> Le avventure di Pinocchio
> L'oracolo di Pinocchio. 36 carte divinatorie ispirate ai capitoli della fiaba di Collodi.
> Pinocchio. Un messaggio iniziatico.
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Fulcanelli scrive che «al primo piano del maniero di Lisieux c’è, scolpito sul pilastro sinistro della facciata, un uomo primitivo che solleva e sembra si voglia portar via un albero mal tagliato. Questo simbolo, che pare assai oscuro, nasconde tuttavia il più importante degli arcani secondari. Si tratta proprio del nostro albero secco».
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Fulcanelli scrive che «al primo piano del maniero di Lisieux c’è, scolpito sul pilastro sinistro della facciata, un uomo primitivo che solleva e sembra si voglia portar via un albero mal tagliato. Questo simbolo, che pare assai oscuro, nasconde tuttavia il più importante degli arcani secondari. Si tratta proprio del nostro albero secco».
Questo tronco può e dev’essere rivitalizzato: il compito è affidato all’uomo d’aspetto primitivo e selvaggio. Nella scienza ermetica esiste la famosa leggenda allegorica dell’Uomo dei Boschi, un essere che vive in una sorta di selvatichezza e ricorre in molte leggende popolari. Da questo tronco dovrà venir fuori il bambino ermetico e variante mistica del Bambinello di Natale.
Il naso che si eleva dal volto (terra filosofale o mercurio filosofico) è una variante del menhir, e la sua punta rossa — che ricorda il cappuccetto rosso indossato da una graziosa bambina di un’altra meravigliosa favola — indica l’esaltazione e il predominio dello spirito sulla materia.
Appena visto il pezzo di legno a tempo opportuno, cioè appena scoperto la natura del soggetto dei saggi — lo spirito o psiche comune a tutti gli uomini — se ne rallegrò e iniziò a digrossarlo. Punto fondamentale della favola, vi si rispecchia la filosofia naturale che non chiede nulla di più dalle forze di un individuo, infatti il “neofita” stesso assicura che non sarà picchiato tanto forte.
L’ascia mistica è un simbolo molto antico; si ritrovano asce di pietre nelle antiche sepolture. Françoise D’Eaubonne spiega che «queste asce sono chiamate pietre da fulmini». Fulcanelli rivela che «Basilio Valentino ha chiamato la prima sostanza dell’Opera, pietra di fuoco. È il segno dello Spirito Divino immortale e puro, simbolo della vita e del fuoco».
Ricordiamo che Ulisse si servì di dodici scure per la prova con l’arco.
«Chi vi ha portato da me, compar Geppetto? Le gambe».
È il pellegrino ermetico (il Bagatto dei Tarocchi) che ha camminato da solo, con le proprie gambe, nell’autoconoscenza.
I due vegliardi vennero alle mani. È l’immagine del combattimento primitivo delle due nature contrarie (psiche illuminazione).
Le parrucche simboleggiano le proprietà delle due nature. Nella psiche la superficiale grossolanità che sarà “catturata” e distrutta dal solvente universale, e nell’illuminazione la parte che sarà assimilata dallo spirito, secondo il loro scambio.
Cioè, secondo il principio ermetico, il volatile diventa fisso e il fisso diventa volatile. Il materiale diventa spirituale (spiritualizzato) e lo spirituale diventa materiale (assimilato). Fulcanelli spiega che le due nature primitive (acqua viva e mercurio) dopo il combattimento, «l’acqua diventata terra e il mercurio zolfo. Il mercurio comune cambia di nome, col cambiare di qualità, e diventa il mercurio dei saggi, l’umido radicale metallico, il sale celeste o sale fiorito».
«Geppetto perse il lume degli occhi, si avventò sul falegname; e lì se ne dettero un sacco e una sporta».
Perdere la luce degli occhi significa che l’illuminazione è stata assimilata. L’accecamento di certi personaggi mitici non possiede altro significato. È l’occhio del ciclope Polifemo accecato da Ulisse.
Il pellegrino ermetico, ricevuta l’illuminazione, riparte zoppicando verso casa. La ferita nella parte bassa del corpo ricorre in diverse allegorie sacre e leggende profane: nella Bibbia (Genesi, XXXII), Giacobbe fu ferito alla coscia da un angelo e vi lottò per tutta la notte. Venne in seguito chiamato Israele, che significa «lottare con Dio». Evola scrive che «lo stesso re del Graal, che attende la guarigione, zoppica o è ferito alla coscia.
Ricordiamo che anche il “vecchio” San Giuseppe, tradizionalmente, si dice che facesse il falegname. È l’immagine del mercurio comune che realizza il bambino Divino dal legno mistico.
La parola Pinocchio è sinonimo di pinolo, il seme proprio del pino. La scelta di questo nome dipende dal fatto che questa pianta è sempre verde. Nella Genesi (I, 30) leggiamo: «A tutti gli esseri, nei quali vi è l’alito di vita, Io do come nutrimento l’erba verde».
Appena terminato il burattino «Geppetto sentì arrivarsi un calcio sulla punta del naso.» Quando l’illuminazione colpisce la materia filosofale (naso), il neofita si avvede degli errori commessi.
Si evidenzia la preoccupazione (charis) di ogni Iniziatore, nel guidare i neofiti a superare il brutto periodo della seconda operazione: «Pinocchio aveva le gambe aggranchite e non sapeva muoversi, e Geppetto lo conduceva per la mano per insegnargli a mettere un passo dietro l’altro». Come tutti sanno, Geppetto dopo finisce in galera, cioè scompare dalla scena, e Pinocchio resta da solo in casa. La prigione dell’Opera è una variante del vaso filosofico o vergine madre.
A questo punto Collodi fa interpretare assai bene a Pinocchio il neofita che al principio, ricevuta l’iniziazione, o la rivelazione, stenta ad accettarla “provando” a sfuggirla chiudendosi in se stesso.
