Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze, Norberto Bobbio

Moda italiana: fashion e lifestyle dell'Italia contemporanea

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«Questa è un’epoca reaganiana, thatcheriana, papalina: il pensiero conservativo si è impadronito delle tecniche dello spettacolo perfezionandole e ha recuperato il ritardo che lo distaccava dalla moda, dal costume corrente.

Il lancio degli yuppy ha permesso a conservatori e tradizionalisti in genere di ostentare una “banda giovanile”, uno stile di consumo per le giovani generazioni improntato alla maturità, al rispetto dell’ordine e delle gerarchie.

Gli yuppy sono gli eredi designati dell’immaginario “classico” che senza di loro sarebbe andato disperso, sommerso dalle mode indifferenti alla fede del Santo Rolex d’Oro, refrattarie alla mistica del capetto firmato, agnostiche nei confronti della Sacra Volvo Familiare.

I giovani, urbani, professionali yes men del capitalismo vincente, devono il successo mondano alla loro immagine, e la loro immagine alla accondiscendenza acritica al principio del profitto. Il loro compito è colonizzare le giungle periferiche, incivilire i nuovi barbari, i neocavernicoli, gli ultimi moicani, battere i truci guerrieri delle tribù metallare, convertire i mangiatori di panini che hanno osato uscire dalle riserve loro assegnate e invadere le strade del centro, disperdere gli adoratori di false madonne.

Nel western sociale della moda spettacolo, sono tornati in scena, proprio al momento giusto, i cari ragazzi del Settimo cavalleria, i marine della normalità, gli amici dello sceriffo pronti a ripulire la città dagli indiani metropolitani. I media stanno dalla loro parte, e loro stanno dalla parte dei media.
Li entusiasma qualunque moda, purchè si tratti di celebrazioni del privilegio e di retorica della superiorità dovuta al possesso di oggetti di lusso. Sono armati di una totale mancanza di ironia, e prendono molto seriamente il ruolo di restauratori del modo di vestire, di vivere e di pensare che era stato spazzato via durante il mai abbastanza esecrato Sessantotto.

Sfugge loro quanto di quell’esperimento di immaginazione colletiva ha effettivamente modificato la società, compresa la creazione del sistema della moda spettacolo di cui attualmente sono i protagonisti.

Gli yuppy praticano con gioia la normalità di cui sono grandi estimatori e in cui ripongono tutta la loro fiducia: seguono con attenzione le ricerche di mercato e i sondaggi d’opinione per essere sempre sicuri di non trovarsi in anticipo sui gusti condivisi dalla maggioranza. Il loro stile “normale” prevede diversi gradi di esattezza, che corrispondono ai diversi gradi di gerarchia nell’ordine del conformismo. Che nessuno faccia di testa sua.

Sono tornati in circolazione manuali del giusto vestire, prontuari del modo di fare. Questi rimandano gli yuppy all’esempio dei grandi, alle regole auree dell’abbigliamento classico. Ciò vale sia per i maschietti sia per le femminucce. Essi approdano così agli schemi dello snobismo da milordino, protagonista di sberleffi popolareschi in tutte le epoche e nazionalità. Nonostante gli sforzi, gli yuppy restano sempre molto al di sotto dei loro modelli: non capiranno mai, per costituzione, la sottile eleganza dell’understatement, l’essenza della moda veramente classica, il geniale distacco dal problema tipico dei gentiluomini britannici per i quali la perfezione dell’eleganza formale era la conseguenza del loro stato, non il fine.

Quanto a imitare Gianni Agnelli, posto che a ciò basti indossare l’orologio sopra il polsino e la camicia azzurra come gli occhi di lui, Luigi Settembrini (il giornalista, non il patriota risorgimentale) ha dimostrato ampiamente che, anche riuscendoci, non ci si avvicina alla vera eleganza, essendo l’interessamente celebratoaplomb del capitalista sabaudo discutibile e rasente al kitsch.

L’era yuppy, in definitiva, non supera la moda spettacolo, non riporta la moda sul piano dell’autenticità, ma semplicemente sostituisce alcune componenti nella ricetta che alimenta i consumi: obbedienza al posto di ribellismo, tradizionalismo al posto di progressismo, classicità al posto di innovazione.

Torna il formale, lo spettacolo resta.
[...]
La ricetta del design retrospettivo prevede la riedizione integrale dell’immaginario giovanile reaganiano-hollywoodiano ricalcato nelle linee, nei colori, nella grafica.»

Diceva Roland Barthes: «...non si può approfondire un ritornello, si può soltanto sostituirlo con un altro. È quello che fa la moda.»

tratto da Fiorucci, pp. 139-145.

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