Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze, Norberto Bobbio

Viaggiando per le strade del mondo: popolazione Rom e il subcontinente indiano.

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Quando mi si chiese se volevo scrivere le mie impressioni di Pakistana che vive in Gran Bretagna, sui Roma e le loro innate connessioni con il sub-continente indiano, molti pensieri si affollarono alla mia mente. Le origini ancestrali dei miei genitori dai Rann di Kutch, nel Rajastan, il loro crescere a Bombay – o come oggi si chiama, Mumbai, nello Stato di Maharashtra e la loro migrazione in Pakistan dopo la spartizione dell’India fino a Karachi, il porto del Sind.
Ricordo mia nonna che fabbricava chilometri di pizzo a cordoncino (“tatting”), le danze Kathak che appresi da bambina, le leccornie e le mele candite (lollypobbles nel linguaggio Roma) che mangiavamo a scuola, vendute sui carrettini. Erano i giorni delle “Guide”, quando ci veniva insegnato, tra le altre cose, come lasciare un messaggio sul suolo con foglie e sterpaglie, come indicare la direzione in forma di un ben ordinato mucchio di foglie – così simile al “patterai” dei Roma quando vogliono lasciare un’indicazione agli altri del cammino seguito dalla propria tribù. Ricordo le immagini delle feste e delle danze al mio matrimonio con una famiglia del Punjab, installata a Lahore; delle visite, con mio marito, al Festival del Basant, nella città vecchia fortificata; il Kunbh Mela ad Allahabad nel nord dell’India, osservando come veniva celebrato il festival Diwali. Ricordo anche, succintamente, un conversazione con mio suocero. Era un Punjabi da Mozang, appartenente al clan degli “Araiin”, i guerrieri agricoltori: un bell’uomo, elegante. Stavo imparando come cucinare una leccornia: “aloo-goshth”, una combinazione di carne e patate in salsa di curry: gli stavo dicendo che c’era qualcosa di strano in questa pietanza. Mi disse che lo stesso piatto era ben noto in Ungheria, col nome di “goulash”, dove era servito con un pane schiacciato chiamato “pogacca” (“paratha” in lingua del Punjab).