«Noi siamo spaventati» diceva Krishnamurti «noi resistiamo, noi siamo isolati dentro le nostre ideuzze, i nostri bisogni e i nostri desideri, ovviamente. Libertà significa libertà dalla paura. Significa libertà da ogni forma di resistenza. Libertà significa un movimento non isolato. Allora si può essere liberi, allora si è naturali».
Le luci della mondanità cominciano a declinare e incomincia la lunga notte ermetica. Il neofita non riesce ancora a distinguere bene, sta ancora tra il vedere e il non vedere, tuttavia inizia ad avere maggiore fame di conoscenza, di sapere.
La favola continua che Pinocchio si dette da fare per trovare «qualche cosa da masticare: ma non trovò nulla, il gran nulla, proprio nulla». Questo nulla è di un’importanza estrema per la pratica dell’Opera.
«Il mercurio filosofico» spiega Fulcanelli «unica sostanza del Magistero, non può mai produrre il nulla se non muore, se non fermenta e non va in putrefazione alla fine del primo stadio dell’Opera.
Lo stesso Polifemo, nell’Odissea (IX, 460), dice che un “niente” lo ha accecato, uno con il nome di “Nessuno”. Questo nulla è quello che Krishnamurti definisce «il vuoto entro cui si attua il vedere. Bisogna avere questa qualità meditativa della mente non solo occasionalmente, ma per tutto il giorno. E il Sacro influirà sulle nostre vite non solo durante le ore di veglia ma anche durante il sonno».
Fulcanelli:
«È l’inizio attivo e dolce del fuoco di ruota, simbolizzato dal freddo e dall’inverno, periodo embrionale, nel quale i semi, chiusi nel seno della terra filosofale, subiscono l’influenza fermentatrice dell’umidità. Sta per cominciare il regno di Saturno, emblema della radicale dissoluzione, della decomposizione e del color nero».
L’inspiegabile paura di camminare con le proprie gambe, bruciandocele nel crogiolo dell’indolenza, accordando agli altri il compito di guidarci. Krishnamurti consiglia: «Voi dovete camminare con le vostre gambe, dovete fare il viaggio da solo, e in quel viaggio dovete essere il vostro maestro, non c’è nessuno che vi dica cosa fare.»
Lo studio della scienza sublime è presentato sotto l’aspetto di un abbecedario, e certo non poteva essere più espressivo di un libro preparatorio allo studio quello di un libro iniziatico. Per acquistare quest’abbecedario, Geppetto «dové vendere l’unica casacca che aveva addosso: una casacca che, fra toppe e rimendi, era tutta una piaga».
Con l’arrivo di Pinocchio nel gran teatro dei burattini, si ha la bellissima immagine del teatro mondiale dove gli uomini-burattini si trovano, da un momento all’altro, pronti a scambiarsi un carico di schiaffi e di bastonate. Ma all’alba della Nuova Era, o Età dell’Oro, riconosciuto Pinocchio portatore della Verità, smettono di recitare il solito dramma della vita e ballano ormai nella danza mistica della Grande Opera. Questa umanità, l’Iniziato Charles Perrault, la fa interpretare dalla Bella Addormentata («Siete voi mio principe?» Gli chiese. «Vi siete fatto molto aspettare!» «Ben arrivato! Da quanto tempo ti aspettammo!»).
Anche Canseliet attendeva impaziente: «Da dove verrà, sul suo grande cavallo bianco, l’inflessibile cavaliere della giustizia?»
Lo stesso senso leggiamo nell’Apocalisse (X, 5 e ss.): «Allora l’angelo alzò la destra verso il cielo e giurò per Colui che vive nei secoli dei secoli: “Non vi sarà più dilazione di tempo! Ma quando il settimo angelo farà udire il suono della sua tromba, allora si compirà il mistero di Dio come egli ha annunziato ai suoi servi, i profeti”».
La chiave di lettura è data dalla precessione degli equinozi.
Alfredo Cattabiani ricorda che «il nostro pianeta, il cui asse è inclinato rispetto all’attrazione solare, si comporta come un giroscopio gigantesco che compia una rivoluzione ogni 25.920 anni.
L’inclinazione provoca un continuo spostamento dell’equatore celeste che interseca il cerchio inclinato dell’eclittica lungo una serie regolare di punti con moto uniforme da est a ovest. I punti dove i due cerchi s’intersecano, sono i punti equinoziali. Il sole, pertanto, percorrendo l’eclittica nel corso dell’anno, incontra l’equatore in un punto che, col passare degli anni, si sposta lungo la fascia dei segni zodiacali.
Questo è quanto s’intende per precessione degli equinozi: essi “precedono” perché si muovono in senso contrario a quello dell’ordine progressivo dei segni zodiacali che il sole stabilisce nel suo percorso annuale.
Da circa duemila anni si dice — per comodità — che il sole equinoziale sorge nell’Ariete; ma è una convenzione perché in realtà oggi il sole sorge nei Pesci e in futuro sarà nell’Acquario.
Giorgio Terzoli: «La Sfinge, la famosa statua del leone dal volto umano, si trova accovacciata ai piedi della rampa precessionale di Chefren. Essa è perfettamente allineata all’est vero, dove il sole sorge nei due giorni equinoziali e fissava direttamente il suo corrispettivo celeste, cioè la levata del sole equinoziale nella costellazione del Leone nell’anno 10450 a.C.ed in quella precisa data, della costellazione del Leone si vedeva solo la testa, il dorso e le spalle. Le stesse che appaiono guardando la Sfinge dal suo profilo da sud. In quella data si verificò una congiunzione particolarmente spettacolare, che coinvolgeva il momento del sorgere del sole, la costellazione del Leone e il punto di transito sul meridiano delle 3 stelle della cintura di Orione.
La Sfinge e le 3 piramidi di Giza rappresentano questa congiunzione celeste unica che segnala l’inizio dell’era precessionale del Leone e l’inizio del ciclo precessionale ascendente delle 3 stelle della cintura di Orione.
La partenza del messaggio era fissata in maniera unica ed irripetibile».
