Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze, Norberto Bobbio

Storia della Filosofia antica: Nicola Abbagnano e Giovanni Reale

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Nulla di ciò che è umano è estraneo alla filosofia, anzi questa, dice Abbagnano, è l'uomo stesso, che cerca il fondamento del suo essere. Per questo, se la filosofia è vera, anche se cela delle verità è "fonte perenne di insegnamento e di vita".
Ed è il filosofo che la fa, non tramite dottrine contingenti, ma una ricerca che guarda all'essenza trascendendo la contingenza.
Tale tentativo dell'uomo di conoscere se stesso deve essere rinnovato, poichè dipende la sua "dignità", che interpreto come un riavvicinamento al sacro.
Dice bene l'autore quando parla di sincerità e umiltà, ma anche quando dice che il filosofo è un compagno di ricerca, una ricerca che si enuclea (Platone docet) soprattutto attraverso il dialogo, che è (come strumento) una colonna portante.
Ma allo stesso tempo la storia della filosofia non è una formazione di un unico corpo di verità: sta a noi discernere studiando i vari autori.
Infatti se una dottrina tramonta, il vero filosofo non tramonta, poichè in quanto si è riuscito ad immedesimare nell'essenza della natura, di sè stesso, e dell'universo, dice cose vere per chi sa intendere.
Certo è che non bisogna fermarsi allo studio del filosofo e a quello che dice, ma il lavoro di speculazione completa il tutto.

Le esperienze filosofiche sono esperienze vitali, non morte, che vanno al di là della forma dottrinale.
La scienza, quella terrena, intesa come razionalismo scientifico, si rifà solo a questa parte formale, per creare un piano sperimentale ed empirico che si basa sul visibile.
Ma le dottrine, le forme, le concezioni del mondo, l'empirismo, sono mutevoli.
La parte valida della filosofia quindi non sta nella buccia dottrinale ma nell'essenza vitale, perennemente valida, che è espressione di un uomo che ha trovato o ha ricercato la sua essenza, e quindi ha le Conoscenze adeguate, anche se con la limitazione della scrittura e delle parole, che sono fini a se stesse.
Tale filosofo è un Uomo che si è rapportato col mondo in cui ha vissuto: scartate queste contingenze, è il resto che bisogna cogliere: ma è solo un punto di riferimento, un punto di partenza.
Infatti, l'intendimento di concezioni anche essenziali del mondo è soggettivo, e procede per tappe: è l'Uomo indagatore attuale che deve capire, al di là dei formalismi che possono essere diversi oggi, quello che è immutabile. Infatti l'essenza, l'essere è immutabile; la percezione, che è umana, è anch'essa una forma.


TALETE ricerca le cause ed i principi delle cose. Come detto anche da Abbagnano, le speculazioni filosofiche non parlano mai di esempi spiccioli o in maniera empirica a caso, ma per rifarsi all'essenza delle cose o a principi generali.
Tra le cause annovera l'acqua poichè non ha caratteristiche e può assumerle tutte: infatti è sia sostanza e sia essenza. Parlare dell'elemento acqua come principio significa rimanere, se l'acqua è intesa in senso fisico, ancorati al terreno materiale. Ovviamente i principi a cui dobbiamo arrivare noi devono essere più elevati: non so se il procedimento va dall'alto in basso, passando dai principi (anche fisici) a noi più vicini, o, lottando con l'angelo, si possa arrivare più in alto anche scavalcandoli.
Alla questione: "se la terra galleggia sull'acqua, l'acqua su cosa galleggia?", Talete dice che non vi è risposta. Ciò ci può far capire che forse non è molto giusto considerare l'acqua come un principio. In realtà una non-risposta è un non-sense in quanto il Tutto non lascia nulla al caso; altra cosa è vedere se quella "risposta" è visibile o no, o lo è solo per alcuni, e a quale livello.
La materia, anche quella che sembra immobile, si muove (esempio del magnete). Questa secondo me è un'affermazione importante, che rimanda alla vibrazione.
Talete dice: "tutto è pieno di dei": la divinità corrisponde al principio. Bisogna intendersi sul linguaggio (limitato ed ambiguo): parole diverse possono avere uno stesso significato, e parole uguali possono invece mutare significato nel tempo. Parlare di divinità e parlare di principio sembrerebbe parlare della stessa cosa: ragionare per allegorie ed esempi è tipico della filosofia.

ANASSIMANDRO, discepolo di Talete, è anch'egli alla ricerca di un principio e lo trova nell'apeiron (senza limite, infinito), che accoppia i due significati quantitativo e qualitativo di infinito + indefinito.
L'acqua di Talete viene a far parte dell'apeiron. L'apeiron è un grandissimo passo avanti contro l'astrazione, soprattutto in una società dove prevaleva il concetto di universo finito.
Inoltre, per Anassimandro, nell'universo esistono diversi mondi: essi nascono dall'apeiron grazie al movimento, che genera e separa. Ciò significherebbe che l'infinito, in quanto non separato, sarebbe di per se immobile, così come le essenze delle cose. Più invece si separano e diventano grossolane, più il loro movimento aumenta. Non so se tale movimento possa essere ricollegato anche alla velocità (cioè più qualcosa è separato, più la sua velocità aumenta).
Ogni mondo è comunque finito, e alla sua morte ritorna all'"apeiron". Qui sembra che parli di ritorno in senso di riunificazione nell'Uno, ma non so se ne spiega anche il motivo. Che senso ha la separazione? Perchè i mondi si separano dall'apeiron? Per evoluzione?
Al tempo stesso, egli considera il distaccamento dei mondi dall'apeiron come un' "ingiustizia", come un peccato, una sorta di sfida?
Nel mondo vive il principio dei contrari (come fuoco e acqua) e un contrario non può vivere da solo. E questi contrari stessi, opponendosi commettono una sorta di "peccato" contro l'apeiron.
C'è in Anassimandro, poi, l'idea che le cose avvengono secondo un ordine preciso, non casuale, "secondo necessità": è per capire questa regolarità e regolazione che noi dobbiamo capire le essenze.

Per ANASSIMENE, tutto deriva dall'aria, che non solo è la sede degli dei, ma è anche il principio della vita (psikè = soffio vitale = anima). Abbagnano sostiene che Anassimene abbia fatto un passo indietro rispetto ad Anassimandro. Però c'è da considerare che Anassimene parlando dell'aria vuol parlare del cielo, e della vita, includendo anche la concezione di soffio vitale. Parla cioè della vita dell'uomo, non dimenticandosi dell'Universo, poichè si sforza di spiegare il processo vitale, attraverso il processo della respirazione, che sarebbe astrattamente valido, mi sembra di capire, in ogni caso.
Poi, l'aria, attraverso passaggi quantitativi, può trasformarsi in tutto: ad esempio in acqua per condensazione o in fuoco per rarefazione. Qui si ridiscende nel mondo materiale e fisico. Ma c'è di più?

