Il testo, con latino a fronte, lo trovate qui.
Quando scrive le Ricerche sulla Natura, Seneca è un uomo stanco della vita che si avvicina alla settantina (nato intorno al 4 a.C., l’allusione al terremoto in Campania – 62 d.C. è fondamentale).
In questo periodo di solitudine Seneca riscopre il valore profondo del precetto epicureo «vivi nascosto».
Seguendo l’Epistola 90 a Lucilio, si inquadra la scienza in Seneca: la vera sapientia «guida le anime, non le mani»: una cosa è la prontezza e l’ingegnosità della mente, un’altra la grandezza del pensiero, con cui venire a conoscenza della Natura, penetrando quel tempio di tutti gli dei che è l’Universo.
Filosofia e scienza coincidono: è compito della filosofia quello di guidare l’uomo al suo perfezionamento morale.
Levare gli occhi al cielo per scrutarne i fenomeni significa transilire la condizione mortale, accostarsi a Dio e commisurare alla sua infinita grandezza l’infinita piccolezza di tutto il resto.
Scrutare la Natura porta ad allontanare l’anima delle cose terrene e a ricercare quelle che stanno in alto, a discernere con chiarezza il bene dal male.
Seneca, seguendo la sottrina stoica, stabilisce un’analogia fra terra e corpo umano.
Lo specchio è stato voluto dalla Natura per il perfezionamento scientifico e morale dell’Uomo: vi si può osservare un’eclisse di sole; il brutto, riconoscendosi tale, sarà indotto a pensare che i difetti fisici possono riscattarsi con la virtù; il bello che la sua bellezza non dovrà essere infangata da azioni disonorevoli; il giovane che la sua età è la più adatta ad apprendere; il vecchio che alla sua si addicono pensieri in carattere con l’approssimarsi della morte.
A sostegno della teoria secondo cui vi sarebbe analogia fra mondo superficiale e mondo sotterraneo, si vede come Seneca sia contro l’abitudine invalsa nei pranzi eleganti del suo tempo di portare il pesce vivo in tavola e di lasciarlo agonizzare sotto gli occhi dei commensali per rassicurarli della sua freschezza.
Il discorso si ricollega alle teorie cicliche di palingenesi dell’umanità. La conclusione è morale: è Dio a stabilire quando è il momento di rinnovare l’umanità degenerata, dando così l’avvio a un nuovo ciclo di rinnovamento. La via della virtù è ardua e ha bisogno di una guida ferma e sicura, mentre i vizi si apprendono anche senza maestri.
Seneca non è come Plinio il Vecchio che persegue un “inventario del mondo”, convinto che non ci sia più nulla da scoprire e che in ogni campo sia stato raggiunto il culmen (dell’età di Augusto). La scienza è un libro aperto, soprattutto per le generazioni future, e si arricchisce con lo studio della filosofia.
Anche Cicerone aveva affermato che la religio è, oltre che rispetto per le tradizioni della res publica, venerazione e ammirazione della bellezza dell’Universo e della regolarità dei fenomeni celesti (“scienza della natura”)
Traina ha rinvenuto in Seneca due grandi momenti, quello dell’ “interiorità” e quello della “predicazione”.
Di fronte allo scatenarsi delle forze della Natura, di fronte alle malattie, alle persecuzioni dei potenti, alla morte, l’uomo può rivendicare la sua libertà, il possesso di sé stesso, con la consapevolezza di poter spontaneamente rinunciare alla vita, se sarà il caso.
Anzi, a Lucilio, nel momento in cui egli assume la carica di procuratore in Sicilia, dice qualcosa di più: non basta rifugiarsi in sé stessi, bisogna addirittura fuggire da sé stessi per non essere condizionati dal proprio Io, per assumere quel necessario distacco e avvicinarsi alla contemplazione della Natura e cioè di Dio.