Terzoli passa a spiegare il passo profetico del Libro dei Morti:
«Le 12 divinità che reggono le stelle di Orione non sono altro che le 12 costellazioni che incontriamo per effetto della precessione. Le mani palmo a palmo indicano il lento incedere della precessione. Ma la Sesta fra esse pende sull’orlo dell’Abisso.»
Quindi partendo dalla data di partenza segnalataci dalla Sfinge e dalle tre stelle della cintura di Orione, possiamo contare che ora precessionale ci viene segnalata: la sesta. Partendo ovviamente dall’era del Leone che è la prima, Cancro la seconda, Gemelli la terza, Toro la quarta, Ariete la quinta e infine Pesci la sesta, ora precessionale partendo dall’era del Leone. L’orlo dell’abisso è alla fine della sesta ora precessionale: l’era dei Pesci, il nostro tempo (il Sole si trovava nel primo grado di Ariete nel 498 A.C.. Siccome Ariete conta 30 gradi ed il Sole si sposta all'indietro di circa un grado ogni 70 anni, appare evidente che entrerà nell'Acquario non prima dell'anno 2.600. Solo in quel momento si potrà dire di essere nell'Era dell'Acquario. Essa durerà circa 2.100 anni).
Questo è l’enigma della grande attesa della Sfinge.
Così San Matteo (XXIV, 14): «Quando questo Vangelo del Regno sarà predicato in tutta la Terra abitata, come testimonianza a tutte le genti, allora verrà la fine».
«La Sfinge protegge e domina la Scienza», si legge all’inizio de Il mistero delle cattedrali di Fulcanelli.
Il messaggio delle piramidi e della Sfinge si ritrova, pressoché identico, nei templi di Angkor in Cambogia:
«Mentre le tre stelle della cintura di Orione sono state riprodotte sul terreno della piana di Giza, in Egitto nel punto più basso di culminazione, il Nadir, le stelle della costellazione del Drago, sono state riprodotte sulla terra con i templi di Angkor allo zenit, nel punto di culminazione più alto, esattamente come esse si trovavano per effetto della precessione degli equinozi nel 10450 a.C.»
I Sumeri si stabilirono in Mesopotamia nel 4000 a.C., cioè all’inizio dell’era precessionale del Toro (4320 a.C.).
In una loro raffigurazione troviamo il dio solare Tesup, che indossa un copricapo con corna e sta in piedi davanti ad un toro. Il carattere solare della divinità è ribadito dai disegni del vestito e del copricapo, interamente cosparsi di simboli solari.
La mano destra della divinità indica che sono già passate tre ere precessionali (Leone, Cancro e Gemelli) e tre ne mancano alla fine del messaggio (Toro, Ariete e Pesci).
Vediamo ora il messaggio aggiornato alla metà dell’era astronomica dei Pesci: in una miniatura della cattedrale di Burgo de Osma (Soria, Spagna), realizzata attorno all’anno 1000 d.C.. Il soggetto della miniatura spagnola è quello dell’Apocalisse di San Giovanni, infatti ritroviamo la bestia con le 7 teste, indicante le 7 ere precessionali che il Sole deve attraversare per giungere dall’era astronomica del Leone, all’inizio dell’era dell’Acquario (tutte le teste della bestia hanno come diadema il simbolo solare).
Il pesce nero, dove la bestia sta cavalcando, indica chiaramente che nell’anno 1000 d.C. (epoca in cui è stata eseguita la miniatura) il sole era all’incirca alla metà della costellazione dei Pesci.
Collodi, la “fine del mondo”, lo fa interpretare da Mangiafuoco.
Fulcanelli ci insegna che si tratta della Madre pazza, «una vecchia incappucciata e assai brutta. Ora la madre dei pazzi, la Madre pazza, non è altro che la nostra scienza ermetica, considerata in tutta l’estensione del suo insegnamento». L’aspetto di Mangiafuoco ricorda quello del Baphomet dei templari: come Baphomet ci insegna, questa scienza ha posseduto sempre una doppia conoscenza esoterica, quella dell’insegnamento filosofico per la realizzazione della Grande Opera, e quella profetica riguardante l’Età dell’Oro.
Nell’Età dell’Oro, l’uomo rinnovato, ignora qualsiasi religione, rende solo grazie al Creatore, il cui Sole, la sua più sublime creazione, gli sembra che ne rifletta l’immagine ardente, luminosa e dispensatrice di bene. Rappresentante visibile dell’Eterno, il Sole è anche la testimonianza visibile della sua grandezza e della sua bontà. In seno all’irraggiamento dell’astro, l’uomo ammira le opere Divine, senza manifestazioni esteriori, senza riti e senza veli.
Quindi, Mangiafuoco, interpreta pure il soggetto dei saggi. In questo modo, la barba che giunge fino a terra, è simbolo d’illuminazione che si condensa, che si assimila. È nera per indicare la sua mortificazione, la sua uccisione.
La terribile frusta, che aveva in mano, è una magnifica traduzione del caduceo, in cui i serpenti (volatile) e le code (fisso) ripetono le trasformazioni delle due nature primitive.
Il gatto e la volpe sono gli emblemi dei due principii: il fisso è interpretato dalla volpe, come insegna il duello esoterico contro il gallo che si può osservare nella cattedrale di Parigi, e riportato pure da Basilio Valentino, mentre, spiega Fulcanelli, che «sono i baffi del gatto che hanno fatto dare questo nome al piccolo felino; non ci si sogna neanche che essi nascondono un altro punto della scienza, e che questa segreta ragione valse al grazioso animale, l’onore di essere elevato al rango delle divinità egiziane».
Le ripetizioni del gatto insegnano che le illuminazioni devono ripetersi frequentemente all’inizio della pratica. Ricordiamo che soltanto queste aiutano la mente a stabilizzarsi nella verità, nella pace dei due elementi.
La moltiplicazione degli zecchini equivale ad un’altra allegoria ermetica. Fulcanelli ci dice che «la moltiplicazione può essere realizzata grazie all’aiuto del mercurio, che nell’Opera ha il ruolo di paziente. Mediante cotture e fissazioni successive. Il paziente funge da ricettacolo e da vaso all’energia contraria della natura avversa».
