosistemi interni al sistema, l’ordine è una relazione che permette di determinare la selezione di una particolare disposizione delle parti costituenti, tenendo conto anche dell’esistenza di un ordine precedente. Procedendo in questo senso, e riprendendo la tesi di Boltzman secondo cui l’entropia è paragonabile al logaritmo di una probabilità, si può affermare che la probabilità è strettamente connessa con l’ordine di un sistema, essendo una dichiarazione circa la verosomiglianza del manifestarsi di un certo particolare evento fra tutti quelli potenzialmente possibili; detto ciò, una situazione improbabile tenderà – con il passare del tempo – a trasformarsi in una situazione più probabile. E, in richiamo al secondo principio della termodinamica, ogni sistema lasciato a se stesso tenderà in media a raggiungere lo stato caratterizzato dalla probabilità massima, che non vuol dire che il sistema passerà necessariamente in una configurazione più probabile ma solo che questo accadrà “in media”: qualche particolare cambiamento potrà cioè andare in un altro senso, ma con bassa probabilità. Ad esempio, per calarci nel caso concreto e non dimenticando le dovute eccezioni, in media è più probabile che Paesi risultanti da un tardo sviluppo del sistema capitalistico liberale come l’Italia conservino un sistema politico pluralista polarizzato unito ad una alto grado di parallelismo politico piuttosto che economico, in cui «i quotidiani di solito si identificano con i diversi orientamenti ideologici, e la tradizione di partigianeria e di giornalismo incline al commento è spesso forte» [ibidem, p. 57] (L’Unità, Il Giornale), dove «non vi sia alcuna separazione tra conflitto e cooperazione: si cerca cioè di conquistare il consenso di coloro contro i quali si argomenta» [Luhmann, 1978, p. 89], e in cui – per dirla alla Pansa – il giornalista è dimezzato [1]. Ciò può sembrare banale, ma letto in relazione a quanto si dirà più avanti, acquista maggior spessore.
È in modo specifico con Sartori che appare come ci sia una tendenza coagulante, di osmosi o «onnicomprensivismo» [Hallin-Mancini, 2004, p. 258] intra ed inter sistema; infatti pur essendo innegabile una differenziazione funzionale ineliminabile e un «bisogno di variazione strutturale nel sottosistema» tanto che si afferma l’«essere-possibile-anche-diversamente» [Luhmann, 1978, pp. 93, 104], è pur tuttavia vero che le esigenze di sopravvivenza del sistema permettono un meccanismo di autodifesa ingroup per proteggersi dall’outgruop circostante. Ecco, quindi, che in un sistema pluralista polarizzato – come nel caso italiano – non ci sono solo spinte centrifughe, ma un centro (Dc) che anche se non costituisce centralità, comunque conferisce omogeneizzazione. E non solo. Al fattore endosistemico si aggiunge anche quello esosistemico in riferimento alla sovrapponibilità col sistema mass mediale e, dunque, all’alto livello di partigianeria.