All’altro capo della “solitaria libertà dell’io” c’è il bisogno di estendere questo messaggio agli altri: una forte tensione verso la “liberazione dell’umanità”.
La morte è una restituzione dell’anima alla sua sede naturale, è un ritorno a quello stato di grazia iniziale da cui è temporaneamente decaduta, e dunque va valutata con coraggio e letizia.
Ciò che conta è il dominio delle passioni, la sopportazione delle avversità, il disprezzo dei beni, la capacità di commisurare le cose terrene alle celesti, di «aver l’anima pronta a spirar dalle labbra», di sapersi sottrarre alla schiavitù di sé stesso. [come quando si sta per morire, secondo la credenza degli antichi; di qui la consuetudine di raccogliere l’ultimo respiro con un bacio].
«quo nullum maius est, nosse naturam»
(«quello di cui non v’è altro più grande, conoscere la Natura»)
LIBRO III: LE ACQUE TERRESTRI
«Quale motivo hai di bramare?
Tu che, ogni volta che dalla consuetudine con le cose divine tornerai alle umane, avrai la vista annebbiata non diversamente da coloro i cui occhi si volgono dal sole luminoso alle fitte tenebre»
«Che cos’è che conta? Aver l’anima pronta a spirare dalle labbra…»
«tutti gli elementi derivano gli uni dagli altri, l’aria dall’acqua, l’acqua dall’aria, il fuoco dall’aria, l’aria dal fuoco: perché dunque l’acqua non potrebbe derivare dalla terra?»
Anche se gli elementi sono divisi nello spazio, tuttavia tutto procede da essi e tutto vi ritorna; la terra discioltasi si riduce in limpida acqua, l’umore attenuatosi diviene vento e aria, l’aria rarefatta in sommo grado per la perdita di peso s’accende a sua volta nei fuochi eterei. Poi avviene il processo inverso e si ripercorre lo stesso cammino: il fuoco addensatosi si trasforma in spessa aria, questa in acqua, e l’acqua aggregatasi si coaugula in terra.
È la dottrina di Pitagora, presente anche negli stoici, contro cui polemizza Lucrezio.
La terra e l’acqua, in quanto corpi pesanti, tendono verso il basso, al contrario dell’aria e del fuoco che per la loro leggerezza si dirigono verso l’alto.
Il fuoco è considerato dagli stoici come la più originaria determinazione qualitativa della materia e l’elemento primordiale: da quel principio per via di trasformazione si creano i restanti elementi e tutti in quel termine estremo confluiscono e si dissolvono, mentre esso non confluisce o si dissolve in nessun altro.
«Nulla si esaurisce di ciò che torna in sé stesso; tutti gli elementi hanno di questi flussi e riflussi: ciò che vien meno all’uno passa all’altro, e la natura soppesa le sue parti come su di una bilancia, in maniera che l’universo non si squilibri per uno sconvolgimento delle sue proporzioni.»
«il fuoco è la fine, l’acqua l’origine del mondo.»
«sono del parere che la terra sia governata dalla natura, e propriamente a immagine dei nostri corpi, nei quali vi sono vene e arterie, le prime vasi del sangue, le seconde dell’aria.»
«Entrambi gli eventi accadranno quando a Dio piacerà che inizi un mondo migliore, cessi l’antico. L’acqua e il fuoco reggono le cose terrene; da essi proviene la nascita, da essi la morte. Perciò, una volta deciso il rinnovamento del mondo, il mare si rovescia su di noi, cosí come fa l’impeto del fuoco quando è stato stabilito un altro genere di distruzione.»