ERACLITO: "Uno è per me diecimila se è il migliore". Essendo aristocratico mi sembra di capire che opti per una rigorosa selezione, e se è anche iniziato se ne capisce il perchè: guardare alla qualità è tralasciare il numero.
Nei suoi scritti, sembra che volesse dimostrare la difficoltà del contenuto tramite la difficoltà della forma.
"La natura ama nascondersi", dice. Intendendo con ciò, che non è la natura che si nasconde, ma l'uomo: non conoscendo, non riesce a percepire le giuste leggi e i giusti rapporti di natura.
I legami della natura sono dettati dal Logos: ragione (alta) e discorso ("parlare"). Significa anche "legare", che può voler dire anche legame tra cielo e terra.
Per Eraclito il logos ha tre significati: 1) la ragione che governa l'universo 2) il pensiero che comprende questa ragione 3) il discorso che esprime questa conoscenza; sembra che parli dei livelli, che ci sia una sorta di scala di valori, dal più basso (discorso), passando per il pensiero, al più alto (ragione, che non è razionalità). Sembrerebbe che in parte anticipa Platone (nome-discorso, definizione, pensiero, intelletto intuitivo-ragione).
C'è da aggiungere l'importanza dell'ordine: andare oltre le apparenze significa comprendere le regole e le Leggi che ordinano l'Universo.
L'Essere è la Legge secondo la quale accadono i fenomeni.
La Conoscenza riguarda i collegamenti fra i pensieri affinchè si abbia un ragionamento corretto. Ovviamente tali collegamenti devono essere Giusti e portare all'astrazione, e non rimanere confinati nei girotondi terreni.
Il linguaggio è il modo corretto di organizzazione delle proposizioni. Ovviamente esso deve corrispondere ai livelli della Conoscenza raggiunta.

Il Logos è un qualcosa che fa funzionare l'universo, ovviamente, e più si Conosce, più si riesce ad avvicinarsi alle essenze che procedono dal Logos.
E' difficile comprendere tale logos, ma l'uomo può utilizzare gli strumenti a propria disposizione, poichè se li possediamo un motivo c'è: la ragione prima di tutto.
Ma per raggiungerlo bisogna cooperare, "seguire ciò che è comune; infatti ciò che è è comune di tutti"; mi sembra che qui si riferisca ad una lavoro di gruppo, ma soprattutto al fatto che l'essenza prescinde dalla individualità: ogni cosa ha la sua essenza, ma a tale essenza tutti possono attingere, poichè più si sale verso i principi e meno differenziazione c'è, fino a trovare che tutti deriviamo, siamo emanazioni della stessa cosa.
Tutte le leggi umane, nella misura in cui sono giuste, derivano dalla legge naturale; ma per parlare di leggi giuste bisogna Conoscere.

I dormienti, cioè chi è sveglio e vive, rinunciano al Logos cosmico, e basano la loro esistenza sull'apparenza.
Gli svegli possono cogliere la Verità, il Logos, e sono i filosofi.

Eraclito incarna il logos nel fuoco, riconoscendo l'unicità del principio, ma spiegandone la ragione: l'accensione e lo spegnimento del fuoco posso spiegare il logos, in quanto le trasformazioni che sono emanazioni di tale logos, la mobilità ad esso collegata, avviene in maniera ordinata e ben regolata.
Il fuoco rappresenta il logos perchè è principio dinamico, inafferrabile e distruttore per eccellenza.

Ciò tende sempre all'armonia, rappresentata dalla compenetrazione dei contrari, un costante divenire e trasformazione, e una tensione costante e insopprimibile.
Per questo, continua, non si può conoscere una cosa se non si conosce il suo opposto.
Tali opposti in costante trasformazione rappresentano l'unità, il "nostro essere non essere".
La lotta tra contrari è il conflitto che genera tutte le cose, ma ciò tende sempre all'armonia, rappresentata dalla compenetrazione dei contrari, un costante divenire e trasformazione, che richiede un riequilibrio vicendevole.
Se uno dovesse prevalere sull'altro, anche il primo cesserebbe.

"Panta rei", è impossibile dare nomi alle cose dirà Cratilo, perchè cambiano di continuo: è un chiaro riferimento alla forma.
La realtà è come un fiume nella quale non ci si può bagnare due volte; ogni cosa è soggetta al tempo e si trasforma.
La teoria del divenire è una conseguenza della lotta fra gli opposti: e ciò è dappertutto. Ciò che in realtà sembra statico è dinamico, questo riguarda la realtà fisica, la forma. Ma che cosa è per l'essenza? Si può dire che ciò che sembra dinamico in realtà è statico? Abituati nel mondo delle forme, vediamo muoversi e trasformarsi tutto, ma l'essenza e i principi delle cose sono sempre quelli, non cambiano, valgono per ogni cosa al loro livello. Dinamicità e staticità sono due facce della stessa medaglia.

Nel testo è detto che "il principio è quel qualcosa da cui deriva tutta la realtà , quel qualcosa dove tutta la realtà va a finire e quel qualcosa in cui tutta la realtà permane".
Provando a vedere gli autori non in quanto tali, e non in quanto differenti, ma come voce di una stessa Conoscenza, vediamo che tutti:
- parlano di un principio, che è superiore alla forma terrena, e comunque diverso a qualsiasi elemento composto di questa
- riconoscono che tale principio, in alto, emana, crea, qualcosa che arriva sino in basso
- tale emanazione è interpretata come una separazione (più o meno peccaminosa) che stride con l'Unità, in vari modi, ad esempio con gli opposti
- che nulla è casuale dal principio in giù, nemmeno l'apparente tensione fra contrari, che rappresenta una trasformazione delle forme  quaggiù, ma prima o poi deve tornare all'origine tramite un processo ben regolato
- che il metodo conoscitivo dell'essenza procede per ragione, stando a significare per astrazione (dall'esempio pratico, dal processo, dall'immagine, ecc... per arrivare con l'astrazione all'essenza.

Mi sembra anche di capire (e Platone lo conferma) che non si conosce per definizione di una cosa, ma per negazione: così come si arriva all'essere per astrazione, allo stesso modo se ne può parlare dicendo ciò che non è (forma ad esempio); o dicendo che cosa non è il non-essere si può arrivare all'essere; non si può dare nemmeno una definizione di Dio, ma si può tentare di dire cosa dio non è.

Aforismi di Eraclito
relativismo ontico

[61]   Il mare ha acqua pura e malefica: gradevole  e salutare per i pesci, imbevibile e mortifera per gli uomini.

Una stessa cosa ha significati che apparentemente sono diversi. L’iniziato deve saper cogliere il Significato giusto, come i pesci devono sapere separare l’ossigeno dall’acqua per respirare. Tale Significato non è però alla portata di tutti: sapere qualcosa prima del tempo, senza la dovuta preparazione, fa respirare al pesce acqua inquinata. Rimanere attaccati alla relativita terrena pure.
Ognuno è in un livello che non può superare.