In confutazione di tale tesi si potrebbe asserire – giustamente – che questo possa valere in determinati modelli, ma non in altri. In realtà, tralasciando il modello democratico corporativo, che per la sua stessa natura è di per sé tendente all’omogeneizzazione in quanto portatore della ponderazione di tutte le istanze che provengono dalla società civile – e comunque incorporabile in parte sia nel modello liberale sia in quello mediterraneo poiché è un sistema misto –, anche nell’idealtipo liberale si può riscontrare coagulazione interna ed esterna. Dopotutto anche nell’estremo bipartitismo londinese, o americano, con «partiti pigliatutto» [Sartori, 1982 e 2004] le relative posizioni ed ideologie non sono agli antipodi, i temi ed i programmi sono similari; e ad ogni modo, il sol fatto di essere caratterizzati da “alternanza stabile” è già di per sé garanzia di non discostamento assoluto dalle posizioni dell’opposizione per non subirne conseguenze future. E ancor più forte è l’autosomiglianza esterna: l’apparente posizione di sistema autonomo e indipendente, dal punto di vista del sistema della comunicazione ad esempio, viene subito a cadere quando si scopre l’influenzabilità e la retroazione non più col sistema politico, ma con quello economico. Appurato che fase commerciale significa «specifico mercato, sia esso rappresentato dal mercato pubblicitario, come si sviluppa inizialmente negli Stati Uniti, o dal mercato monopolistico dello Stato (Tv pubblica), come accade in Europa, oppure dal mercato rappresentato dai consumatori finali (televisione a pagamento)», e constatato che «il canone assicura alle emittenti una fonte di ricavo indipendente da pressioni esterne da parte di interessi commerciali» [Dematté-Perretti, 2002, pp. 10, 35], c’è da considerare però che «la videocrazia porta soltanto a un populismo plebiscitario che è tutto demagogia e niente democrazia: (…) il dubbio è se la televisione sia un’entità di mercato riconducibile in tutto e per tutto alle leggi del mercato», visto anche che «l’Auditel pone e impone una concorrenza al ribasso nella quale la merce cattiva scaccia la merce buona». Inoltre per ciò che attiene alla televisione pubblica, il vero problema «sta nella nozione di servizio pubblico (…): un servire che ha per oggetto cose pubbliche e per fine l’interesse generale». «Nel caso della Rai l’interesse pubblico è pressoché sparito (…). Chi dirige la nostra tv di Stato si interessa soltanto di
[1] citato in Hallin-Mancini [2004]
evitare grane politiche e di vincere, nell’interesse della sua poltrona, la gara degli ascolti » [Sartori, 2004, pp. 392-400].
Il fatto che il parallelismo sia ineliminabile – e per parallelismo in un’accezione estensiva si intende con-fusione di aspetti intersistemici interagenti – non spiega però perché si parli di clientelismo nei sistemi consensuali e non se ne parli in quelli maggioritari. Oltre la già detta alternanza, infatti, la differenza sfuma poiché la ponderazione di tutti gli interessi in gioco c’è ovunque; pur tuttavia rimanendo astrattamente ancorati alla teoria sistemica, la spiegazione che si tenta di dare è che l’interpretazione di «familismo amorale» [Bansfield] si estrinsechi da un particolarismo che permea il sistema nella sua totalità ed è una sua caratteristica basilare, a differenza di una influenza meno radicata e sotto-sistemica del modello liberale.
In base alle suddette premesse, il punto nodale viene ad essere non tanto l’esistenza del parallelismo, che ora sappiamo appurata, ma: perché la variabilità di più parallelismi e paradigmi? L’esistenza di una vasta gamma di situazioni che hanno la massima probabilità di essere le migliori per un determinato contesto, ci fanno capire che si lasciano in disparte le alternative contingentalmente meno probabili per conferire maggior ordine all’ambiente sociale. L’irreversibilità dei processi di sistematizzazione sistemica sono tali perché – come quelli dell’organismo umano – formati da cicli aperti e non da cilindri configurazionali finiti, chiusi [Carnot]. Un sistema aperto è in grado di autorganizzarsi spontaneamente quando si trovi lontano dall’equilibrio, in seguito a perturbazioni esterne che inducono fluttuazioni casuali del sistema che non lasciano previsionabilità sul quando e sul come avverrà la messa in ordine; l’ordine strutturale è di per sé condizione necessaria ma non sufficiente a che ci sia una corretta interpretazione della complessità organizzata, vista la correlazione con un ordine funzionale, l’esistenza di gerarchie e di retroazioni (catena alimentare nell’ecosistema naturale, organizzazione aziendale nel mondo sociale,…). E la chiave sta proprio in questa complessità. In sistemi dinamici non lineari, i parametri variano in modo caotico in sistemi sani, mentre una variazione regolare può essere segno di patologia: «Bohm considera il processo, il flusso e il cambiamento come caratteristiche fondamentali», che realizzano un ordine espressione di potenzialità, il quale «è considerato come un processo creativo che, al pari di un ologramma, è caratterizzato dal fatto di contenere il tutto in ogni sua parte», pur non dimenticando che «ogni sistema vivente è un sistema interattivo autonomo e organizzativamente chiuso» strutturalmente formato da autonomia, circolarità e autodeterminazione, il cui fine «è rappresentato dall’autoriproduzione» [Maturana e Varela] [2]. In effetti, storiograficamente le variabili o anche le costanti storiche variano e si sommano in base alle contingenze reali che comunque richiedono una numerosità abbastanza elevata di problematiche per innescare sociologicamente uno specifico tipo di comunicazione e le conseguenti latenze che sottintendono ad essa. Un sistema, proprio perché entropicamente tende al disordine, per non soccombere cerca “razionalmente” un ordine tramite una autoimmunizzazione, nonché decongestionando ed esperendo un’azione a-conflittualizzante contro l’allentamento dei legami interni, la specializzazione, la cumulazione di effetti di rifiuto.
