Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze, Norberto Bobbio

Shanghai prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale

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Il continuo flusso di viaggiatori portò a Shanghai la American Colony: un piccolo gruppo di intellettuali che visse fuori dalla cerchia edonistica della città, giornalisti radicali simpatizzanti per la causa cinese. Scelsero come punto d’incontro il Chocolate Shop; c’erano, fra gli altri, Edgar Snow e John Powell, tenuti sotto stretta sorveglianza dalla Special Branch.


La giornalista Agnes Smedley, nata in una cittadina di minatori nel Colorado, era accusata di essere un agente sovietico: non giovane, non bella, lavorava sodo,  e partecipava a tutte le dimostrazioni operaie e studentesche.
Divenne amica di Lu Xun, con cui condivise l’idea di sviluppare una letteratura sociale per il proletariato.


Carl Crow, frequentatore del Chocolate Shop, era apertamente capitalista, e si domanadava perchè mai Karl Marx non avesse considerato il salariato come un potenziale consumatore.
Il suo primo scoop riguardò il trasferimento della capitale da Pechino a Nanchino, vecchia capitale dei Ming: un cambiamento che significava la rottura con i Manciù.

Divenne famoso per il lancio della crema “Pond’s” e del dentifricio “Colgate”, con pubblicità con ragazze sexy all’interno di un’ambientazione occidentale: un concetto di bellezza nuovo: labbra dipinte, capelli arricciati, chipao e tacchi a spillo.

Negli anni Venti nel Distretto di Hongkew erano ubicati i Consolati (americano, russo, tedesco, giapponese); l’Astor House era il punto di riferimento dell’upper class internazionale, con caratteristiche tipiche delle navi: oblò, letti a castello, pranzi annunciati al suono della fanfara, abiti da sera obbligatori.
Negli anni Trenta, lo stesso Distretto divenne la dimora dei più poveri: giapponesi, portoghesi, ebrei, russi, cinesi.

La determinazione dei giapponesi si era manifestata con la presa dello Shantung nel 1919 che aveva provocato il Movimento del 4 maggio: da allora le loro ambizioni non si erano arrestate.
Il Movimento del 4 maggio si svolse a Pechino – e poi a Shanghai – in reazione alla Conferenza di Versailles, dove si era deciso di trasferire i diritti territoriali dello Shantung, tedesco dal 1897, al Giappone.
I nipponici collaboravano col signore della guerra Zhang Zuoling che, distratto da Shanghai e da Edda Mussolini, lasciò conquistare ai giapponesi la Manciuria (1931), regione ricca di carbone, ferro, grano, pesce.
L’armistizio del 5 maggio 1932 sancisce la vittoria giapponese e 14.000 morti.
Nonostante questo, a Shanghai sorgevano nuovi edifici.

Il cinema sonoro raggiunge Shanghai 6 mesi dopo l’America, nel febbraio 1927, e raggiunge dritto il cuore della gente, anche illetterata: diventa il mezzo di comunicazione preferito dopo molti fallimenti letterari. Il cinema di Shanghai era il riflesso della città stessa.
L’intellettuale di sinistra Sun Yu era uno dei più famosi registi degli anni Trenta; il suo capolavoro fu Giocattoli, dove narrava la storia di un ragazzino catturato da ladri di bambini e venduto ad una ricca coppia shanghainese. «Voglio fare dei film sulla società, film con una coscienza sociale», disse.
Le tre attrici Li Lili, Ruan Lingyu e Wu Die iniziarono ad eclissare la popolarità delle tre sorelle Soong. Approdò a Shanghai per lo spettacolo anche Jiang Qin, futura signora Mao.

Il cinema divenne il campo di battaglia tra comunisti e nazionalisti, poichè rappresentava l’arma ideologica più tagliente.
A uccidere l’industria cinematografica fu la politica repressiva di Chiang kai-shek: le Camicie Celesti assalivano continuamente le case cinematografiche di sinistra, come la Yihua.
L’attacco nipponico ne completò la distruzione.