Infine, la solidarietà e la bontà del gatto e della volpe, possiedono la variante ermetica negli gnomi che, ricorda Fulcanelli, «preposti alla guardia dei tesori minerali, vegliano senza sosta sulle miniere d’oro e d’argento, sui giacimenti di pietre preziose. Il loro carattere è benevole, le relazioni con loro estremamente favorevoli. Sotto questo aspetto si comprende facilmente la ragione occulta dei racconti e delle leggende, nelle quali l’amicizia di uno gnomo spalanca le porte delle ricchezze terrestri».
Così, i tre principii (gatto, volpe e Pinocchio), dopo aver camminato per tre volte durante la giornata filosofica, arrivarono alla sera dell’Opera alla realizzazione finale (stanchi morti): il Gambero Rosso, con il colore proprio della Pietra Filosofale.
Friedrich Heiler cita un illuminante verso delle Upanishad:
«Ahimè, l’uomo eternamente ritorna! L’uomo più vile ritorna eternamente».
Dante Alighieri per bocca di Virgilio, chiede:
«Ma tu perché ritorni a tanta noia? Perché non sali il dilettoso monte ch’è principio e cagion di tutta gioia?».
«Soltanto grazie alla Grande Opera» conferma Canseliet «è possibile sfuggire, quaggiù, al tracciato inesorabile della curva fatale, dapprima ascendente, poi discendente e regressivo, e sottrarsi al processo inevitabile della nascita, giovinezza, maturità, vecchiaia, concluso dalla decrepitezza e dalla morte».
L’osteria simboleggia il luogo di ogni appagamento psicologico che il neofita abbandona per atto d’intelligenza.
Quindi, fuori dall’albergo al neofita lo attende la giumenta e la lancia. Nel medioevo, scrive Fulcanelli, per «accedere alla pienezza del sapere, si inforcava metaforicamente la cavale, veicolo spirituale, la cui immagine tipo è il Pegaso alato dei poeti ellenici».
Gli uccelli notturni rappresentano il volatile che si ripetono sul naso (fisso) di Pinocchio. Queste necessarie ripetizioni durante la seconda operazione filosofale, le ritroviamo pure nell’eco, fenomeno utilizzato sin dall’antichità.
Si narra che Narciso, non ricambiando l’amore della ninfa Eco, costei si strusse d’amore per lui fino alla morte; allora Nemesi, la dea della vendetta, fece innamorare Narciso della propria immagine riflessa in una pozza d’acqua di sorgente dove anche lui trovò la morte. Il significato è che Eco, la psiche, rispondendo, trova la propria morte come la stessa illuminazione.
Fulcanelli insegna, pure, che «la materia prima, quella che serve a preparare l’Opera, è chiamata specchio dell’arte».
Fulcanelli segnala che «Senior Zadhit rinchiude, dentro una sfera trasparente, un agonizzante magrissimo. Henri de Linthaut disegna su di un foglio del manoscritto l’Auror, il corpo inanimato d’un re incoronato, steso sulla pietra tombale, mentre il suo spirito, sotto l’aspetto di un angelo, s’innalza verso una lanterna perduta tra le nubi. Ed anche noi, seguendo questi grandi Maestri, abbiamo sfruttato lo stesso tema nel frontespizio del Mistero delle Cattedrali»: la psiche rinnovata — perciò reso angelo — che tende verso la Lanterna o l’Illuminazione che, perduta tra le nubi, risulta totalmente e assolutamente lontana da qualsiasi azione terrena che voglia raggiungerla.
Infatti, la Scienza antica rivela che sebbene abbiamo tutti il nostro scotto da pagare nel nostro Purgatorio, «dove l’umano spirito si purga e di salire al Cielo diventa degno», come scrive Dante (I, 5-6), tuttavia questo Iniziato ci assicura che le scale scavate nel sasso (XII, 97) diventano meno faticose quanto più si avanza verso l’alto (XII, 121 e segg.).
«È il caso qui — scrive Canseliet — di avvicinare cabalisticamente la parola francese chêne (quercia) non sibilato in lingua d’öil, il termine greco chen, che indica l’oca e il cui radicale, chainô, significa aprirsi, schiudersi (la vecchia quercia cava di Nicolò Flamel) essere spalancato, avere la bocca spalancata».
Fulcanelli aggiunge che «la quercia è sempre stata scelta, dagli autori Antichi, per indicare il nome volgare del soggetto iniziale, come lo si trova in miniera».
Ricordiamo che pure il Vello d’Oro era appeso alla quercia ermetica. La quercia cava è una variante esoterica del vaso dei filosofi. Quindi, la bocca spalancata si traduce in mente aperta, intelligenza risvegliata.
L’allegoria di Pinocchio che fugge inseguito da due figuracce nere: egli interpreta il servus fugitivus dell’Opera, mentre le due nature primitive (nere o assimilate) sono intente sempre a catturarlo instancabilmente per tutto il lavoro del Magistero.
All’interno del bosco ermetico si trova la casina bianca: Fulcanelli, ricordandoci la purezza della donna dell’Opera, scrive che «il mercurio filosofico nasce solo da una sostanza pura, e Gesù nasce da una madre senza macchia»; il nostro bambino ermetico, «è proprio lui che occupa il ruolo della femmina nel lavoro».
Infatti, è proprio questa sua natura che le permette di catturare il fuoco solare. Il nostro Adepto, puntuale, ci dice che si tratta di una bella bambina dai capelli turchini o bluastri, geroglifici dei raggi solari condensati. Ella si trova nella sua morte mistica con le mani incrociate nel segno dell’illuminazione.
Tramite la bambina ermetica esiste una tradizione piuttosto curiosa legata alle capigliature delle nostre bambine. È, infatti, usanza farle un paio di trecce che ricordano il doppio mercurio dei saggi, ma il recondito significato sta nelle trecce. Fulcanelli insegna che «le trecce della capigliatura è il geroglifico dell’irraggiamento solare, e indicano che l’Opera, sottomessa all’influenza dell’astro, non può venir eseguita senza la collaborazione dinamica del Sole. La treccia, chiamata in greco seirá, è adottata per raffigurare l’energia vibratoria, perché presso gli antichi popoli ellenici il sole si chiamava Seír».
