Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze, Norberto Bobbio

I Gesuiti e l'omosessualita' nella Cina antica

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da Zhang Jie 张杰,
“Disamina illustrata dell’omosessualità nella Cina Antica” [Zhongguo gudai tongxing-lian tukao 中国古代同性恋图考], Kunming, 2008, pp. 550

La cultura cinese delle dinastie Ming e Qing, contraria all’omosessualità, tese ambiguamente, al contempo, alla neutralità; quella cattolica ebbe invece un chiaro e fermo atteggiamento di ripulsa.

Fra le due culture esistette uno iato ma non un conflitto, e tuttavia fu uno iato che causò non pochi fraintendimenti. Sul coté cattolico, i missionari che per primi calcarono il suolo cinese, nonostante si trovassero di fronte a un ambiente culturale nuovo, riuscirono ciò nondimeno a rilevare con acutezza l’esistenza dell’omosessualità.

Già dal tempo dell’imperatore Jiajing dei Ming [1521-1573], il mercante portoghese Galeote Pe-reira scriveva nel Tratado sobre a China:

Ci siamo accorti del fatto che fra di loro il peggior peccato è la sodomia, che pure resta la condotta scandalosa più frequente e non suscita alcuna sorpresa[1

Anche l’olandese Hans Putmans [?-1656], che aggredì le coste del Fujian al tempo dell’impe-ratore Chongzhen [1628-1644], rilevò che la sodomia “non è né punita né discriminata” fra i Cinesi, che egli chiamava con disprezzo “sozzi sodomiti”.[2]

Sotto l’imperatore Qianlong dei Qing [1736-1795], l’inglese John Barrow, che, come membro della spedizione di George Macartney [1737-1806], percorse la Cina in lungo e in largo, lasciò scritto:

Tale condotta sozza e innaturale non suscita presso di loro alcuna vergogna; perfino alcuni alti funzionari ne par-lano disinvoltamente, senza alcun imbarazzo. Questi funzionari tengono tutti dei bei paggi presso di sé, d’età compresa fra i 14 e i 18 anni, vestiti alla moda.[3]

Dei tre cronisti summenzionati, Pereira e Putmans provenivano da paesi cattolici, Barrow dall’Inghilterra protestante, ma condividevano tutti la stessa riprovazione per l’omosessualità. Tuttavia, a render conto nel migliore dei modi della questione furono pur sempre i missionari catto-lici.

Il monaco domenicano portoghese Gaspar da Cruz, contemporaneo di Pereira, giunse a Canton nel XXXV anno di regno dell’imperatore Jiajing dei Ming [1556]. Poco tempo prima, nella Cina settentrionale si era verificato un terribile terremoto, che aveva provocato un enorme numero di vittime (fu uno dei sismi che provocarono più morti nella storia dell’umanità). Nel suo Tratado das cousas da China, da Cruz narrò alcuni fatti del cataclisma e poi stabilì un legame fra di esso e l’omosessualità dei Cinesi:

Questa nazione coltiva un comportamento scandaloso, ovvero si danno alla maledetta sodomia, senza che ciò provochi presso di loro la minima riprovazione. Benché talvolta mi sia pronunciato, pubblicamente o in privato, contro tale cattiva condotta, ed essi abbiano tratto diletto dai miei conversari e mi abbiano dato pienamente ra-gione, nessuno di loro ha purtuttavia affermato che fosse un peccato o una mala azione. Evidentemente, essendo tale peccato tanto comune fra di loro, il Padreterno li ha puniti severamente in alcuni luoghi, in modo che si risapesse per tutta la nazione.[4]

Dall’XI al XXXVI anni di regno dell’imperatore Wanli dei Ming [1583-1610], l’italiano Matteo Ricci fu il più celebre missionario occidentale fra quelli giunti in Cina. Gesuita d’incrollabile virtù, egli prestò molta attenzione al fenomeno dell’omosessualità, che aveva rilevato nella società cinese, e lo stigmatizzò energicamente. Nell’XI anno di regno di Wanli, poco dopo essere entrato a Canton da Macao, scrisse in una lettera:

Qui, tutti si danno senza remore a questo terribile piacere, che non sembrano affatto trovare riprovevole, nè tale da richiedere alcuna contrizione[5]