La malavita e il potere correvano su binari paralleli.
Ai vertici della polizia della Concessione Francese, i funzionari concedevano la licenza per la distribuzione dei narcotici in cambio di denaro: il grande consumo di oppio a Shanghai, tra le 1.500 fumerie e gli 80 negozi, diede un enorme impulso alla crescita economica.
Tali posti divennero anche i luoghi di incontro degli agenti dello spionaggio internazionale. Le attività russe erano monitorate da giapponesi e inglesi; tutti erano spiati dai 40.000 agenti di Tai Li, il capo del servizio segreto del Kuomintang.

Il partito nazista era arrivato a Shanghai nel 1933 dove aveva, per 2.500 $ al mese, il Bureau di Propaganda al 16° piano del Park Hotel, e tramite cui raccoglieva i rapporti da Filippine, Sudamerica e Bangkok per rispedirli a Berlino.
Lo smacco più grosso fu fatto dal great illegal Richard Sorge, diplomatico tedesco che lavorava per il controspionaggio russo.
Anche l’armistizio di Cassibile dell’8 marzo fu per i tedeschi uno smacco: i tedeschi dipendevano, a Shanghai, dalla radio italiana.

Il great illegal inglese che lavorava per il Comintern fu invece Hilaire Noulsens, scoperto dopo l’interrogatorio di un agente vietnamita. Nella sua busta paga c’era un corrispondente da Hong Kong, capo del Partito Comunista d’Indocina: un certo Ho Chi Minh.
Con la cattura di Noulsens la rete spionistica russa del Comintern cessò di operare in Asia.

Le spie cinesi erano le donne delle fumerie; unici requisiti: saper leggere e avere fra i 16 e i 30 anni. Molte di loro morirono nella missione.
Scrissero: «Siamo nate povere e femmine e perciò costrette infelicemente alla prostituzione. Le nostre esistenze sono state tristi e, pur essendo finite nelle case fiorite, restiamo sempre discendenti dell’Imperatore Giallo, dunque appartenenti alla razza Han: facciamo le spie per ritrovare il nostro orgoglio ferito».

Nel giugno 1937 salì al potere in Giappone il nuovo governo del generale Tojo, che cercò solo un pretesto per iniziare la guerra.
Il 7 luglio inscenò un incidente sul ponte Marco Polo di Pechino: i giapponesi occuparono Pechino e Tiangjin, un mese dopo arrivarono a Shanghai.
Il 7 agosto Chiang Kai-shek lanciò, fallendo, una controffensiva: per la prima volta gli stranieri e i cinesi giaceranno morti insieme.
Nonostante l’escalation del conflitto, Washington, Londra e Parigi non mostrarono alcuna intenzione di intervenire. La guerrà riunì la città: perfino il gangster Tu donò la propria automobile antiproiettile all’esercito e mobilitò la sua flotta personale per bloccare le navi giapponesi.
I cinesi vengono sconfitti a novembre: il quartier generale di polizia e di tortura giapponese fu stabilito al Bridge House; per riscaldarsi, i carcerati si sedevano pigiati uno contro l’altro e dividevano una coperta in sei. Erano obbligati a restare seduti in fila, sui talloni, alla maniera giapponese, tenendo la testa abbassata e rivolta nella direzione di Tokyo come segno di sottomissione all’imperatore Hirohito.

La legittimità del governo giapponese non fu riconosciuta dai diplomatici britannici: la Municipalità britannica venne accusata di simpatizzare per gli attivisti antigiapponesi; tutti i Consoli stranieri esortavano i connazionali ad abbandonare la città, e in 5.000 partirono; gli intellettuali cinesi raggiunsero i comunisti a Yanan; la borghesia shanghainese si ritirò a Hong Kong.