[13] [37] I porci trovano godimento nel fango più che nell'acqua pura.

Ognuno ha ciò che merita. Soddisfare i sensi, per coloro che non sono avvezzi a nutrire l’anima è ben più grande cosa che sacrificarsi alla Conoscenza.

[98]   Le anime hanno nell'Ade l'odorato.

L’essenza dell’anima non è a sé stante; l’anima è anche quaggiù, nel mondo delle passioni, nella vita di tutti i giorni. L’impulso che si ha di scoprire l’anima da quaggiù per chi è qualificato, non è a caso. Lo stesso Eros nei suoi molteplici significati può spingere a riscoprire l’anima, purchè non si sacrifichi la ricerca dell’essenza rispetto agli altri istinti, che hanno sempre una valenza minoritaria.
Il Logos lega cielo e terra.

l’empietà

[110]  Per gli uomini non è cosa buona ottenere tutto ciò che desiderano.

Se i desideri sono sempre soddisfatti l’anima viene viziata; ciò produrrebbe nuovi desideri acora maggiori, e falsi, e sempre cerscenti bisogni. Un desiderio insoddisfatto spinge alla ricerca, e all’elevazione: bisogna usare gli strumenti che abbiamo – desideri e sensi – e non lasciarsi da essi sopraffare.

[14]   L'iniziazione ai misteri in uso fra gli uomini è pratica sacrilega.

L’iniziazione ai misteri è riservata agli uomini di Desiderio, che guarda in Alto. Se tutti gli uomini aessero la possibilità di tocare il sacro, esso si infangherebbe.

[55]   Le cose che vedo, ascolto e percepisco, queste io prediligo.

I nostri sensi terreni sono gli strument che abbiamo a disposizione. Dobbiamo usare quelli, inizialmente impuri, poi, mano a mano, sempre più purificati: ciò porterà alla loro sublimazione (non al loro abbandono), ed essi ci permetteranno di sviluppare “sensi” ulteriori, che non hanno a che fare con percezioni terrene, formali.

[75]  Anche i dormienti operano e partecipano agli avvenimenti del mondo.

Non bisogna tirarsi indietro dalla vita: la vita va vissuta. Ma va anche capita. Vivere senza Significato significa far accadere. Diversa cosa è volere che qualcosa accada, coscientemente, perché si Conosce.
I dormienti influenzano comunque il mondo.

[9]    Gli asini preferirebbero il fieno all'oro.

Ognuno attribuisce un proprio senso a quello che ricerca, a seconda dei propri bisogni e necessità. Bisogna sapere convertire i bisogni di ognuno al bisogno dell’anima, e guardare all’oro dell’essenza.
Il sacro va toccato con mani pure.

i fabbricanti di menzogne

[42] Omero merita di essere espulso dalle gare e bastonato e la stessa cosa per Archiloco. 

Questa frase mi ricorda Platone quando parla degli accusatori che insegnano le menzogne. Chi si diletta nel passare per Verità ciò che non lo è, commette peccato anche se pensa che quello che sta dicendo sia Verità, se non ha l’umiltà di riconoscere che ha ancora tanta strada da fare (vedi Dionigi).

la coincidentia oppositorum

[48] L'etimo dell'arco è "vita", ma il suo uso è morte.

L’uomo in terra e nella forma si trasforma: nasce, cresce, si sviluppa, muore. Ecco l’arco nella parte visibile; poi c’è l’arco della parte invisibile, che è il contatto con le divinità e le essenze. La vita non finisce con la morte, come fosse una freccia scoccata: la metà invisibile dell’arco a semicerchio, va a completare il cerchio.
Abbagnano pone proprio l’accento su “bìos” e “biòs”: il Significato di ogni parola è molteplice e va scoperto, poiché quello formale è diverso da quello essenziale.
Ogni cosa come l’arco che uccide/la vita è formata di opposti che lottano nella forma e per l’essenza, ma in tanto esistono, e guardano ad un riequilibrio armonico per reintegrarsi nell’Unità.

i migliori, i signori

[125] Anche la sacra bevanda, detta ciceone, va in malora se non viene mescolata.

In terra niente è elementale, ma tutto è composto. Ciò è impuro. La separazione e la sublimazione purifica e separa: ed i nuovi elementi così formati, elementi sottili, per agire devono di nuovo mescolarsi, nelle giuste quantità e con il giusto regime di fuoco. Concentrarsi su un solo elemento, o su un solo composto (anche nella vita di tutti i giorni) è sbagliato.

Al contrario di Eraclito, per i PITAGORICI il discorso diviene essere annullamento degli opposti.
Mi sembra un punto fondamentale su cui sviluppare un discorso. Non si tratta di vedere chi ha ragione, poichè i due potrebbero intendere due cose diverse, o meglio, la stessa cosa vista da punti di vista diversi.
Gli opposti in tensione sembra che siano, che esistano di per sè. Esistono e permeano tutto, dall'emanazione ai principi, questa lotta costante fa si che ci sia armonia.
Innanzitutto c'è da notare che quando parla di opposti Eraclito lo fa dicendo che la lotta è generatrice.
Perciò, quando si parla di "annullamento" potrebbe voler significare:
- che tale annullamento non è dato dalla "scomparsa", ma dall'equilibrio della lotta che porta l'armonia, che di per sè non è lotta, ma compenetrazione;
- sino ad arrivare al fatto che gli opposti, riuniti nell'androgino primordiale, convivendo, riformano l'Unità e si reintegrano in essa: a questo punto gli opposti non hanno più bisogno di generare, poichè sono auto-germoglianti. 
In tal caso l'annullamento avrebbe valore di "ri-unificazione".
Ciò vorrebbe anche dire che la dicotomia essere/non-essere non esiste, viene a cadere. Ogni cosa è, in quanto il risultato di questa lotta deve essere il ritorno all'Unità.
Una cosa che non-è, quindi, non presupporrebbe questa lotta: di per sè non appare nella forma (non-è, quindi non è visibile), nè nei piani invisibili (non è essenza), nè ha la possibilità di reintegrarsi nell'Uno.
Ma sembrerebbe che non sia contemplata la possibilità di non-lotta: laddove c'è lotta c'è qualcosa che è, ma non si può dire che dove non ci sia lotta c'è qualcosa che non-è.
Quando Eraclito parla della scomparsa di uno dei contrari se cessasse di lottare, mi sembra che implicitamente indichi che questo NON può accadere: per questo sembra che qualcosa che non-è non possa essere contemplato.
Tutto ciò non significa che ciò che è, è sempre come essenza. La manifestazione di ciò che è nel mondo fisico è in un modo, in altri piani in un altro.
Infatti, se noi contemplassimo la possibilità che qualcosa non-è, già solo per il fatto di aver contemplato qualcosa che non-è, abbiamo percepito quel qualcosa: e quindi è.