Poiché la natura combatte il caos con il caos, che diventa perciò regolarità nelle moltitudini sistemiche, sembrerebbe che capendo i processi che all’uopo conducono e al caos (imprevedibilità dell’evoluzione futura del sistema) e all’anti-caos (conferimento di nuovo ordine), ci sia maggior stabilità nella prevedibilità del risultato. Al contrario, invece, il caos risulta fondamentale rispetto all’ordine, è la situazione più comune in natura, è robusto e stabile, per definizione imprevedibile, mentre l’ordine è relativamente raro e può essere facilmente distrutto dalla piccola perturbazione: la
[2] citato in Morgan [2004]
complessità non è rarità o patologia ma quasi-totalità. Pertanto i processi di autoregolazione dei sistemi non sono altro che un adattamento al caos [Casati], una forma di resistenza flessibile che genera continui mutamenti e che rende in tal modo possibile l’evoluzione – della vita e non – evitando l’azzeramento entropico totale e garantendo la sopravvivenza. La rete continuamente si forma, e attraverso sincronicità e irripetibilità crea ordine disordinato; ergo – paradossalmente – la normalità caotica e le strutture dissipative, per quanto imprevedibili, poiché altamente probabili, configurazionalmente creano ordine. Ci si proietta perciò in una variabilità di sistema dove fisiologicamente l’evoluzione è la normalità, e dove l’instabilità è un fattore necessario per la sua riproduzione: il mutamento e l’adattamento al nuovo stato-di-cose è condizione sine qua non per la stessa sopravvivenza sistemica. In questa prospettiva è il più adatto – e non il più forte – a sopravvivere.
L’instabilità e le fluttuazioni del nostro universo fisico e biologico creano perciò sub-unità interagenti per la quali non ha la priorità la funzione (non struttural-funzionalismo parsonsiano), né una funzione gerarchizzata, né tantomeno una “complicazione” (somma meccanica delle parti senza effetti di interazione), ma la “complessità” che richiama di per sé la termodinamica come teoria generale.
È in linea con tale teoria che ritengo il parallelismo politico ed economico come due aspetti di uno stesso caos, ovviamente non nell’accezione pura del termine – al fine di evitare astrazioni oltremodo esagerate – ma in quanto cum-fusione di diversi aspetti sistemici che portano alla sovrapposizione sistema consensuale-alto livello di partigianeria del giornalismo (media/politica) nel caso – per così dire – meno evoluto, e sistema maggioritario-alta professionalizzazione-alta commercializzazione (media/economia) nel caso liberale. Si capisce, a questo punto, come anche la temporanea o apparente distinzione/indipendenza di un sistema mass mediale autonomo, che a detta di Luhmann è anche il sistema per eccellenza poiché ha il compito di mantenere in collegamento tutti gli altri sistemi, costituisca quello stato di non-confusione e di ordine che però non rappresenta la normalità ambientale, ma che invece ha un continuo bisogno di continui feedback positivi e negativi su cui adattarsi per continuare a sopravvivere, e di conseguenza di rimodellarsi nel disordine.