Torniamo a Pinocchio appeso alla Quercia grande.
San Paolo (Galati III, 13) scrive: «Maledetto chi pende dal legno».
Canseliet aggiunge: «Totus mundus in maligno (mali ligno) positus est; tutto il mondo è basato sul diavolo (sull’albero del male)».
La quercia è stato introdotto con diritto di cittadinanza fra le figure dell’iconografia ermetica per la durezza del suo legno, che traduce la durezza di comprendonio, infatti, la scure (simbolo d’illuminazione) spesso vi rimbalza.
Essere appeso, cioè essere sollevato da terra, indica il distacco dalle cose terrene. Nel rituale dei fuochi di san Giovanni, i rami che erano stati passati sul fuoco (illuminazione) venivano appesi alle travi perché dovevano, in conseguenza di questo fatto, senza terra, senza acqua, sospesi nell’aria, crescere, fiorire e fruttificare.
La corda dell’impiccagione è anche la cintura d’iride che separa la testa (emblema del mercurio filosofico) dal resto del corpo inferiore (grossolanità).
Fulcanelli ci fa comprendere la similitudine tra il cane e il corvo, scrivendo che «il Filosofo Artephius parla, infatti, del cane di Khorassan e della cagna di Armenia, emblemi dello zolfo e del mercurio genitori della pietra. Ma mentre la parola Armenos, che significa ciò di cui si ha bisogno, ciò che è preparato e convenientemente disposto, indica il principio passivo e femminile, il cane di Khorassan, o zolfo, ricava il suo appellativo dalla parola greca kórax, equivalente al nostro corvo».
Nel Vangelo di Matteo (XIII, 52): «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del Regno dei Cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». Eliphas Levi scrive che «in Oriente, una setta di cristiani gioanniti, pretendevano che i fatti narrati nei Vangeli non fossero che delle allegorie di cui Giovanni (XXI, 25) dà la chiave dicendo che “si potrebbe riempire il mondo di libri, se si scrivessero le parole e gli atti di Gesù Cristo”; parole che, secondo essi, non sarebbero che una ridicola esagerazione, se non si trattasse, infatti, d’una allegoria che si può variare all’infinito».
«È troppo amara! Troppo amara! Io non la posso bere.
Come fai a dirlo, se non l’hai nemmeno assaggiata?».
Anche Dante esclama: «Tanto è amara, che poco è più morte».
Nel libro dell’angelo dell’Apocalisse (X, 9) che tiene il piede destro sul mare e il sinistro sulla terra, e che invita a mangiarlo: «Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele».
«Noi sappiamo quanto costa barattare i diplomi, i sigilli e le pergamene, in cambio dell’umile mantello del filosofo».
Fulcanelli: «A ventiquattr’anni, abbiamo dovuto bere fino all’ultima goccia questo calice amaro. Col cuore in pena, vergognandoci degli errori commessi nei nostri anni giovanili, abbiamo dovuto bruciare libri e quaderni, confessare la nostra ignoranza e, modesti neofiti, abbiamo decifrato un’altra scienza sui banchi di un’altra scuola».
«Saper di aver mentito e non giustificarsi, ma vedere la realtà del fatto, questo è onestà» spiega Krishnamurti «e in questa onestà c’è grande bellezza. La bellezza non urta nessuno. Dire di essere bugiardo è un riconoscimento della realtà; è riconoscere un errore come tale. Ma trovare ragioni, scuse o giustificazioni alla cosa è disonestà, e in questo c’è autocommiserazione. L’autocommiserazione è la tenebra della disonestà.»
Nella città simbolica, dunque, vivono gli accattoni, cioè quelli poveri di alta scienza. Qui troviamo i cani, rappresentanti delle forze dell’ordine e sempre pronti a difendere qualsiasi ordine costituito.
Poi vi sono le pecore, simboli del popolo laborioso e sempre tosato, sia che viva sotto un regime cosiddetto democratico sia totalitario. Le stesse galline starnazzanti, rappresentanti di quella parte del popolo impegnata socialmente e politicamente, sono abilmente raggirate — private di creste e di bargigli — da qualche uccellaccio da rapina.
Seguono gli artisti, simboleggiati dalle belle farfalle, costretti, però, a vendere i loro talenti e adattarsi alla forma di mercato corrente. Arrivano, poi, i cosiddetti nobili pavoni dell’aristocrazia, anch’essi, comunque, scodati da qualche signorile volpe.
Nella città di Acchiappacitrulli non potevano mancare i rappresentanti di quella parte del mondo cosiddetta religiosa, in cui la bontà e la compassione, sentita da principio dai vari protagonisti, e simboleggiati dal colore d’oro e d’argento delle penne dei fagiani, vengono perduti, irrimediabilmente.
Krishnamurti afferma che «quelli che sono vanitosi, presuntuosi, arroganti che si considerano tanto importanti, e si sentono soddisfatti della loro conoscenza, o di quel che possiedono, hanno una mente che cerca di coltivare l’umiltà. Non so se ve ne siete accorti.
Ma una mente piena di vanità, tesa a inseguire il successo, perché è dal successo che trae la propria importanza e presunzione, sia che si muova in campo scientifico, o religioso, o politico, non potrà mai capire che esiste una qualità che è assenza completa di vanità».
«Amore e verità, armonia e bellezza» scrive Canseliet «ecco, riuniti in coppia, i quattro sostantivi che potrebbero servire da divisa all’antica Alchimia, nel suo unico scopo di pace totale e di misericordia infinita».
Non poteva mancare, nella città di “Acchiappacitrulli”, pure il senso della giustizia umana, che il nostro Adepto ha puntualmente riportato. Quante persone, in tutto il mondo, si riconoscono in Pinocchio per aver subito piccoli o grandi ingiustizie dovute a discutibili leggi. Tutto dipende dalla malattia del giudice, che è antica quanto il soggetto dei saggi, e gli occhiali d’oro privi di vetri è la variante ermetica, scrive Canseliet, «della mancanza di occhiali, cioè di esperienza.»