I pitagorici sono una scuola filosofica a carattere mistico che riprendono le pratiche orfiche.
La purificazione per i pitagorici significa vivere nel modo giusto, poi compiere riti.
Importanza della trasmigrazione delle anime.
Importanza della matematica e dei numeri, i cui principi sono anche i principi della realtà, che sono permanenti e immutabili.
Tutte le cose sono caratterizzate dalla misurabilità. E ciò significa, in sostanza, che nulla è lasciato al caso.
I pitagorici non conoscevano lo zero (le loro pietruzze di calcolo non potevano rappresentarlo).
All'uno nulla è antecedente, ed è un'entità indivisibile e sorgente di tutti gli altri numeri; è parimpari: aggiunto ad un dispari genera un pari e viceversa.
Un numero dispari diviso in due lascia come limite 1.
Importanza della Tetraktys.
Tra i numeri esistono logoi, cioè rapporti che danno una proporzione. Consideriamo, per esempio, il rapporto aureo.
Nella cosmologia la terra non viene vista al centro dell'universo.
L'illimitato a sua volta è un concetto fortemente negativo; sono i movimenti celesti che sono eterni, e sono caratterizzati dalla ciclicità e circolarità: il principio e la fine si ricongiungono in una serie di ritorni periodici. Tale circolarità mi ricorda l'ouroboros ma anche il cerchio di Platone.

Per Pitagora i numeri sono il principio delle cose, ed il mondo non è un caos disordinato, ma armonia misurabile.
Il principio dei numeri sono il dispari ed il pari, il primo perfetto, determinato, finito, destro, diritto, maschile, che è Uno e Quadrato; il pari imperfetto, indeterminato, illimitato, infinito, sinistro, curvo, femminile, che è molteplice e Rettangolo.
Ciò ci fa capire perchè i pitagorici ritenessero che l'illimitato originario fosse stato "ispirato" dall'Uno (limitante!) e da ciò avesse origine la distinzione delle cose.
L'Uno è infatti l'essenza stessa di tutto, poichè racchiude la dualità pari-dispari, ed è anche creatore; tutte le cose risultano dalla combinazione fra illimitato e limitato perchè se le cose fossero illimitate non vi sarebbe oggetto di conoscenza comprensibile.
Dall'illimitato si deducono spazio, tempo e moto.
All'estremità della scala di formazione dell'Uno c'erano invece le anime umane, le più imperfette emanazioni dell'anima del mondo: tale anima è eterna, ma le sue condizioni e forme sulla "scala" sono passeggere.
Comunque, è anche importante notare che l'incontro fra anima e corpo non avviene a caso, ma è il frutto di un giudizio divino.

Sulla dottrina pitagorica dei numeri ci sono però alcune cose interessanti:
- i numeri risultano essere una quantità indeterminata via via che si determina: è solo definendo e limitando lo spazio/posizione di un numero, che si vede che la serie risulta essere infinita;
- assolutamente da non sottovalutare è l'aspetto qualitativo dei Numeri, più importante di quello quantitativo nel raffigurare contenuti cosmologici e metafisici. L'Uno e i numeri pari e dispari dimostrano come l'Ordine del Cosmo e la sua Bellezza non sia il risultato dell'emarginazione della forza negativa, ma dalla sua integrazione con quella positiva (e così per ogni cosa) nell'Uno. Le forze cosmiche del dispari-del Tre non possono essere principi assoluti perchè si contengono il reale con le potenze del Pari-del Due, altrettanto necessarie: esse devono essere in equilibrio;
- anche alla base della musica vi sono numeri e proporzioni. Le proporzioni sono dieci e 10 è anche il numero perfetto.
I rapporti armonici corrispondono anche anche ai rapporti fra pianeti (es. rapporto di quinta: il quadrato del periodo di rivoluzione è proporzionale al cubo della distanza pianeta-sole); questa armonia corrisponde, ci dice Newton, anche la legge di gravitazione;
- poichè la scienza è sempre la scienza di cose finite, bisognerà determinare sia la grandezza che la molteplicità. Il quanto in sè è infatti aritmetica ma se in relazione (proporzione è musica; se è immobile è geometria, se in movimento astronomia. Queste 4 scienze sono poste anche in ordine gerarchico, e devono portare alla contemplazione degli enti immateriali e divini;
- particolare rilevanza viene data ai numeri primi, al quadrato e al cubo dei numeri; 
- interessante mi sembra anche il seguente passo: "Ma osservando quale supera l’unità di 1 trovo che è il 2, sommo quindi 2+1 e risulta 3: ebbene 3 è triangolare. E ancora, poiché era 2 il aggiunto, osservo quale lo supera di 1 e trovo che è il 3; lo sommo quindi al 3 e risulta 6, poi 4+6 e fa 10. Il 10 dunque è triangolare. E ancora, quale supera il 4 di 1? Il 5: sommo 10+5 e risulta 15: ebbene il 15 è triangolare; e così per tutti gli altri" (Filop., II 31)."
- esistono numeri sferici, che come il cerchio partono e tornano allo stesso punto, e sono i multipli di 5 e 6 che finiscono con 5 e 6;
- il concetto di monade (aritmetica) riporta al concetto di punto (geometria), che è adimensionale: esso non è parte della linea, che è unidimensionale, ma è potenzialmente una linea.
A differenza del punto, la monade è invece anche parte della molteplicità, e non è solo molteplicità potenziale (i numeri dopo l'1 sono un accumulo di unità);
così come l'adesso è il principio del tempo, ma è anche parte del tempo;
l'Uno è principio sia pari che dispari ed elemento del numero; la diade è il principio dei numeri pari; e finalmente il 3 è il vero numero (ecco perchè si dice che la manifestazione vera cominci dalla 4a sefira). Il fatto che la somma dell'uno sia più elevata del prodotto e che la somma del 2 sia uguale al prodotto, è esemplificativo: per tutti li altri numeri vale la regola che il prodotto (molteplicità) è maggiore della somma.
E allo stesso modo è indice il fatto che il 2 moltiplicato ad altri numeri dia ancora numeri diversi, mentre l'1 dia gli stessi numeri per cui si è moltiplicato; e la somma di una fila di numeri dispari dia i quadrati e la somma di una fila di numeri dispari dia gli eteromechi.

Per FILOLAO la Terra è principiata dal cubo, il fuoco dalla piramide, l'aria dall'ottaedro, l'acqua dall'icosaedro.

PLATONE andrà ancora più avanti parlando di numeri ideali, idealisticamente non contaminati dalle "impurità" fisiche e quantitative pitagoriche.
Inoltre nel Timeo parla del fatto che tali impurità fanno sì che l'anima sia destinata a corpi diversi a seconda dei propri vizi e virtù.
Una seconda linea pitagorica parlava invece di metempsicosi come del viaggio dell'anima in altri mondi.
Inoltre la matematica, dice l'autore, e le formulazioni pitagoriche, servono a capire anche il Timeo e la sua formulazione cosmologica.