Ce lo conferma lo stesso Luhmann quando afferma che «la società ha raggiunto una complessità e una contingenza tanto elevate che la “guida” dell’ulteriore sviluppo sociale non si identifica più con le decisioni quotidiane, non può più spettare a singole persone (…), ma deve essere affidata ad una struttura più instabile» [1978, p. 128], o anche Sartori nell’affermazione che «i sistemi imperniati al centro “non cambiano”; ma lascia supporre che tali sistemi siano caratterizzati da cambiamento inerziale e, soprattutto, da movimenti di rimbalzo e, come tali, a casaccio» [1982, p. 39].
Riferimenti bibliografici
C. Dematté – F. Perretti [2002, 2a ed.]
L’impresa televisiva, Milano, Etas
D. Hallin – P. Mancini [2004]
Modelli di giornalismo, Bari, Laterza
N. Luhmann [1978]
Stato di diritto e sistema sociale [pp. 85-129], Napoli, Guida Editori
G. Morgan [2004, 2a ed.]
Images – Le metafore dell’organizzazione, Milano, FrancoAngeli
G. Sartori [1982]
Teoria dei partiti e caso italiano, Milano, SugarCo Edizioni
G. Sartori [2004] Mala Tempora, Milano, Edizione Mondolibri su licenza Laterza
Introduzione
Implicitamente al tema del giornalismo, la prospettiva che vuole essere messa in luce riguarda le connessioni logiche e teoriche riscontrabili nei modelli proposti da Luhmann e Sartori, con le implicazioni evidenziate per ciò che attiene al parallelismo nei sistemi mass mediali.
In particolare, un punto di contatto tra i due autori è costituito dalla presentazione del problema attraverso un approccio sistemico, sia per quanto riguarda l’aspetto della comunicazione, sia per quello della politica.
La tesi principale concerne l’ineliminabilità del parallelismo tra mass media e altri sistemi dell’ambiente, siano essi politici o economici, nonché l’esistenza di più parallelismi; si prende in considerazione il fatto che spinte autonomatizzanti siano state tentate, ma allo stesso modo siano fallite.
Particolare attenzione è dedicata all’omogeneizzazione sistemica, che viene interpretata come compenetrazione di più – e diversi – interessi, seguendo sempre un’ottica funzional-strutturalista la quale pone particolare accento sul fatto che «tali elementi [della ricerca] devono essere adeguatamente resi astratti per poter sostenere temi mutabili» [Luhmann, 1978, p. 109].
La reinterpretazione dei sistemi valoriali contemporanei consente di analizzare, in una prospettiva multiparadigmaticamente [Kuhn] indefinita e indefinibile, situazioni e alternative tra di loro diverse mediante un approccio sintetico e generalizzante della complessità reale che tende alla omogeneizzazione dei tratti comuni e dei meccanismi di ogni fattispecie concreta. Ciò che costituisce il minimo comune denominatore di ogni singolarità e specificazione differenziata quotidianamente, è il percepire esse stesse come strutture sistemiche in armonia con una linearità teorica dei sistemi viventi iniziata da Husserl e Schutz, e continuata tramite il contesto epistemologico funzional-strutturalista di Luhmann. È con tale prassi sociologica è possibile ricorrere a schemi interpretativi della realtà caratterizzati dalla necessità di riduzione di complessità.