«Berosso, interprete di Belo, ritiene che questi fenomeni dipendano dal corso delle stelle; ne è talmente convinto che fissa parimenti la data per la conflagrazione e per il diluvio universale: sostiene infatti che il mondo brucerà quando tutte le stelle, che ora seguono orbite diverse, convergeranno nel segno del Cancro, poste una dietro l’altra in modo tale che una linea retta possa attraversarle tutte passando per il centro; e che l’inondazione vi sarà quando la stessa schiera di stelle si ritroverà nel Capricorno. Sotto il primo si verifica il Solstizio d’estate, sotto il secondo quello d’inverno; entrambe sono costellazioni di grande influenza, dal momento che rappresentano la causa più importante del mutamento di stagione.
[…]
avverrà non per la pioggia, ma anche per la pioggia, non per lo straripamento del mare, ma anche per lo straripamento del mare, non per il terremoto, ma anche per il terremoto: tutto aiuterà la natura perché si compiano i suoi disegni. Tuttavia la principale causa della propria inondazione la offrirà la terra stessa, che abbiamo detto trasformabile e capace di mutarsi in liquido.»
Berosso, scrisse all’epoca di Alessandro Magno tre libri di Storia babilonese.
«Ogni essere vivente si originerà daccapo e alla terra toccheranno uomini incapaci di nefandezze e nati sotto i migliori auspici. Ma anche la loro innocenza non durerà se non finchè saranno di recente creazione; ben presto il male s’insinuerà. La virtù è difficile da trovare e necessita di un precettore e di una guida; i vizi si apprendono anche senza maestro.»
Anche in Virgilio: l’inizio del nuovo ciclo cosmico è anche l’inizio di un nuovo processo degenerativo.
La condanna di Seneca per gli studi storici, che qui sembra radicale, riguardava più propriamente alcuni aspetti oziosi della disciplina: a essere colpita è in genere l’erudizione fine a se stessa, che distrae la mente dall’unico scopo cui essa deve tendere, la meditazione interiore.
Plinio:
«tutti i mari si purificano durante il plenilunio, taluni anche a una data fissa. Presso Messina e Milazzo vengono rigettati sul lido spurghi dall’aspetto di letame, per cui si favoleggia che lì abbiano la loro stalla i buoi del Sole». I buoi del Sole sono di derivazione omerica.
LIBRO IVA: IL NILO
LIBRO IVB: LE NUBI
«Democrito: “Ogni corpo quanto è più compatto, tanto più rapidamente assorbe calore e tanto più a lungo lo conserva”.
Tutta l’atmosfera quanto più vicina è alla terra, tanto più è densa, così nell’atmosfera le parti più dense scendono verso il basso. Ora, è già stato dimostrato che tanto più un corpo è composto di materia densa e concentrata, tanto più tenacemnte mantiene il calore ricevuto. L’atmosfera degli strati superiori, quanto più è lontana dalle impurità della terra, tanto più è incontaminata e limpida; per questo non trattiene il calore solare ma lo fa passare come attraverso il vuoto: di conseguenza si scalda di meno»
«Qual è l’origine di ciò se non un intestino malandato e visceri rovinati dagli eccessi? Ad essi non si dà mai una pausa per rilassarsi, ma i pranzi si sommano alle cene protratte fino all’alba, e la baldoria del convito aggrava le condizioni di chi ha già il ventre teso per l’abbondanza e la varietà delle portate; inoltre la smoderatezza mai interrotta ottunde quel che resta di una sensibilità già affievolita e accende al desiderio di sempre nuovi refrigeri.»
«Pensi che questa sia sete? È febbre, e tanto più acuta perché non si riconosce tastando il polso né dal calore diffuso sulla pelle, ma brucia addirittura il cuore. Il lusso è un male inguaribile e da molle e cedevole diviene duro e resistente. Non sai che tutto perde vigore con l’abitudine?»
LIBRO V: I VENTI
«Non posso neppure ammettere che la luce stessa sia priva di calore, dal momento che proviene dal calore: forse il suo tepore non è tale da rivelarsi al tatto, tuttavia svolge al sua funzione e dirada e rarefà i corpuscoli addensati; per questo i luoghi che per qualche malignità della natura sono chiusi a tal punto da non ricevere il sole, s’intiepidiscono per opera della luce, per quanto nebbiosa e tetra, e durante il giorno sono meno freddi che di notte.»