L'impronta orfica fa sì che l'unione tra anima divina ed eterna e corpo fosse una punizione per le colpe della vita precedente (corpo-carcere).
Ma eticamente la purificazione dell'anima avveniva con regole pratiche: di vita, di comportamento, alimentare, con la moderazione e lo studio della scienza. La pietà filiale era di estrema importanza.
E' anche interessante il lungo percorso di pratiche che viene descritto: mediche (non a caso una delle prime persone con cui si imbatte Pitagora è Alcmeone) e ascetiche, e musica (accompagnate dall'ascolto e dal silenzio), l'iniziare a far domande, il ricevere l'istruzione pitagorica da dietro una tenda a mo' di oracolo.
I giorni delle feste sacre era proibito tagliarsi unghie e capelli; ogni giorno doveva essere dedicato ad un dio particolare. Si attribuivano ai demoni sogni e manifestazioni profetiche, così come le infermità: e anche da loro ci si doveva purificare.
Sembra che la scuola pitagorica sia stata a detta dell'autore la sola ad ammettere donne. Esso dice anche che per alcune pratiche ascetiche Pitagora sembra essersi ispirato all'oriente, in particolare si fa notare un'influenza indiana.
I pitagorici suddividendo il giorno e le cose da fare in un giorno, lo vedono come fosse una vita intera: per questo un giorno ben vissuto vale una vita intera, e alzarsi la mattina e camminare esplorando ricorda l'infanzia, poi dedicarsi alla politica e alla città i eriodo attivo della vita, poi la lettura e la discussione, il periodo "riflessivo". Infine l'esame di coscienza serale l'approssimarsi della morte/sonno.

Gli autori individuano nei limiti del pitagorismo l'incapacità di spiegare il male e l'irrazionale, l'idea della metempsicosi (che è comunque il riconoscimento del principio divino nella forma), l'idea di liberarsi dal corpo, quando si dovrebbe pensare a liberarsi del corpo, il vegetarianesimo.

Leggendo Diogene Laerzio sembra che la metempsicosi tra le varie forme di Pitagora (?) sia stata: Etalide-Euforbo-Ermotimo-Pirro di Delo-Pitagora.
Detto questo, per la scuola grande importanza era data alla facoltà della memoria; e l'accento fondamentale è sul ricordo delle vite passate.

In definitiva, Pitagora credeva che Dio fosse l'armonia dell'Universo, e che la purificazione si ottenesse con la contemplazione matematica. La Ragione per lui non era alto che la capacità di espressione di un Rapporto proporzionale. In questo senso credo sia da interpretare l'ultima riga del testo, dove l'autore traduce il Logos del Vangelo di Giovanni con il Verbo che è anche Ragione: "In principio era la Ragione, e la Ragione era presso Dio, e la Ragione era Dio".

Le piante di fave erano considerate piante degli dei degli inferi e dei morti.
La fava infatti è l’unica pianta che ha uno stelo privo di nodi e questa sua particolarità faceva pensare che fosse il mezzo più adatto per permettere ai morti di comunicare con il mondo dei vivi. Era come un canale privilegiato attraverso il quale i morti potevano comunicare ma, per alcuni, potevano anche impossessarsi delle anime dei vivi.
Guarda caso poi il favismo va a colpire il sangue, il più importante fluido corporeo.
Il gonfiore che la fava provoca è "nocivo alla tranquillità spirituale di chi cerca la verità".
Sono in ogni caso simbolo di impurità, da cui il filosofo deve allontanarsi.
Se uno pensa alla fava, che potrebbe essere simbolo anche del genitale maschile e quindi delle relative basse pulsioni, vede che è un qualcosa (essenza) ricoperta da un involucro (forma).

Il tema centrale per PARMENIDE e gli eleatici è l'unitarietà dell'essere.
L'essere è immutabile, ed anche la causa lo è.
Tutti gli enti sono diversi tra loro ma hanno in comune il fatto che sono esseri, che sono, che esistono.
Le vie da seguire sono 3: 1) l'essere è 2) l'essere non è (via impossibile perchè è impossibile dire e pensare ciò che non è) 3) l'essere e il non-essere si mescolano (via dei comuni mortali).
Mescolare essere e non essere è contraddittorio, e per capire che cosa sia veramente l'essere è necessario legarlo nella maniera giusta con pensiero e linguaggio. Mentre la 2a via è impossibile, questa via è purificabile (e gli umani hanno fatto bene a non cadere nel tranello della 2a via).
Il metodo che utilizza Parmenide si basa su 1) la deduzione 2) la dimostrazione per assurdo: si parte dalla premessa contraria a ciò che si vuol dimostrare e se ne tirano fuori le conseguenze errate. Essendo errate le conseguenze, lo sono anche le premesse; ciò serve a dimostrare che la cosa contraria sia valida.
Se l'essere mutasse, ciò che è adesso non è ciò che è prima, e pertanto non è più essere.
Se l'unicità fosse molteplice, ogni molteplice è sè stesso, e quindi cadrebbe l'unità.
Se l'essere si muovesse, si muoverebbe da una cosa ad un'altra, e non sarebbe più essere.
Se l'essere fosse infinito, mancherebbe di qualcosa, e non sarebbe essere per quella parte che manca.
La rivelazione non è mai tutta compiuta, ma la dea solare (Bene) comunica la via di ricerca: la Conoscenza è inconoscibile per intero, avviene a tappe, c'è una guida, che aiuta a percorrere una strada iniziatica e a guardare dentro di noi, e a ricoprire il nostro Intelletto ed Intuizione.
Poichè ogni iniziato ha un proprio percorso, non deve dimenticarsi: dell'immobilità del cuore della Verità, e delle forme ed opinioni degli uomini comuni.
La Conoscenza si perfeziona quando oltre a conoscere le perfezioni, si conoscono anche le imperfezioni.

Eternità: l'essere non è nè sarà, perchè è ora tutt'insieme.
Non riconosce assolutamente l'individuazione e la contrapposizione di due principi come fa Eraclito.
Platone sulla concezione di Parmenide dirà che si può "essere diversamente".

Per ANASSAGORA immutabile non è l'essere, ma i suoi principi.
Da pluralista dice che dato che il molteplice c'è e si vede, bisogna che questi esseri molteplici abbiano le caratteristiche dell'essere.
Nascita e morte sono processi di aggregazione e disgregazione.
La matrice originaria del mondo è una massa indistinta di tutto ciò di cui sono costituite le cose: i semi. Essi non nascono nè muoiono, ma sono costanti ed eterni.
Quello che cambia è la forma di ciò che questi semi fanno nascere dalla loro mescolanza. Una particolare cosa la vediamo così com'è per la preponderanza di un seme. (e così illustra l'assimilazione corporea del nutrimento)
I semi non hanno formato solo il nostro mondo, ma anche altri mondi.
Dall'origine alla pluralità della manifestazione c'è stato un impulso originario chiamato nous che ha dato il movimento. Questo nous è l'unica realtà che non è formata dalla mescolanza di semi; e la sua forza non è nè totalmente aggregatrice nè disgregatrice.
Dove c'è movimento c'è vita?
Il sapere umano è acquisito gradualmente per 1) esperienza 2) sapienza 3) tecnica
La sensazione avviene per contrari.