Nel caso ad oggetto, concentrarsi sull’ineliminabilità del parallelismo che permea il sistema della comunicazione – che può voler significare parallelismo con il mondo della politica o con quello dell’economia –, ci consente di trovare un punto di contatto tra le teorie di Sartori e Luhmann. Parallelamente alla distinzione luhmaniana mondo-ambiente-sistema che segue una prospettiva di indeterminabilità, sino allo spazio effettivamente praticabile, il sistema presenta la concretizzazione delle possibilità presenti nell’ambiente. L’idea dell’autoemancipazione della comunicazione come sistema Altro-da-Sé ha la dinamica pressoché latente di relazionalità, intesa come plusvalore sistemico, ben riassunto dall’assioma dello strutturalismo gestalico che, in capo a Wertheimer, si rifà ad una concezione tale per cui “il tutto è più della somma delle singole parti”. Con questo si vuol perciò sostenere che l’importanza della funzione comunicativa sta proprio nel fatto di essere un sistema aperto caratterizzato da equifinalità, ovverosia da combinazioni diverse di possibilità per raggiungere i medesimi obiettivi: ed è tanto più adatto a sopravvivere e riprodursi, quanto più è differenziato e articolato al suo interno. Sposando tale tesi, l’autoreferenzialità (autolegittimazione) e l’autopoiesi (autoriproduzione dei suoi elementi costitutivi) sono determinanti, ancor più in un sistema in cui non solo «la differenziazione funzionale conduce (…) alla sovrapproduzione di corrispondenti rappresentazioni (…) e, quindi, all’obbligo di selezione per tutti i partecipanti al gruppo» [Luhmann, 1978, p. 91], ma inoltre «la sua funzione non consiste nel far affermare la volontà – la volontà popolare, quella finzione del semplice pensiero casuale – ma nell’ordinare operazioni selettive» [ibidem, p. 127].
Introducendo il concetto di selezione, al tempo stesso si introduce però anche l’idea di escludibilità: in effetti, la sovrapposizione media/politica esclude – o rende meno importante – la sovrapposizione media/economia. Ciò che rimane è invece il retroterra relazionale, e con esso il fatto che tali relazioni aggiungono elementi rispetto al tempo precedente t-1 in perfetta sintonia con l’unidirezionalità temporale di un sistema che non può tornare indietro, pur considerando che «la storia, di solito, non si muove in modo omogeneo» [Hallin-Mancini, 2004, p. 255].
Rappresentando il disordine come un gran numero di disposizioni dei sottosistemi interni al sistema, l’ordine è una relazione che permette di determinare la selezione di una particolare disposizione delle parti costituenti, tenendo conto anche dell’esistenza di un ordine precedente. Procedendo in questo senso, e riprendendo la tesi di Boltzman secondo cui l’entropia è paragonabile al logaritmo di una probabilità, si può affermare che la probabilità è strettamente connessa con l’ordine di un sistema, essendo una dichiarazione circa la verosomiglianza del manifestarsi di un certo particolare evento fra tutti quelli potenzialmente possibili; detto ciò, una situazione improbabile tenderà – con il passare del tempo – a trasformarsi in una situazione più probabile. E, in richiamo al secondo principio della termodinamica, ogni sistema lasciato a se stesso tenderà in media a raggiungere lo stato caratterizzato dalla probabilità massima, che non vuol dire che il sistema passerà necessariamente in una configurazione più probabile ma solo che questo accadrà “in media”: qualche particolare cambiamento potrà cioè andare in un altro senso, ma con bassa probabilità. Ad esempio, per calarci nel caso concreto e non dimenticando le dovute eccezioni, in media è più probabile che Paesi risultanti da un tardo sviluppo del sistema capitalistico liberale come l’Italia conservino un sistema politico pluralista polarizzato unito ad una alto grado di parallelismo politico piuttosto che economico, in cui «i quotidiani di solito si identificano con i diversi orientamenti ideologici, e la tradizione di partigianeria e di giornalismo incline al commento è spesso forte» [ibidem, p. 57] (L’Unità, Il Giornale), dove «non vi sia alcuna separazione tra conflitto e cooperazione: si cerca cioè di conquistare il consenso di coloro contro i quali si argomenta» [Luhmann, 1978, p. 89], e in cui – per dirla alla Pansa – il giornalista è dimezzato [1]. Ciò può sembrare banale, ma letto in relazione a quanto si dirà più avanti, acquista maggior spessore.