Radhakrishna Rao, l’autore di “The Children of Mother India”, ha descritto I Roma come la tribù perduta della Grande Madre India: Ronald Lee indica che essi trassero origine dal sub-continente indiano, ma non erano uno degli specifici gruppi di indiani. Nelle società feudali di allora, erano “kashtryas”, o signori di terre e di guerre: “kasht”, in Punjabi, ‘ vuol dire fattoria, o arare il suolo; laggiù c’erano i Lohars, i forgiatori di metalli, i Gujjars, i Tandas e i Rajputs. Il Capitano Richard F.Burton, Newold, Sir H Rawlinson, e il Professor de Goeje hanno tutti scritto sulle razze della valle dell’ Indo e le loro migrazioni. Il Professor Pott cita, dallo “Shah Name” di Firdausi, che I monarchi Persiani ricevevano musicisti conosciuti come I “Luris”. In Skopje, un gruppo etnico si fa chiamare ‘tophsana-top’, una parola Punjabi e Turca che significa “canone”. In Germania erano chiamati “Sinte”, indicando così la loro origine dalla valle dell’Indo. Nelle repubbliche dell’Asia centrale, sono divisi tra i Multani e gli Jhugi: il primo nome indica una città nel Punjab, l’altro significa “capanne di paglia”. Nei Pirenei, I Roma sono conosciuti come I “Romanchal”, che significa, letteralmente, “uomo che cammina”, poichè “chal” significa camminare in Punjabi. Alcuni esperti dicono che Roma deriva da “dumba” o “doma”, radice che si trova in Kashmiri e in Sanscrito. Dom è amche la radice di Domaki, il nome della lingua Indo- Ariana ancora parlata in una piccola enclave nel nord del Pakistan. C’erano anche i Jats, un gruppo etnico che vive ancora oggi nel Punjab e nell’India del Nord. La lingua parlata dai Jats e dai Roma è molto simile anche oggi.
Quando tutte queste tribù lasciarono l’India passarono le montagne attraverso la “via della seta” e poi passarono all’ovest, verso la Persia. Gli Europei pensarono che i Jats, una volta lasciata l’India e sbarcati sulle loro spiagge, in realtà provenissero dall’Egitto – per cui vennero chiamati “gitani”, dal latino “Aegiptani”. In Gran Bretagna, i Roma sono stati parte della società per più di quattro secoli. Il Prof. Hancock, nel suo libro “Origins of the Romani People”, dice che la prima menzione ufficiale, in Bretagna, dei gitani fu in Scozia, dove Giacomo V firmò un trattato con il capo della locale comunità Roma per il recupero del “Piccolo Egitto”, il vecchio nome dell’Epiro sulla costa greco-albanese. La lingua, pur essendo il legame più evidente, non è il solo che unisce i Roma con l’India e il Pakistan. Le loro tradizioni, gli usi e costumi, la danza, la musica, la celebrazione di festivals e le loro credenze religiose, si sono tramandati e sono rimasti attraverso i secoli.
La danza, in Oriente, differisce da quella occidentale perché ogni movimento delle mani, ogni gesto corrisponde ad un messaggio. La danza dei Roma è stata collegata alle quattro grandi danze indiane: Kathak, Kathakali, Manipuri, Bharat Natyam, e alla Bhangra, nel Punjab. Il Flamenco è, per sua natura, molto orientale, anche se le eleganti gestualità della danzatrice hanno più potere e forza. Il Baile Jondo è la parte introspettiva e seria del Flamenco, simile alle danze sacre dei Devadasis in India (quando mi sposai, una famiglia Indiana mi donò un sari, appunto, di un tempio). I Roma sono anche famosi come musicisti di talento. Il gruppo conosciuto come “ i Gypsy Kings” è un esempio di intrattenimento molto popolare: I ritmi ipnotici ricordano quelli delle zone desertiche del deserto di Thar in Pakistan, e del deserto del Rajastan in India. Lo strumento musicale chemato “santur” fu importato in Europa dai Roma dal subcontinente indiano, ri-denominato “cembalo” e da lì trovò il suo cammino verso l’America come “Hammer dulcimer”. I Roma assimilarono le celebrazioni indiane: quelle per la luna piena, il raccolto, le piogge, le stagioni, matrimoni e nascite, e l’avvento del Nuovo Anno. Le festività per celebrare i matrimoni si protraggono per giorni e giorni con cibo in quantità, musica e danze. Per me le celebrazioni più spettacolari sono il Basant e il Deepwali – o Diwali. Basant celebra l’inizio della primavera, la nascita, la rinnovata speranza. E’ il tempo dei fiori di mostarda che inondano i campi di giallo. Per festeggiarlo i Punjabi si vestono di giallo, fanno grandi ricevimenti, iviano nell’aria aquiloni artisticamente costruiti. Di notte gli aquiloni bianchi veleggiano contro il cielo del colore dell’indaco e ritornano verso i fuochi di carbone, chiamati “angities”, da Agni, il dio indiano del fuoco. Diwali è il festival della luce. Accendere le lampade simbolizza la luce dello spirito e la distruzione della tenebra e dell’ignoranza: I roma hanno una costumanza simile, praticata anche dagli Iraniani e i Turchi a Nauroz, cioè l’Anno Nuovo. Hirdelezi, il festival annuale dedicato ai morti, è un altro esempio di questa assimilazione.
Il Kumbh Mela, che con fortuna potetti vedere quandoi visitai Allahabad, North India, è un “mega festival” che si tiene sul luogo del “sangam”, le rive di confluenza dei fiumi Ganga e Yamuna – Ganges and Jamna – e l’invisibile fiume Saraswati. Tutti i devoti, pellegrini, credenti, santoni e seguaci si bagnano in tali acque per purificarsi dai peccati e rinnovare la propria anima. I Jats adorano Shiva and Kali, il dio e la dèa Hindu. I Roma venerano Santa Sara or Kali Sara. Si riuniscono presso la chiesa di Saintes Marie de la Mer, circa cinquanta chilometri all’ovest di Marsiglia, per offrire tributi a Santa Sara. La parola Romani per “croce” è “trushal”, originalmente il tridente di Shiva.
I Roma, come si sa, sono anche praticanti nella predizione del futuro, nella lettura dei tarocchi e nelle pratiche occulte, e hanno imparato a ‘dikh’ e ‘schun’, parole che, naturalmente, significano “vedere” e “sentire” in Punjabi – ‘dekh’ and ‘ssun’. Se praticati in silenzio, l’indovino può vedere sia in fronte a sé, che dietro di sé. Il Professor Ian Hancock ha evidenziato che personalità come Yul Brynner, Picasso, Djano Reinhardt, Charlie Chaplin e Mother Teresa sono tutti di discendenza Roma. Poiche’ amo la letteratura e ho preso un Dottorato all’ Università del Punjab dopo il matrimonio, sono stata sempre interessata alla letteratura Roma. Ci sono autori Roma ora ben conosciuti, come Matea Maximoff, che scrive in Francese e Papusza, la poetessa Roma dalla Polonia. Il primo libro di poemi Roma canadesi, intitolato Kanandake- Romane Mirikle’ – Perle Canadesi e Roma – è stato prodotto e pubblicato per celebrare la Giornata Internazionale dei Roma l’8 Aprile 1999.
La bandiera Roma è una ruota con 16 raggi (chakra), adottata al primo congresso Roma a Londra nel 1971. Ha un legame stretto con la bandiera nazionale Indiana, una ruota con 24 raggi (Ashoka chakra). Indira Gandhi disse nel 983, il 29 Ottobre, al secondo Festival Internazionale Roma, tenutosi in India: “ I Roma di oggi conservano la loro identità e l’hanno rivitalizzata”. Dal libro “Tarot Tzigane, (Tarocchi dei Rom) tradotto da Jasee Noel in 1984, voglio trarre questa bella citazione:
“passiamo come il vento sul lago del mondo senza lasciare traccia, e però senza di noi nulla resterebbe lo stesso...”
(c) Aneesa Hameed, Karachi e Londra, 2004