Anche EMPEDOCLE è pluralista, e parla di aggregazione e disgregazione.
Parla di 4 rizomata (i 4 elementi), radici che mescolate danno vita alle varie cose.
Anche il nascere e il morire sono aggregazione e disgregazione (Parmenide), e provengono dalle 4 radici, e sono dovuti all'azione di Amore e Odio.
Quando l'Amore prevale sull'Odio si ha una situazione di pace.
L'aggregazione per eccellenza dove prevale l'Amore e le 4 radici sono mescolate è la situazione primordiale: lo Sfero.
La visione del mondo è ciclica, ed alterna Amore e Odio, che è anche disgregazione dei 4 elementi.
La qualità del pensiero deriva dalla qualità (sussistenza proporzionata) del sangue intorno al cuore, sangue che anch'esso è una mescolanza dei 4 elementi; l'attività del pensiero è legata alla fisiologia corporea.
La Conoscenza è omogeneità fra l'uomo e il mondo, "del simile tramite il simile", che si bassa sulle giuste proporzioni.
E anche il tempo è fondamentale.
Orficamente, l'anima, spinta dall'Odio, commette colpe e deve fare un lungo viaggio.

Per DEMOCRITO nulla avviene a caso.
Se i fenomeni visibili sono molteplici, ci dobbiamo chiedere il perchè e andare verso l'invisibile, costituito da atomi + vuoto.
Gli atomi, costituenti ultimi della realtà, sono ingenerati e indistruttibili (da non confondere ovviamente con gli atomi della scienza nè con i quark); essi hanno movimenti pulviscolari nel vuoto che li fanno scontrare.
Le loro sono differenze anche di tipo geometrico e spaziale, e se essi nel movimento non sono incompatibili si aggregano.
Il vuoto è non essere.
La vita è contrassegnata dal calore e l'anima è una prerogativa degli esseri viventi.
La massima mobilità genera calore; e la respirazione è fondamentale per la reintegrazione di atomi di anima che si perdono per la mobilità.
Gli eidolà sono immagini, emissioni atomiche che si staccano dagli oggetti dai quali provengono e raggiungono i nostri senso.
Il mezzo per la loro veicolazione è l'aria.
Anche i sogni trasmettono eidolà.
Democrito non individua nessuna causa nè uno scopo per il movimento degli atomi: è come se andassero a caso.

SOCRATE si guarda bene ad essere un sofista, cioè a far discorsi raffinati per affabulare, ma non dicendo la verità.
Non è lo stupore che deve esserci, ma la verità, che si deve approntare su un dialogo botta e risposta, e iniziando con quella ironia socratica ("io non so, tu sai"). Con la confutazione si dimostra invece l'inconsistenza del sapere degli interlocutori.
Una definizione corretta, che copra tutti i campi di indagine di ciò che è da definire, può essere una base di partenza; da qui si può partire per liberarsi dal falso sapere o dalla presunzione di sapere per Conoscere.
L'interlocutore maieuticamente va fatto partorire.
Quando si trova essere il più sapiente (Apologia), pur sapendo di non sapere, è un atteggiamento di ricerca della verità, e anche segno di modestia intellettuale.

Se si è convinti di sapere tutto, non ci si sforzerà di migliorare e Conoscere veramente.
Socrate pensa anche che nessuno può compiere il male sapendo effettivamente di compierlo: per lui non si può fare il male volontariamente, e quindi sembrerebbe che non c'è una scelta fra bene e male.
E' il primo che identifica l'anima con il vero Io, non la vede più come soffio vitale.
Il corpo è lo strumento e la prigione dell'anima.

La ricerca del piacere fisico non è un male di per sè, ma lo diventa quando la si antepone alla ricerca intellettuale.
Il corpo va apprezzato in quanto è lo strumento dell'anima, e quindi gli serve.
Il corpo umano ha una struttura organizzata non casuale: ed è la prova non solo dell'esistenza di dio ma dell'interesse e amore di Dio verso l'uomo più di qualunque altro animale.
Il Dio socratico è una entità assoluta, elevazione della psychè umana.

La virtù è scienza.
Chi conosce che cosa è bene per lui non può non farlo, e questa è virtù.
E questo è anche fondamentale per il perseguimento della felicità, strettamente legata a questa virtù che è anche moderazione.

Anche l'ingiustizia non danneggia chi la subisce, ma chi la commette: "la giustizia dà un senso di piacere che è perso da chi commette ingiustizia, ma che continua ad essere provato da chi non la commette".
Quando l'anima è sana e giusta anche noi stiamo bene, viviamo bene.

Per PLATONE una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta dall'uomo.
La virtù è una ed è scienza, e come tale è insegnabile, e in essa consiste la felicità dell'uomo.
Uno solo deve essere anche l'ideale, che è il Bene.
Per fare il Male bisogna conoscere anche il Bene, ma chi sa distinguere tra Bene e Male non sceglierà mai di fare il Male: perciò l'uomo che fa il male è sempre un uomo ignorante, che non conosce la scienza.
Il male non è subire un'ingiustizia, ma il commetterla (Critone) poichè corrompe l'anima, così come sottrarsi alla pena per l'ingiustizia commessa.

Se solo la Scienza è insegnabile, la sofistica, l'eristica (confutare sia il vero sia il falso a prescindere) e la retorica (arte della persuasione e adulatoria) non hanno ragion d'essere: è il vero Sapere, quello filosofico, che va usato a vantaggio dell'uomo.
La Scienza è immutabile e perfetta.
Il pensiero riflette l'essere, e la mente è uno specchio di ciò che esiste (e come specchio, ciò che esiste è il contrario nella materia).
Nel primo Platone non possono essere oggetto della scienza le cose del mondo, ma solo le Idee che sono entità immutabili ed indipendenti dalle cose (Eraclito: immutabilità dell'essere), anche se sono in stretta relazione con quelle stesse cose, imitazioni imperfette delle idee (Parmenide: mutevolezza delle forme).
E' su questa relazione su cui disserta il Platone maturo.
L'essere platonico è diverso dalla Idea: l'essere non è unico come in Parmenide, ma formato da una pluralità di idee.
L'essere è possibilità (di agire o subire).

La scienza si basa quindi sulla dottrina delle idee.
Le idee sono idee valori o idee matematiche, e seguono un ordine gerarchico piramidale con il bene al vertice.
Il Bene non crea le idee, che sono già eterne, ma comunica loro la perfezione.
Le idee sono:
1) condizione della pensabilità degli oggetti
2) condizione dell'esistenza degli oggetti (causa)
Esse sono trascendenti, esistono oltre le cose, e sono percepibili solo con lo sguardo della mente, con l'Intelletto, e non con i sensi.
L'anima conserva un ricordo sopito di ciò che ha veduto nelle varie vite: Conoscere significa percepire le idee, che significa ricordare (reminescenza).
Poichè le idee sono collegate fra di loro, sono come le ciliegie, una tira l'altra. Il metodo è quello maieutico.
La morale ed il linguaggio, se intesi nella giusta maniera, assumono un valore assoluto.