Colui che segue la Natura, continua Canseliet, dev’essere «saggiamente munito di un bastone, di occhiali (perspicilia) e di una buona lanterna.
Al riguardo dei monticelli di sassi, invece, Giovanni Pansa spiega che «sono comunemente chiamati Galgal. In Francia li denominano castellets o Molin de Joie. Quest’ultimo nome si dà a quei monticelli di pietre formati dal getto costante dei pellegrini». Lo si usava buttare pure nel luogo dove era morto qualcuno, oggi tale pratica è stato sostituito dai fiori, ma il simbolismo resta immutato. Le pietre, o i fiori, simboli d’illuminazioni rivelano la moltiplicazione ermetica.
Cadere a testa in giù, invece, ricorda la formula solve et coagula, attribuito al demonio o a Lucifero (portatore di luce) che è l’immagine dello spirito caduto o precipitato nella materia, perché la sua luce ne venga fuori è necessario la precipitazione della grossolanità. Fulcanelli precisa che «lo spirito si eleva e la materia precipita».
È la stessa figura «di San Pietro, pietra vera e fluente sulla quale riposa l’edificio cristiano. Perché è proprio lui, il primo apostolo, che detiene le due chiavi incrociate della soluzione e della coagulazione; è lui il simbolo della pietra volatile, resa fissa e densa dal fuoco, che la fa precipitare. San Pietro, nessuno l’ignora, fu crocifisso a testa in giù…».
«— Se questa notte — disse il contadino — cominciasse a piovere, tu puoi andare a cuccia in quel casotto di legno, dove c’è sempre la paglia che ha servito di letto per quattr’anni al mio povero cane. E se per disgrazia venissero i ladri, ricordati di stare a orecchi ritti e di abbaiare».
Questo semplice passo nasconde un’importanza straordinaria. Fulcanelli scrive che «è la chiave della Grande Opera.
Noël, nel suo Dictionnaire de la fable, scrive che «il cane era consacrato a Mercurio perché era il più vigilante e il più astuto di tutti gli dei». È la figura del cinocefalo (kinoképhalos), che ha una testa di cane, forma mistica assai venerata dagli egiziani, che la diedero ad alcune divinità superiori, ed in particolare a Toth, il quale, in seguito, diventò l’Ermes dei greci, il Trismegisto dei filosofi, il Mercurio dei latini».
Essere sempre vigili, consapevoli è, in effetti, la chiave del mistero.
Evola, trattando sempre dei misteri del Graal, cita in proposito: «Alano — nella Terre Faraine — in mezzo a una corrente travolgente ha fatto erigere un superbo castello per il Graal: Corbenic. Questo è il castello della veglia perenne e della prova del sonno. Nessuno vi deve dormire. Corbenic è “le palais aventureus” e ogni cavaliere che vi dormì fu trovato morto l’indomani».
Il contadino è colui che si occupa dell’agricoltura celeste, che lavora la terra filosofale, mentre il cane è il suo braccio destro, il suo fuoco segreto che lavora per lui. Fulcanelli insegna che «il fuoco è raffigurato tramite il braccio destro; e sappiamo abbastanza bene che la locuzione proverbiale “essere il braccio destro di qualcuno”, si riferisce sempre all’agente incaricato d’eseguire la volontà di un superiore, nel nostro caso il fuoco».
Collodi fa anche notare che il vecchio cane da “guardia” era in combutta con i ladri (faine), cioè, tradotto esotericamente, significa che la sua vecchia attenzione era più rivolta verso il piacere della materialità che la luce della saggezza.
Pinocchio catturò le faine imprigionandole nel pollaio, richiudendovi la porta, «il quale, non contento di averla richiusa, vi posò davanti per maggior sicurezza una grossa pietra, a guisa di puntello».
Si tratta dello stesso gesto che compì Polifemo nell’Odissea (IX, 240 e segg.), chiudendo l’antro con un grosso macigno, imprigionando Ulisse e compagni che apostrofò come predoni.
«mentre si disperava a questo modo, passò su per aria un grosso colombo, il quale soffermatosi, a ali stese, gli gridò da una grande altezza. Anche nel battesimo di Gesù, ci dice San Marco (I, 10), che «Giovanni vide improvvisamente aprirsi i cieli e lo Spirito Santo discendere su di lui sotto forma di colomba».
«Lo Spirito Santo» spiega Fulcanelli «è sempre raffigurato da una colomba che sta volando, cioè in croce»: il simbolo per eccellenza dell’illuminazione.
Anche il Saggio di Dampierre dedicò un emblema a questo tema., dedicandogli il cassettone numero tre della quarta serie della galleria del suo castello, sempre descritto dal Maestro Fulcanelli: «Uscendo da folte nuvole, una mano, il cui avambraccio è piegato, tiene un ramoscello d’olivo. Questo stemma, di carattere morbido, ha come insegna: .PRVDENTI. LINITVR. DOLOR. - Il saggio sa calmare il suo dolore. Il ramoscello d’olivo, simbolo della pace e della concordia, indica l’unione perfetta degli elementi generatori della Pietra Filosofale».
«Qual è la causa del conflitto?» Chiede Krishnamurti se vi è un conflitto soggettivo o interiore deve esserci disordine. E il cervello continuamente cerca un ordine — continuamente — perché non può vivere nel disordine; quando c’è disordine non può funzionare con chiarezza, bellezza, acutezza, al massimo della sua capacità».
«Alla fine vi troverete soli, ma con la comprensione, la consapevolezza interiore, vedendo chiaramente che tutto ciò, in realtà, non ha senso. L’appartenere a qualcosa, a un gruppo, a una qualche setta, può causare una soddisfazione momentanea, ma poi diviene alquanto noioso, deprimente e sgradevole».