3 commenti:

  1. Travelling the road: embracing the connection between the Roma and the Indian sub-continent
    When I was asked if I would like to write my personal impressions as a Pakistani living in the United Kingdom, about the Roma and their innate connection with the sub-continent of India, several thoughts came crowding into my mind. The origin of my parent’s genre from the Rann of Kutch, Rajasthan, their growing up in Bombay or as it is now called, Mumbai, in the state of Maharashtra and their migration to Pakistan after the Partition of India to Karachi, the port of Sind.
    I remembered my grandmother producing yards of lace with her ‘tatting’, the Kathak dance I learnt as a child, lollipops and the wonderful toffee apples (lollypobbles to the Roma) we ate at the tuck shop in school. There were the days in the Girl Guides, where among other things, we were taught to lay down a message on the ground with leaves and twigs, to show direction, in the shape of carefully arranged bunch of leaves. - so reminiscent of the ‘patteran’ of the Roma indicating to others of their tribe the way they had passed. I remember the images of the feasting and dancing at my marriage into a Punjabi family, living in Lahore, of going with my husband to the festivals of Basant, in the old walled city of Lahore, the Kumbh Mela in Allahabad, north India and observing the way the Diwali festival was celebrated. I succinctly recall a certain conversation I had with my father in law. He was a Punjabi from Mozang, belonging to the clan of the ‘Araiin’, who were warrior- farmers. He was very handsome and elegant. I was learning to make a favourite dish called ‘aloo-goshth’, a combination of meat and potatoes in a curry and was telling him there was something not quite right about it. He told me that he had this same dish in Hungary, only there they called it ‘goulash’. It was served to him with a type of flat bread a ‘pogacca’ or I suppose, a ‘paratha’ in Punjabi.
    Radhakrishna Rao, the author of The Children of Mother India, described the Romas as the lost tribe of Mother India. Ronald Lee points out that they originated from the sub-continent of India, but were not one specific group of Indians. In the feudal societies of those times, there were ‘kashtryas’ or the warrior land-owners - ‘kasht’ in Punjabi is to farm or till the soil, there were the Lohars, the metal smiths, the Gujjars the Tandas and the Rajputs. Captain Richard F Burton, Newold, Sir H Rawlinson, and Professor de Goeje have all written about the races around the Indus Valley and their migration. Professor Pott quotes from the Shah Name of Firdausi where the Persian Monarch received musicians known as the Luris. In Skopje, an ethnic group call themselves ‘tophsana-top’, a Punjabi and Turkish word meaning canon. In Germany they were called Sinte, indicating their origin from the Indus Valley. In the Central Asian Republics, they are divided into the Multani and Jhugi, the former a town in West Punjab, and the latter meaning ‘thatched huts.’ In the Pyrenees, the Roma are known as romanchal which literally translates into ‘man walking’ as ‘chal’ means walk or stride in Punjabi. Some experts say that Roma is derived from ‘dumba’ or ‘doma’ found in Kashmiri and Sanskrit. Dom is also the root of Domaki, the name of the central Indo- Aryan language spoken in a small enclave in the Northern areas of Pakistan. There were also the Jats, an ethnic group living in Punjab and North India. The language spoken by the Jats and the Roma, even today is very similar.