Come può l'Idea essere partecipata o diffusa da più oggetti (l'essere è composto da più idee)?
Se è l'idea ad essere unica e non l'essere, tali idee possono comunicare ed entrare in relazione fra di loro:
1) ogni idea è perchè è
2) ogni idea è identica a se stessa (e quindi non possono esserci due idee identiche altrimenti si riunirebbero)
3) ogni idea è diversa dalle altre (Parmenide parla di questo "diverso" come di non-essere, quando il vero non-essere per Parmenide dovrebbe essere il nulla)
4) ogni idea può starsene in sè, oppure
5) entrare in movimento, instaurando una relazione con le altre.
Su tale relazione si basa la riflessione matura di Platone.
Essa non riguarderà più solo le idee, ma la riflessione sarà più generale.
Alcune idee sono combinabili tra di loro e altre non lo sono: fra alcune idee c'è relazione, fra altre no.
Ciò si scopre con la definizione di una idea, e poi con un procedimento dicotomico che entra nel particolare dividendo in due un'idea.

Le prove dell'immortalità dell'anima sono quella:
1) dei contrari: in natura ogni cosa si genera dal suo contrario, così la morte genera la vita
2) della somiglianza: l'anima è simile alle idee, se le idee sono eterne anche l'anima lo è
3) della vitalità: l'anima in quanto soffio vitale è vita (eterna) quindi non partecipa alla morte.
Questo anche se sembra confliggere con 1) non confligge: il primo punto si riferisce alla mutevolezza della forma (e anche per questo si parla dei contrari), il terzo all'essenza (ed infatti si vede l'anima come unità).

La Conoscenza è:
1) sensibile (mondo materiale): sensazioni (immagini superficiali ed isolate) e credenze (immagini in rapporto fra di loro)
2) razionale (mondo delle idee): scienza (idee matematiche) e intelligenza filosofica (intuizione delle idee-valori).
La matematica che appare nel mondo sensibile non deve essere che un punto di partenza (Pitagora) per risalire sino ai principi-idee.
Il filosofo deve cimentarsi in questioni etico-politiche e usa aritmetica, geometria, astronomia, musica.
Fa parte dell'educazione del filosofo anche il ritorno alla caverna, per mettere ciò che ha visto a disposizione della comunità: dovrà dunque riabituarsi all'oscurità della caverna.
L'arte abbandonata a sè è falsa, e può esistere solo se assoggettata alla filosofia.

Il relativismo produce disordine e violenza: la dottrina delle idee permette di uscire dal caos delle opinioni.
Ciò vale anche per il piano socio-politico.
La comunità ideale (Repubblica) non è per questo mondo (Leggi).
Lo scopo della Repubblica deve essere la Giustizia, che comprende Saggezza (filosofi), Coraggio (guerrieri) e Temperanza (accordo fra governanti e governati), e si raggiunge tramite una divisione per funzioni mobili (e non per classi ereditarie).
La Giustizia si realizza quando ciascun cittadino attende al suo compito, che va per il bene della comunità tutta.
La Giustizia aiuta la comunità ma anche l'individuo, la cui anima concupiscibile (sensi, lavoratori manuali), irascibile (coraggio che lotta per la gustizia, guerrieri), razionale (sapienti), deve essere temperata (temperenza: accordo fra le 3 parti).
I cittadini migliori sono quindi quelli in possesso del Sapere.

Chi assegna a ciascuno i proprio compito?
Ognuno è responsabile del proprio destino in base alle esperienze accumulate dall'anima nelle vite precedenti.

- Nella repubblica ideale lo scopo è il bene di tutti.
Proprietà privata, oro ed argento saranno eliminati; la ricchezza e la povertà sono entrambe nocive; i governanti devono avere in comune donne e bambini; si guarda eugeneticamente alla procreazione di figli sani, come in una grande famiglia; le donne sono uguali agli uomini.
- Nella comunità reale la legge prescrive regole generali, e non particolari per la specificità individuale.
La punizione alla trasgressione delle leggi non deve essere una vendetta, ma deve spingere l'ingiusto ad amare la giustizia, cioè promuovere la virtù, quindi la felicità.
Il governo è un misto fra aristocrazia e democrazia, è incoraggiata la famiglia e la proprietà privata seppur sotto il controllo statale.
Il consiglio notturno deve soprintendere alla vita collettiva, rispetto delle leggi della religione dei costumi.

Il rapporto tra uomo ed idea è un rapporto d'amore.
L'amore nella sua soggettività (Fedro) è un amore che non ha la Bellezza, ma desidera la Bellezza: infatti ci sono dei gradi per raggiungerla (Convito): corpo, anima, istituzioni e leggi, scienza, Bellezza pura.
Il piacere è la soddisfazione di un bisogno, che è sempre mancanza e quindi dolore: piacere e dolore si condizionano vicendevolmente.
Per oblio o per colpa, l'anima si appesantisce come fosse tirata dal pessimo cavallo di Auriga: la reminescenza può invece aiutare il cavallo che ascende al cielo, tramite un procedimento razionale che non esclude le passioni ed i sensi (che abbiamo, e quindi dobbiamo usare), ma pone in primo piano l'Intelletto (qui il richiamo a Socrate è palese).
Nel Filebo il Bene per l'uomo è la forma di vita umana, mista di piacere e intelligenza. Tutta la verità sta nella giusta misura, una sorta di proporzione, di rapporto armonico, raggiungibile per gradi:
1) giusto mezzo
2) ciò che è proporzionato, bello, compiuto
3) intelligenza come causa della proporzione e della bellezza
4) opinione
5) piaceri puri

Non esiste un dio personale ma l'idea di divino.
Il demiurgo invece è inferiore all'idea, ma è l'ordinatore della materia pre-esistente: amante del Bene, ha voluto ordinare le cose ad immagine e somiglianza delle idee.
Esso ha generato il tempo, che è immagine mobile dell'eternità.
Il tempo è misurato dal movimento degli astri, che incarnano la volontà del demiurgo e la scala gerarchica degli enti.
La materia è ribelle.

La religione è un incentivo al rispetto delle leggi e della virtù.
Interessante è la ripresa delle idee del Timeo nel cristianesimo.