Il pesce misterioso è il pesce regale per eccellenza, perché, si diceva, che era riservato alla tavola del re. Il figlio maggiore del re, colui che doveva a sua volta cingere la corona, aveva il titolo di Delfino, che è il nome di un pesce e, ancor meglio, d’un pesce regale.
La stessa isola rappresenta il pesce. Il pesce lo si ritrova di rigore pure nelle diete rituali.
«Facciamo notare» aggiunge Fulcanelli «che in alcune basiliche bizantine, il Cristo, talvolta, era rappresentato come le sirene con una coda di pesce».
Il pesce, dunque, non è stato soltanto un simbolo importante del cristianesimo, ma anche di altre forme tradizionali, sempre per segnalare la precessione degli equinozi con riferimento all’era dei Pesci.
«Come pesce Vishnu guida sulle acque l’arca contenente i germi del mondo futuro» scrive Julius Evola «e dopo il cataclisma rivela i Veda, i quali, attraverso la radice vid, sapere, indicano la scienza per eccellenza; allo stesso modo che, paramenti sotto forma di pesce, l’Oannes caldaico insegna agli uomini la dottrina primordiale».
«Jonathan Swift» scrive Canseliet «nel soggiorno di Gulliver a Laputa, traccia un quadro lugubre della felicità atomica; cittadini cenciosi che camminano frettolosamente nelle strade, gli occhi fissi e il volto smarrito».
Gli uomini cenciosi significa che sono poveri di alta scienza. Purtroppo, afferma Krishnamurti, «la maggior parte degli esseri umani è egoista. Sono inconsapevoli del proprio egoismo; è il loro sistema di vita. E se si è consapevoli di essere egoisti, lo si nasconde con grande cura e ci si conforma al modello della società che è essenzialmente egoista».
Per ricevere l’inestimabile Dono dalle mani della Natura due fattori sono determinanti: la durata della vita dell’uomo e il suo stato di maturità. In media la Grande Opera si compie oltre i 60 ai 70 anni, ma vi sono stati Adepti come Bernardo il Trevisano e lo stesso Canseliet, che hanno superato di molto quell’età. «La nostra», dicono i Saggi, «si tratta di una professione di fede».
I setti monelli, compagni di scuola di Pinocchio, «sono sette come i peccati mortali». È una parafrasi del drago a sette teste che è impossibile uccidere con una semplice spada ordinaria, ma soltanto con una spada magica (intelligenza). Infatti, ad ogni testa abbattuta con l’uso di una spada comune, ne sorgeva prontamente un’altra. È ciò che la maggior parte della gente chiama cambiamento, ma che in realtà si tratta di modificazione di uno stato ad un altro stato.
Il cardinale Cusano scrive che «la scienza di questo mondo, in cui si pensa di superare gli altri, è stoltezza verso Dio e, perciò, rende superbi. La vera scienza, invece, rende umile. L’intelletto, costretto dall’autorità degli scrittori, si pasce di un cibo non adatto e non naturale.
Lucie Lamy, trattando dell’antica cultura egizia, riporta questo profondo senso dell’antico insegnamento: «Perché la conoscenza puramente cerebrale è peritura, come perituro è lo strumento (ais, il cervello) con cui viene acquisito». Fulcanelli scrive in proposito: «“Imbianca l’ottone e brucia i tuoi libri”, ci ripetono tutti gli autori migliori».
Krishnamurti, da parte sua, aggiunge: «L’ignoranza non è la mancanza di conoscenza ma di autoconoscenza; senza autoconoscenza non c’è intelligenza. L’autoconoscenza non è cumulativa come la conoscenza, l’apprendere avviene di momento in momento.
Ma a noi piacciono le spiegazioni, il sapere. E il sapere è diventato una maledizione. Ecco, la percezione non ha niente a che fare con il sapere. Verità e sapere non vanno insieme; il sapere non può contenere l’immensità del Mistero.
Questa percezione non ha assolutamente nulla a che fare con la conoscenza, con l’esperienza; non si arriva a quest’intelligenza andando all’università».
La veste simbolica di questa legge è indossata dalla Giustizia, il cui candore è rappresentato da una vergine che cinge una corona d’oro e indossa una tunica bianca, ricoperta d’un ampio drappeggio di porpora. La corona d’oro simboleggia la sovranità assoluta e la tunica bianca ripete la purezza (la vergine stessa). L’ampio drappeggio di porpora raffigura la bontà, la compassione, la sollecitudine: il vero senso della pietà.
«— Non c’è bisogno — replicò il cane — tu salvasti me, e quel che è fatto, è reso. Si sa in questo mondo bisogna tutti aiutarsi l’uno con l’altro».
Ricordiamo che per volontà del nostro Adepto la sua favola dev’essere letta in chiave millenaristica. Si tratta, quindi, di un preciso invito agli uomini della nuova Era; a questo proposito, l’incomparabile parabola del buon samaritano raccontata nel capitolo X del Vangelo di Luca, s’insegna che anche il “nemico” può essere il proprio prossimo, ossia, letteralmente, il più vicino.
Pinocchio, tornato alla casa della fata, che era di quattro piani, dopo aver bussato gli andò ad aprire, molto lentamente, una lumaca.
«La mattina, sul far del giorno, finalmente la porta si aprì. Quella brava bestiola della lumaca, a scendere dal quarto piano fino all’uscio di strada, ci aveva messo solamente nove ore».
È la traduzione allegorica dei quattro elementi basici del Magistero, e la lentissima evoluzione della materia filosofale nel cammino dei nove gradini mistici.
Il compagno prediletto di Pinocchio aveva il soprannome di Lucignolo. Il nostro Adepto fa notare che questo era dovuto al suo aspetto che «era tale e quale come il lucignolo nuovo di un lumino da notte». Come si sa, costui stava attendendo un carro che lo avrebbe dovuto condurre nel Paese dei Balocchi.
Il numero dei ciuchini, invece, riconduce alla tradizione millenaristica, il nostro Adepto ha avuto cura di ricordare che si tratta di dodici pariglie, equivalenti a 24 ciuchini. Essi indicano i 24 secoli. Fulcanelli scrive che «simbolizza i dodici secoli che costituiscono il Regno del Figlio dell’Uomo e che succedono ai dodici precedenti del Regno di Dio». Quindi, questo particolare brano dev’essere interpretato puramente secondo la tradizione del Chiliasmo, vale a dire, in chiave profetica.