Nel XXXVII o XXXVIII anno di regno di Wanli, il Ricci, in punto di morte, pronunciò parole assai aspre nei confronti dell’omosessualità fra gli attori di Pechino e di altri luoghi:

Ma quello che più si può piangere in questa materia, e più dichiara la miseria di quella gente, è che, non manco si essercita tra loro la libidine naturale che la contrannaturale e prepostera, la quale né è prohibita per lege, è tenuta per illecita, né anco per vergogna. E così publiamente si parla di essa, e si essercita in ogni parte, senza aver chi l’impedisca. E in alcune città, dove più regna questa abominazione, come in questa Corte, capo dele altre, vi sono strade pubbliche, piene di putti composti come meretrici, e particolarmente persone che comprano questi putti, e gli insegnano a sonare, cantar e ballare; e vestiti molto elegantemente e conci con belletti come donne accendono gli poveri huomini questo vitio nefando.[6]

Nota: La chiesa ove risiedeva Pechino il Ricci era fuori la Porta Xuanwu, ad appena poche cen-tinaia di metri dai cosiddetti “vicoli protetti da cortine”, centro dell’omosessualità maschile cinese dell’epoca, e quindi ebbe modo di conoscere bene la situazione degli attori e cantanti che vi si tro-vavano. Al tempo della morte del Ricci, un altro missionario gesuita portoghese, all’epoca in Cina già da quasi mezzo secolo, rilevava anch’egli senza mezzi termini che in Cina il

gran peccato degli uomini viene praticato senza vergogna, né è considerato riprovevole[7]

Quanto precede si potrebbe definire una manifestazione specifica di iato culturale. Con tale espressione indichiamo la reazione di sorpresa di una cultura di fronte alle specificità di una cultura altra. Una delle sue manifestazioni è la cosidetta “reazione alla diversità”: ogni cultura consta di componenti diverse e le parti di una cultura altra uguali alla propria sono generalmente considerate tratti comuni dell’umanità, mentre quelle diverse sono disprezzate. Si rilevano volentieri le componenti della cultura altra diverse dalla propria, perché, tramite tale ricerca della diversità, si può più agevolmente tracciare il confine fra la propria cultura e l’altrui.

Quando arrivarono per la prima volta in Cina, i seguaci del cattolicesimo scoprirono subito che, in campo spirituale, i Cinesi erano idolatri e panteisti e questa era la differenza essenziale con la loro cultura: ecco la possibilità della formazione di un conflitto culturale. Parallelamente, misero l’accento sulla magnanimità cinese nei confronti dell’omosessualità, che faceva il paio con la sensazione cinese che negli Stati cattolici vigesse un’estrema durezza.

Dopo che, nel XVI secolo, le Filippine (Luzon) furono cadute sotto il dominio coloniale spagnolo, Zhang Xie [1574-1640] annotò, al tempo dell’imperatore Wanli dei Ming:

A Luzon gli amasii sono rigorosamente banditi, chi violi il bando fra i Cinesi offende il Cielo ed è condannato al rogo[8]

Agli occhi dei Cinesi mandare al rogo chi fosse scoperto era omosessuale era un’enormità!

[...]

Un’altra manifestazione dello sconcerto culturale è la “distorsione”. La ragione è la medesima dell’esagerazione, solo più umorale, e registra quasi l’esatto contrario della realtà. Per quasi tutta la durata delle dinastie Ming e Qing, la cultura cinese si mantenne forte e, nella difesa di contro ai “barbari”, il cattolicesimo di questi ultimi venne disprezzato. Agli occhi dei confuciani, la creazione del mondo in sei giorni o Gesù che nasce senza padre erano eresie senz’altro equiparabili a quelle predicate dalla setta buddista del Loto Bianco, il culto della madre non generata e il paradiso del vuoto perfetto.

Non c’era neanche modo di salvare gli eretici. Nella “Miscellanea della Casa del Nefelio” [Lishi congtan] si legge:

Tornato da Sian, Li Bochun riferì che laggiù funzionari e popolo, intossicati dai calendaristi occidentali, erano stati indotti a credere nel catolicesimo. Vi si insegna la promiscuità dei sessi. Chiunque generi un figlio, dopo tre mesi, ogni volta che si corica gli infila una cannuccia di bambù nell’ano e gliela toglie all’alba. A dieci anni si smette. Se ne ignora la cagione.