- Reale nell’introduzione parla di influenza della filosofia greca sia tra i sacerdoti egizi che tra gli alessandrini. Dal loro canto, gli egizi hanno influenzato i pensatori greci con alcune delle loro nozioni geometriche e aritmetiche; nonostante ciò mi sembra, come d’altro canto avevamo già visto, che le creazioni filosofiche greche hanno una loro autonomia particolare, indipendente e per alcuni tratti di derivata dal pensiero orientale;


- se attraverso la poetica e il mito, che facevano leva su aspetti irrazionali ed allegorici del sentire umano, già si era alla ricerca del principio unico di tutte le cose e del divino, è l’orfismo ad introdurre la concezione di un qualcosa di immortale all’interno dell’uomo. Però è con la filosofia che si tenta di dare a tutto questo una spiegazione razionale.
Ora, questo termine “razionale”, inteso come logos, èun po’ abusato e inteso aggigiorno come metodo scientifico, mentre da quello che abbiamo detto è da intendersi, grazie a Socrate e Platone, come metodo dialettico;

- in questo mi sembra che anche la ricerca scientifica pitagorica vi rientrasse: questa ricerca infatti non era il fine ma un mezzo di purificazione per raggiungere un fine superiore: l’uomo deve vivere, ma in funzione dell’anima;

- l’aporia maggiore degli eleatici consisteva nel fatto che nel riconoscere l’essere quale eterno, infinito, uno, uguale, immutabile, immobile, incorporeo, escludevano però la moltiplicità di esso nei vari piani che quell’essere si va manifestando;

- un tentativo di superare questa aporia viene fatto da Empedocle. I suoi discorsi sull’Amore e sulla Contesa possono essere assimilabili, in forma ancora imperfetta, ai principi supremi di Uno e Diade di Platone.

- Reale è chiaro nel dire che Socrate e Platone non sarebbero esistiti senza il relativismo portato dai Sofisti, soprattutto quelli della prima generazione, anche perché hanno spostato il discorso, insieme ad altre tendenze greche, dalla ricerca dei principi all’analisi dell’uomo.
Nonostante i loro discorsi siano più machiavelliani dello stesso Machiavelli: se per lui il fine giustifica i mezzi, per i sofisti vedo che è il mezzo a diventare il fine (facendo dell’ “utile” individuale misura di tutte le cose), e questo snatura la sacralità dei propri discorsi. E infatti per Socrate l’utile del corpo è importante solo in funzione dell’utile per l’anima;

- e la preminenza dell’anima rispetto al resto fa dire ai Cirenaici che “non il piacere è turpe, ma il restarne vittima; non il soddisfacimento delle passioni è male, ma il lasciarsi travolgere da esse; non il godimento è da condannare, ma ogni eccesso che in esso si insinui”.

Se la felicità consistesse nei piaceri del corpo, dovremmo considerare felici i buoi quando trovano foraggio da mangiare.

Se uno non spera, non potrà trovare l’insperabile, perché esso è introvabile e irraggiungibile.

Il Dio mi costringe a fare da ostetrico, ma mi vieta di generare.

- quando Platone parla della dipendenza unilaterale dei vari piani ed in particolare della dipendenza del piano inferiore da quello superiore, parla anche del piano sensibile come, specifica Reale, intermedio fra l’essere e il non-essere.
In Platone la concezione del non-essere non esiste in senso assoluto, e Reale quando cita questo non-essere si riferisca all’essere sensibile del mondo del divenire che continuamente si genera e che partecipa di riflesso e in maniera parziale al vero essere;

- quando Reale parla della chora di cui si parla nel Timeo e della Diade indefinita che tende al grande e al piccolo all’infinito, dice che la chora rappresenta solo una parte della Diade, ed in particolare l’aspetto che riguarda il livello più basso e sensibile;

- attraverso le dottrine non scritte, Reale riporta all’Uno la causa del Bene e alla Diade la causa del Male. Platone non ne parla esplicitamente né fa capire se ciò sia valido a tutti i livelli, ma Reale affronta il discorso dicendo che se ciò è valido a livello intellegibile, la Diade deve essere per corrispondenza e per il discorso dei piani unilaterlamente dipendenti anche causa del male nel mondo sensibile.
Ciò andrebbe a confermare anche l’idea della polarità platonica espressa a tutti i livelli, sino alla mescolanza del mondo sensibile;

- la concezione del corpo come “tomba’, carcere dell’anima, mi sembra molto più attenuata nel Timeo rispetto alla altre opere;

- All’uomo, interpreta Reale, si addice una vita mista di intelligenza e di piacere;

- riguardo all’Amicizia, nel Liside si afferma che è l’intermedio (nè-buono-nè-cattivo) ad essere amico del Buono, più del cattivo in sè e dello stesso buono in sè. Questo intermedio è da intendersi anche in senso verticale in una dimensione di trascendenza, rimanda ad un Primo Amico, che è sempre il Bene. La funzione è la stessa di Eros, “mediatrice degli opposti”, che lega e unifica il mortale e l’immortale.

- quando Reale parla dell’Eros dice anche: “ma anche la generazione nel Bello a livello spirituale delle anime mira allo stesso scopo. In effetti, mediante questa forma di Eros, l’uomo cerca un’altra forma di immortalità, quella di carattere spirituale”.
Poi, più sotto, distingue il significato dell’amore per i greci, inteso come amore acquisitivo che porta anche alla morte (e il ricordo ai posteri)  e che rappresenta così una forma di ricerca di immortalità; mentre l’agape cristiana ha il significato di un amore donativo, il donarsi totalmente.
È quell’agape cristiana accomunabile alla carità di cui parlava S. Agostino.

- quando nella Repubblica (ideale) Platone parla della “sacralizzazione” della famiglia e della “messa in comune” (al servizio dello Stato, comunismo in senso ascetico) di tutto tranne che del proprio corpo, ciò mi ricorda quanto espresso dalla regola benedettina (e credo in generale da qualsiasi altra regola monastica), che inasprisce ancor di più tale visione nel dire che nemmeno il corpo, in un ordine monastico, appartiene più a chi vi entra.
La suprema Misura sarà Dio (e non l’uomo...); a ciò Platone aggiunge che la Repubblica ideale è realizzabile nell’interiore dell’Uomo, nella sua anima;

- nel Politico e nelle Leggi, Platone afferma che la costituzione storicamente più adeguata è un tipo misto che riunisce i pregi della monarchia con quelli della democrazia, e mette come condizione necessaria (vista l’ipossibilità dei governanti di essere Filosofi) il rispetto delle Leggi. Questo tipo “misto” ben si addice e riflette il “misto” che caratterizza il mondo sensibile; la libertà temperata dall’autorità è la giusta misura e il fine che si propone la costituzione mista;

- lascio da parte i successori di Platone, che mi sembra non abbiano ben recepito il suo messaggio, o lo abbiano recepito solo in parte, o addirittura snaturato quando ridanno troppa preminenza alla fisicità o alla materia.
Da Speusippo in poi prevale la linea dell’importanza della virtù spirituale (virilità e spiritualità) di cui parlava Platone associata anche alla felicità data dai beni inferiori, quali potevano essere quelli del corpo. Ma di loro si sa poco, se non da alcuni frammenti.

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