È in modo specifico con Sartori che appare come ci sia una tendenza coagulante, di osmosi o «onnicomprensivismo» [Hallin-Mancini, 2004, p. 258] intra ed inter sistema; infatti pur essendo innegabile una differenziazione funzionale ineliminabile e un «bisogno di variazione strutturale nel sottosistema» tanto che si afferma l’«essere-possibile-anche-diversamente» [Luhmann, 1978, pp. 93, 104], è pur tuttavia vero che le esigenze di sopravvivenza del sistema permettono un meccanismo di autodifesa ingroup per proteggersi dall’outgruop circostante. Ecco, quindi, che in un sistema pluralista polarizzato – come nel caso italiano – non ci sono solo spinte centrifughe, ma un centro (Dc) che anche se non costituisce centralità, comunque conferisce omogeneizzazione. E non solo. Al fattore endosistemico si aggiunge anche quello esosistemico in riferimento alla sovrapponibilità col sistema mass mediale e, dunque, all’alto livello di partigianeria.
In confutazione di tale tesi si potrebbe asserire – giustamente – che questo possa valere in determinati modelli, ma non in altri. In realtà, tralasciando il modello democratico corporativo, che per la sua stessa natura è di per sé tendente all’omogeneizzazione in quanto portatore della ponderazione di tutte le istanze che provengono dalla società civile – e comunque incorporabile in parte sia nel modello liberale sia in quello mediterraneo poiché è un sistema misto –, anche nell’idealtipo liberale si può riscontrare coagulazione interna ed esterna. Dopotutto anche nell’estremo bipartitismo londinese, o americano, con «partiti pigliatutto» [Sartori, 1982 e 2004] le relative posizioni ed ideologie non sono agli antipodi, i temi ed i programmi sono similari; e ad ogni modo, il sol fatto di essere caratterizzati da “alternanza stabile” è già di per sé garanzia di non discostamento assoluto dalle posizioni dell’opposizione per non subirne conseguenze future. E ancor più forte è l’autosomiglianza esterna: l’apparente posizione di sistema autonomo e indipendente, dal punto di vista del sistema della comunicazione ad esempio, viene subito a cadere quando si scopre l’influenzabilità e la retroazione non più col sistema politico, ma con quello economico. Appurato che fase commerciale significa «specifico mercato, sia esso rappresentato dal mercato pubblicitario, come si sviluppa inizialmente negli Stati Uniti, o dal mercato monopolistico dello Stato (Tv pubblica), come accade in Europa, oppure dal mercato rappresentato dai consumatori finali (televisione a pagamento)», e constatato che «il canone assicura alle emittenti una fonte di ricavo indipendente da pressioni esterne da parte di interessi commerciali» [Dematté-Perretti, 2002, pp. 10, 35], c’è da considerare però che «la videocrazia porta soltanto a un populismo plebiscitario che è tutto demagogia e niente democrazia: (…) il dubbio è se la televisione sia un’entità di mercato riconducibile in tutto e per tutto alle leggi del mercato», visto anche che «l’Auditel pone e impone una concorrenza al ribasso nella quale la merce cattiva scaccia la merce buona». Inoltre per ciò che attiene alla televisione pubblica, il vero problema «sta nella nozione di servizio pubblico (…): un servire che ha per oggetto cose pubbliche e per fine l’interesse generale». «Nel caso della Rai l’interesse pubblico è pressoché sparito (…). Chi dirige la nostra tv di Stato si interessa soltanto di
[1] citato in Hallin-Mancini [2004]
evitare grane politiche e di vincere, nell’interesse della sua poltrona, la gara degli ascolti » [Sartori, 2004, pp. 392-400].