Nel 1939 arrivano dall’Europa centrale i primi ebrei in fuga da Hitler: Shanghai era l’unica città a dare loro asilo politico. Vengono in loro aiuto i sefarditi della città, che ottengono il permesso di soggiorno dai giapponesi per alloggiarli a Hongkew.
Furono accolti benevolmente perchè volevano ricostruire e riattivare il Distretto: intere strade assunsero un aspetto mittleuropeo e Little Tokyo fu trasformata in Little Vienna.

L’8 dicembre 1941 accadde qualcosa di impossibile: un attacco diretto alla Concessione Internazionale.
I due leoni fuori dalla HSBC, il più grande simbolo del capitalismo britannico, furono portati via, e al posto della bandiera inglese venne issata quella del Sol Levante.
La Concessione Francese era l’unica zona a non essere stata occupata dai giapponesi: la Francia aveva mantenuto una politica di neutralità e assicurato al Giappone che avrebbe represso tutte le attività antinipponiche nella loro Concessione.
I conquistatori prepararono l’internamento in massa dei civili stranieri che non erano riusciti a fuggire: 7.700 in tutto; i campi di internamento della città erano i peggiori; meglio quelli di campagna: si poteva coltivare riso, verdure, patate dolci, cereali.
Tedeschi e italiani, gli alleati, furono risparmiati; gli ebrei russi costretti a riunirsi a quelli di Hongkew del 1939: Tokyo non accolse la richiesta di sterminio di Hitler perchè sospettoso delle sue ideologie razziali.

Dopo l’ 8 settembre gli italiani vacillano: il Giappone considera l’Italia un Paese nemico e solo chi si professava ancora fascista – nei confronti della Repubblica di Salò (23 settembre 1943) – e firmava un atto di collaborazione riusciva ad evitare ritorsioni, come il Console Generale Pagano di Melito.
Gli italiani che non firmarono l’atto si ritrovarono nella stessa categoria degli inglesi.

Dalle radio tenute nascoste, nel maggio 1945 i prigionieri vennero a sapere della resa della Germania. Le notizie furono confermate dai volantini lanciati dagli aerei degli Alleati: «State calmi, non lasciate il campo, stiamo arrivando in Vostro aiuto».

Il 7 settembre 1945, il comandante giapponese della XIII Armata consegnò ufficialmente la città al comandante cinese della III Armata: torna in forze il regime di Chiang Kai-shek.
Ciò non era tutto.
Il corrispondente del North China Daily News George Vine commentò: «è incredibile la sbalorditiva serenità di questa gente che vive sulla cima del vulcano, con due delle peggiori calamità che un Paese possa subire: la guerra civile e l’inflazione».

Shanghai andava avanti grazie agli aiuti che riceveva dall’estero.
Questi vennero però dirottati da Chiang Kai-shek verso il mercato nero, che s’intasco anche i dollari americani. Uno storico americano, esperto di questioni cinesi, definì tale manovra «il più grande colpo di brigantaggio della storia».

Milioni di cinesi ne furono le vittime e morirono di fame.


La guerra civile era già in atto, ma i giornali cinesi riportavano solo la vittoria dei nazionalisti: l’Europa e l’America ignoravano la vera situazione politica della Cina.
L’arrivo dei comunisti a Shanghai spinse gli ultimi residenti verso Hong Kong e Chiang Kai-shek verso Taiwan, quest’ultimo non prima di aver svuotato le casse della Bank of China.

La più grande città dell’Asia – città europea incastonata nella Cina millenaria – rimase sola, ma, con i suoi 6 milioni di abitanti, sembrava non preoccuparsi del futuro: una sorta di corpo estraneo e relitto di un immenso naufragio.
La sua “liberazione” (anche dall’Impero britannico) avviene il 24 maggio 1949.
Il denaro è sempre stata la sua raison d’être.



Vado a Shanghai a comprarmi un cappello, Bamboo Hirst, 2008.

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