Il Paese dei Balocchi prefigura ancora meglio i nostri tempi. Abitato soltanto da “bambini” che amano giocare dalla mattina alla sera in un chiasso assordante, è l’immagine eloquente degli attuali rumori del mondo.
Mentre Pinocchio continuava a giocare nel Paese dei Balocchi, cominciò a crescergli le orecchie.
«Voi sapete che il burattino, fin dalla nascita, aveva gli orecchi piccini piccini: tanto piccini che, a occhio nudo, non si vedevano neppure!». La mancanza di orecchie nel burattino è simbolo di mancanza di ascolto, cioè, come diceva Krishnamurti, dell’arte di ascoltare.
La causa che tutti i “bambini” che vanno col carro diventano somari, dipende proprio dalle religioni organizzate, specie in questi ultimi tempi, dove esiste l’insegnamento di uno dei rarissimi eletti della Sapienza (Ars brevis), insegnamento che è lo specchio della filosofia ermetica liberata dai simbolismi.
Il compratore mise un macigno al collo del ciuchino e lo buttò in mare per affogarlo, ma i pesci divorarono la pelle d’asino del quale il burattino era avvolto. Canseliet scrive che «anche la focaccia di Pelle d’Asino, dei racconti di Perrault, o di Mamma Oca, appare come un simbolo della stessa sostanza in seno alla quale si sviluppa lentamente e pazientemente l’embrione minerale.
Nella Bibbia (Giona, II, 1), leggiamo: «Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti».
Il neofita, divorato dalla scienza, precipita nel buio totale, poiché sono state spente le luci della mondanità della sua esistenza primitiva. Nonostante questo riceve sempre dell’aria, variante dell’acqua viva.
Anche nei Vangeli leggiamo che «venuto mezzogiorno si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù esclamò a gran voce: Eloì, Eloì, lamà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
Krishnamurti dice che «se vi rammaricate di aver perso tutto senza aver guadagnato nulla, significa che non avete capito, e mostrate di persistere nella strada dell’affermazione del sé che porta verso la destinazione da essa stessa segnata: l’autodistruzione, la solitudine, l’immaturità. Ma se vedete questa strada per ciò che realmente è, non solo alla fine, ma al principio — che, del resto, è identico alla fine — diventerà impossibile per voi camminarvi sopra.
Non si può vedere quello che dovete fare, ma soltanto quello che non dovete fare. La totale negazione del vecchio è il cominciamento del nuovo. La nuova strada non si trova su una mappa; non può essere segnata su alcuna. Tutte le mappe indicano soltanto le strade vecchie, le strade sbagliate».
Filalete conferma:
«Noi che abbiamo lavorato e che conosciamo il procedimento, sappiamo certamente che non esiste lavoro più noioso della seconda operazione. Per questa ragione Morien avvertì il re Calid che molti saggi si lagnavano sempre della noia che quest’opera procurava loro… E ciò che ha fatto dire al celebre autore del Secret Hermètique che il lavoro richiesto per la seconda operazione era una fatica d’Ercole».
Pinocchio incomincia a camminare mettendo un passo dietro l’altro. L’importanza delle ripetizioni della dottrina è tale che non esiste altro per uscire dal caos bianco. «Apprendiamo anche, in modo che lo studente non ignori nulla della pratica, che questa separazione o sublimazione dello spirito, deve farsi progressivamente e che bisogna ripeterla tante volte quanto lo si riterrà necessario».
Qui il Maestro fa intendere un altro particolare fondamentale, infatti, precisa che «queste reiterazioni potranno essere rinnovate tante volte quanto lo permetterà la materia». Cioè, senza imbottire inutilmente la testa di nozioni.
Segare, quindi, significa tagliare, separare il sottile dal grossolano. E la cosa risulta facile se l’illuminazione ha fatto una buona presa (serrato fortemente) sulla psiche.
E l’analogismo osservato da Trompeo è esatto.
Ulisse uscì dall’antro mentre era aggrappato al ventre dell’ariete ermetico, mentre Pinocchio, come il dio-pesce Vishnu, nuota portando su di sé il seme della vita, variante dell’arca che porta il seme di tutti gli esseri viventi.
È la traduzione nascosta della materia preparata che si allontana dalla rozza materia nella calma della notte mistica, col favore della luna, la nostra luna ermetica variante dell’acqua viva. Parmenide scrive che «quindi a buon diritto la nostra acqua Divina è chiamata la “chiave”, la “luce”, “Diana” che rischiara le tenebre della notte. Perché essa è l’ingresso di tutta l’Opera, la porta che illumina ogni uomo».
Pinocchio ricordò loro la grande legge della Creazione: «Se siete poveri, ve lo meritate. Ricordatevi del proverbio che dice: “I quattrini rubati non fanno mai frutto”… Addio, mascherine! Ricordatevi del proverbio che dice: “La farina del diavolo va tutta in crusca”».
Pinocchio andò a lavorare da un ortolano girando il bindolo del suo pozzo, per procurare del latte al suo vecchio padre. Egli estraeva, così, l’acqua dal pozzo dei filosofi che trasformava in latte. Quella sorgente, spiega Fulcanelli «la mitologia la chiama Libertha e ci racconta che era una sorgente di magnesia, e che nelle vicinanze c’era un’altra sorgente chiamata la Roccia. Ambedue scaturivano da una grossa roccia la cui forma somigliava a un seno di donna; di modo che l’acqua sembrava colare da due mammelle come se fosse latte».
«L’inutilità di una vita sciupata» diceva Krishnamurti «della quale ci rendiamo conto soltanto nell’ora della morte, ma allora sarà troppo tardi. L’assoluta mancanza di significato di una vita spesa in un ufficio o in una fabbrica. Andare per cinquant’anni in ufficio, un giorno dopo l’altro, e alla fine… la morte».
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