Il fatto che il parallelismo sia ineliminabile – e per parallelismo in un’accezione estensiva si intende con-fusione di aspetti intersistemici interagenti – non spiega però perché si parli di clientelismo nei sistemi consensuali e non se ne parli in quelli maggioritari. Oltre la già detta alternanza, infatti, la differenza sfuma poiché la ponderazione di tutti gli interessi in gioco c’è ovunque; pur tuttavia rimanendo astrattamente ancorati alla teoria sistemica, la spiegazione che si tenta di dare è che l’interpretazione di «familismo amorale» [Bansfield] si estrinsechi da un particolarismo che permea il sistema nella sua totalità ed è una sua caratteristica basilare, a differenza di una influenza meno radicata e sotto-sistemica del modello liberale.
In base alle suddette premesse, il punto nodale viene ad essere non tanto l’esistenza del parallelismo, che ora sappiamo appurata, ma: perché la variabilità di più parallelismi e paradigmi? L’esistenza di una vasta gamma di situazioni che hanno la massima probabilità di essere le migliori per un determinato contesto, ci fanno capire che si lasciano in disparte le alternative contingentalmente meno probabili per conferire maggior ordine all’ambiente sociale. L’irreversibilità dei processi di sistematizzazione sistemica sono tali perché – come quelli dell’organismo umano – formati da cicli aperti e non da cilindri configurazionali finiti, chiusi [Carnot]. Un sistema aperto è in grado di autorganizzarsi spontaneamente quando si trovi lontano dall’equilibrio, in seguito a perturbazioni esterne che inducono fluttuazioni casuali del sistema che non lasciano previsionabilità sul quando e sul come avverrà la messa in ordine; l’ordine strutturale è di per sé condizione necessaria ma non sufficiente a che ci sia una corretta interpretazione della complessità organizzata, vista la correlazione con un ordine funzionale, l’esistenza di gerarchie e di retroazioni (catena alimentare nell’ecosistema naturale, organizzazione aziendale nel mondo sociale,…). E la chiave sta proprio in questa complessità. In sistemi dinamici non lineari, i parametri variano in modo caotico in sistemi sani, mentre una variazione regolare può essere segno di patologia: «Bohm considera il processo, il flusso e il cambiamento come caratteristiche fondamentali», che realizzano un ordine espressione di potenzialità, il quale «è considerato come un processo creativo che, al pari di un ologramma, è caratterizzato dal fatto di contenere il tutto in ogni sua parte», pur non dimenticando che «ogni sistema vivente è un sistema interattivo autonomo e organizzativamente chiuso» strutturalmente formato da autonomia, circolarità e autodeterminazione, il cui fine «è rappresentato dall’autoriproduzione» [Maturana e Varela] [2]. In effetti, storiograficamente le variabili o anche le costanti storiche variano e si sommano in base alle contingenze reali che comunque richiedono una numerosità abbastanza elevata di problematiche per innescare sociologicamente uno specifico tipo di comunicazione e le conseguenti latenze che sottintendono ad essa. Un sistema, proprio perché entropicamente tende al disordine, per non soccombere cerca “razionalmente” un ordine tramite una autoimmunizzazione, nonché decongestionando ed esperendo un’azione a-conflittualizzante contro l’allentamento dei legami interni, la specializzazione, la cumulazione di effetti di rifiuto.