La storia della cannuccia nell’ano è certo una bizzarria popolaresca e giustamente si ammette che “se ne ignora la cagione”. Invece nelle “Vasta raccolta di notizie locali” [Fengtu guangwen], l’erro-re si precisa:

I barbari d’Occidente credono nel cattolicesimo e per questo hanno cessato ogni costumanza umana e si son fatti simili alle bestie. Il terzo mese dopo la nascita, si caccia una cannuccia nell’ano del neonato, maschio o femmina che sia, e la si estrae nottetempo. Serve ad allargare l’ano in modo che da grandi si possa più agevolmente darsi alla sodomia. Padri, figli e fratelli si abbandonano alla lussuria, e lo chiamano “condividere il soffio vitale”. Ignoro se fra noi Cinesi ci sia chi segue questi dettami, peggio che bestiali!

Il fatto che i cattolici, fieri avversari dell’omosessualità, diventino qui inaspettatamente fanatici fautori dell’omosessualità, “peggiori delle bestie”, rispecchia sotto un certo aspetto la profondità del fossato che divideva la cultura cinese e quella cattolica.

Durante le dinastie Ming e Qing, le due culture restarono in generale in uno stato di contrapposizione e di conseguenza anche l’omosessualità divenne un elemento di tale contrap-posizione. In effetti, la posizione di entrambe le parti in merito all’omosessualità non era priva di contatti, ma per l’esistenza di conflitti sulle questioni di fondo, ovvero il profondo disaccordo sulla visione del Signore del Cielo e sugli idoli, i punti di contatto finirono per essere oscurati, mentre la ricapitolazione di vedute erronee, sempre più accentuata, prese il posto dei fatti e finì per negare del tutto questi ultimi.

Nel periodo considerato, quello appunto delle due dinastie, tali divergenze furono una manife-stazione caratteristica dei rapporti culturali. All’epoca, le culture orientale e occidentale comincia-vano appena a fronteggiarsi direttamente, entrambe ben determinate, e prima ancora di conoscere veramente l’altra già la negavano, basandosi sulle prime impressioni.

Alla fine dei Qing, prendendo le mosse da posizioni cattoliche, Li Di respingeva le “calunnie”:

La nostra religione trascorre per il mondo ed è innanzitutto per questo che è vilipesa e oltraggiata. Come mai? I suoi insegnamenti vietano le passioni e ciò scontenta gli uomini passionali, che essendo scontenti la denigrano. Il dogma confuta l’eresia e gli eresiarchi e di questo questi ultimi si indignano e, indignati, la denigrano. Unico intento della religione è la venerazione del Sommo Reggitore, non già le preghiere rivolte agli antichi, e le altre religioni la guardano di malocchio e con occhio malvagio la denigrano.[9]

Li Di chiama gli altri eretici, nega il culto degli antenati e imputa agli altri la ricerca sfrenata del piacere. I toni energici, vicini alla contraccusa, non giovarono alla difesa della religione “calunniata”.

[...]


[1] Tr. cin. in Shiliu shiji Zhongguo nanbu xingji [Viaggi nella Cina meridionale nel sec. XVI], Zhonghua shuju, 1990., p. 10

[2] Tr. cin. in Hongye: Qinghao kaiguoshi [La grandiosa impresa: storia della nascita dell’Impero Qing], Jiangsu renmin chubanshe, 1992, p. 82

[3] Bret Hinsch, Passions of the cut sleeve, Berkeley, 1990, p. 141

[4] Tr. cin. in Shiliu shiji Zhongguo nanbu xingji [Viaggi nella Cina meridionale nel sec. XVI], Zhonghua shuju, 1990., p. 157

[5] ?

[6] Jonathan Spence, The memory palace of Matteo Ricci, New York, 1984, pp. 220-221 [cit. da Matteo Ricci, “Storia dell’introduzione del cristianesimo in Cina”, in Pasquale M. D’Elia, Fonti Ricciane, Roma, vol. I, pag. 98]

[7] Tianzhujia shengjiao shijie – wu xing xieyin [I Dieci Comandamenti del santo cattolicesimo: non commettere atti im-puri]

[8] Dongxi yangkao [Esame occidentale di Est e Ovest], vol. XII

[9] Tianzhujiao beiwu bian [“A difesa del cattolicesimo denigrato”], cap. III del Liku

(C) Prof. Giorgio Casacchia, Addetto Culturale IIC Shanghai, 2009.

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