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  2. The Roma are experts in fortune telling, Tarot and the occult, and they have also been taught to ‘dikh’ and ‘schun’ which of course means to see and listen in Punjabi – ‘dekh’ and ‘ssun’. If it is practised in silence, one is supposed to be able to see, not only in front, but behind as well. Professor Ian Hancock has pointed out that personalities like Yul Brynner, Picasso, Djano Reinhardt, Charlie Chaplin and Mother Teresa are all of Romany descent. I love English Literature and studied for a post graduate degree in the University of Punjab after I got married. I was interested to find out about Roma literature. There are Roma writers, who are becoming well known like Matea Maximoff, who writes in French and Papusza, the Romani poetess from Poland. The first ever booklet of Canadian Romani poems entitled, Kanandake- Romane Mirikle’ – Canadian Romani Pearls has been published. It was produced, to commemorate International Romani Day, in April 8th 1999.
    The Roma flag is a wheel-shaped sixteen spoke chakra, adopted at the first Romani Congress in London in 1971. It is a link with the Indian national flag which has the twenty-four spoked Ashoka chakra at the centre. As Indira Gandhi said in 1983, on the 29th of October at the second International Romani festival, held in India: ‘The Roma of today retain their identity and indeed have revived it.’ Tarot Tzigane, (Tarot of the Rom) translated by Jasee Noel in 1984, has a beautiful quote:
    “We pass like the wind on the lake of the world without leaving a mark - And yet without us nothing would be the same...”

    (c) Aneesa Hameed, Karachi and London, 2004

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  3. When all these tribes moved out of India they did so through the mountain passes via the ‘silk route’ and went west into Persia. The Europeans thought that when the Jats left India and arrived on their shores that they came from Egypt – hence the word ‘gypsy’. In Britain, the Roma have been a part of the society for over four centuries. Professor Hancock in his book Origins of the Romani People says the first official mention in Britain, of ‘gypsies’ was in Scotland, where James V made a treaty with a local Romani leader pledging support to recover ‘Little Egypt’, the ancient name for Epirus on the Greek- Albanian coast. Language, although the biggest link, is not the only tie the Roma have with India and Pakistan. Their traditions, their customs, their dance, music, celebration of festivals and their sacred beliefs have been passed on and been retained through the centuries.
    Dance in the Orient is different to the west because each movement of the hand and gesture conveys a message. Roma dance has been linked to the four major dances of India: the Kathak, Kathakali, Manipuri, Bharat Natyam, and to the Bhangra, in Punjab. Flamenco dance is by nature very oriental, although the elegant gestures of the female dancer have more power and force. The Baile Jondo is the serious, introspective side of flamenco dancing, similar to the temple dancers of the devadasis in India. (I was presented with a beautiful temple sari as a wedding gift from one of the Indian families). The Romas are also known to be skilled musicians. The group known as The Gypsy Kings are one of the examples of popular musical entertainment. The hypnotic and heady rhythms remind one of the burning hot sands that make up the Thar Desert in Pakistan and the Rajasthan desert in India. The musical instrument, the ‘santur’ was imported into Europe from the subcontinent by the Roma and came to be known as the ‘cimbalom’ and made its way to America as the hammer dulcimer. The Romas assimilated all the celebrations of India. Celebrations for the full moon, harvest, rain, seasons of the year, marriages and births, and the advent of the New Year. The joyous festivities celebrating a marriage go on for several days with a huge amount of food served and plenty of feasting, music and dancing. The most spectacular for me, personally, are the Basant and the Deepwali or Diwali festivals. Basant celebrates the beginning of spring, birth, and renewal of hope. It is a time when the mustard fields are flooded in yellow. To celebrate, Punjabis wear yellow clothes, hold large feasts and fly kites, some elaborately crafted. At night the kites flown are white against the indigo-black sky and they wave down below to the lighted coal fires or ‘angities’ – Agni, the god is synonymous with fire. Diwali is the festival of Lights. Lighting the lamps symbolises spiritual Light and the destruction of darkness and ignorance. The Roma have a similar custom, also practised by the Iranians and the Turks at Nauroz or the New Year. Hirdelezi, the annual festival commemorating the dead is another example of this assimilation.
    The Kumbh Mela, which I was fortunate to see when visiting Allahabad, North India, is a mega festival held at the place of the ‘sangam’, the banks of the confluence of the Ganga and Yamuna – Ganges and Jamna – and the invisible Saraswati river. All devotees, pilgrims, believers, holy men and followers bathe in these waters to purify themselves of their sins and clean their souls. The Jats worshipped Shiva and Kali, the Hindu god and goddess. The Roma venerate St. Sara or Kali Sara. They gather at the church of Saintes Marie de la Mer about fifty miles west of Marseille to pay their respects to her. The Romani word for ‘cross’ is ‘trushal’ originally meaning Shiva’s triden.

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