Poiché la natura combatte il caos con il caos, che diventa perciò regolarità nelle moltitudini sistemiche, sembrerebbe che capendo i processi che all’uopo conducono e al caos (imprevedibilità dell’evoluzione futura del sistema) e all’anti-caos (conferimento di nuovo ordine), ci sia maggior stabilità nella prevedibilità del risultato. Al contrario, invece, il caos risulta fondamentale rispetto all’ordine, è la situazione più comune in natura, è robusto e stabile, per definizione imprevedibile, mentre l’ordine è relativamente raro e può essere facilmente distrutto dalla piccola perturbazione: la
[2] citato in Morgan [2004]
complessità non è rarità o patologia ma quasi-totalità. Pertanto i processi di autoregolazione dei sistemi non sono altro che un adattamento al caos [Casati], una forma di resistenza flessibile che genera continui mutamenti e che rende in tal modo possibile l’evoluzione – della vita e non – evitando l’azzeramento entropico totale e garantendo la sopravvivenza. La rete continuamente si forma, e attraverso sincronicità e irripetibilità crea ordine disordinato; ergo – paradossalmente – la normalità caotica e le strutture dissipative, per quanto imprevedibili, poiché altamente probabili, configurazionalmente creano ordine. Ci si proietta perciò in una variabilità di sistema dove fisiologicamente l’evoluzione è la normalità, e dove l’instabilità è un fattore necessario per la sua riproduzione: il mutamento e l’adattamento al nuovo stato-di-cose è condizione sine qua non per la stessa sopravvivenza sistemica. In questa prospettiva è il più adatto – e non il più forte – a sopravvivere.
L’instabilità e le fluttuazioni del nostro universo fisico e biologico creano perciò sub-unità interagenti per la quali non ha la priorità la funzione (non struttural-funzionalismo parsonsiano), né una funzione gerarchizzata, né tantomeno una “complicazione” (somma meccanica delle parti senza effetti di interazione), ma la “complessità” che richiama di per sé la termodinamica come teoria generale.
È in linea con tale teoria che ritengo il parallelismo politico ed economico come due aspetti di uno stesso caos, ovviamente non nell’accezione pura del termine – al fine di evitare astrazioni oltremodo esagerate – ma in quanto cum-fusione di diversi aspetti sistemici che portano alla sovrapposizione sistema consensuale-alto livello di partigianeria del giornalismo (media/politica) nel caso – per così dire – meno evoluto, e sistema maggioritario-alta professionalizzazione-alta commercializzazione (media/economia) nel caso liberale. Si capisce, a questo punto, come anche la temporanea o apparente distinzione/indipendenza di un sistema mass mediale autonomo, che a detta di Luhmann è anche il sistema per eccellenza poiché ha il compito di mantenere in collegamento tutti gli altri sistemi, costituisca quello stato di non-confusione e di ordine che però non rappresenta la normalità ambientale, ma che invece ha un continuo bisogno di continui feedback positivi e negativi su cui adattarsi per continuare a sopravvivere, e di conseguenza di rimodellarsi nel disordine.
Ce lo conferma lo stesso Luhmann quando afferma che «la società ha raggiunto una complessità e una contingenza tanto elevate che la “guida” dell’ulteriore sviluppo sociale non si identifica più con le decisioni quotidiane, non può più spettare a singole persone (…), ma deve essere affidata ad una struttura più instabile» [1978, p. 128], o anche Sartori nell’affermazione che «i sistemi imperniati al centro “non cambiano”; ma lascia supporre che tali sistemi siano caratterizzati da cambiamento inerziale e, soprattutto, da movimenti di rimbalzo e, come tali, a casaccio» [1982, p. 39].
Riferimenti bibliografici
C. Dematté – F. Perretti [2002, 2a ed.]
L’impresa televisiva, Milano, Etas
D. Hallin – P. Mancini [2004]
Modelli di giornalismo, Bari, Laterza
N. Luhmann [1978]
Stato di diritto e sistema sociale [pp. 85-129], Napoli, Guida Editori
G. Morgan [2004, 2a ed.]
Images – Le metafore dell’organizzazione, Milano, FrancoAngeli
G. Sartori [1982]
Teoria dei partiti e caso italiano, Milano, SugarCo Edizioni
G. Sartori [2004] Mala Tempora, Milano, Edizione Mondolibri su licenza Laterza
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