«Quale ineluttabile destino ha costretto l’uomo, per natura eretto verso le stelle, a raggomitolarsi e a seppellirsi da vivo e a immergersi nel prfondo seno della terra per scavarvi l’oro, non meno pericoloso da ricercare che da possedere?
Osarono discendere là dove avrebbero sperimentato un diverso ordine della natura, la disposizione della terra sospesa al di sopra di loro e i venti che soffiano inutilmente nelle tenebre e spaventose sorgenti di acque che non sgorgano per nessuno e una notte profonda e perenne; poi, dopo aver fatto tutto questo, hanno paura dell’oltretomba!»
«Fra tutte le opere della provvidenza anche questa è giusto che qualcuno guardi con ammirazione: non per un motivo soltanto infatti creò i venti e li distribuì fra varie direzioni, ma anzitutto per non consentire all’aria di intorpidirsi, bensì, agitandola di continuo, per renderla utile e vitalea chi la respira, poi per fornire piogge alla terra e insieme per tenerle a freno quando diventano eccessive.»
«Ci ha dato i venti per ampliare le nostre conoscenze: l’uomo sarebbe stato infatti un essere incolto e senza grande conoscenza delle cose, se fosse stato relegato nei confini del paese natio. Ci ha dato i venti perché le risorse delle diverse regioni fossero comuni, non perché trasportassero legioni e cavalieri, né perché traghettassero popoli con i loro funesti eserciti.»
L’offesa è considerata comunemente causa dell’ira. Solo il Saggio, che sa essere immune dall’offesa, sa anche essere immune all’ira. La guerra ci spinge ad essere irati sine iniuria, proprio come le belve.»
LIBRO VI: I TERREMOTI
«Non fa alcuna differenza che mi uccida una sola pietra o mi schiacci un’intera montagna […] non m’importa quanto grande sia lo strepitio che si fa intorno alla mia morte: essa vale ovunque lo stesso»
«Se non volete avere alcun timore, fate conto che tutto sia da temere; considerate quanto poco basta per annientarci: non v’è cibo, bevanda, veglia, sonno che sia per noi salutare se si supera una certa misura; capirete subito che siamo piccoli esseri vani e deboli, inconsistenti, facili ad andare in rovina senza grandi sforzi»
«Un dolore minimo come quello causato da un’unghia e neppure tutta intera, ma una sua schggiatura laterale è sufficiente a farci morire! E io dovrei paventare la terra che trema, io che posso restare soffocato da un po’ di catarro?»
«Gioverà anche mettersi bene in mente che gli dei non si curano affatto di queste cose e che il cielo o la terra non sono scossi dall’ira divina: essi hanno in sé proprie cause e non infieriscono a comando ma, come i nostri corpi, sono tormentati da certi malanni e quando sembrano arrecare danno in realtà lo subiscono»
«Stratone: questa la sua dottrina: “freddo e caldo vanno sempre in direzioni opposte, non possono stare insieme”
Inoltre l’avvicendarsi di questa lotta è sempre lo stesso: avviene l’accumulo di calore e di nuovo la sua fuoriuscita; a sua volta il freddo prima resta indietro e soccombe, destinato subito dopo ad avere il sopravvento […] la terra ne viene scossa»
«Abbiamo alcuni meati della respirazione più sottili attraverso i quali l’aria si limita a passare, atri più dilatati nei quali si raccoglie per poi diramarsi in varie direzioni. Così l’intero organismo della terra è accessibile sia alle acque, che fanno le veci del sangue, sia ai venti, che si potrebbero chiamare senz’altro il respiro della terra. Questi due elementi ora scorrono, ora ristagnano.
Quando interviene qualche disfunzione, si produce lo stesso turbamento che in un corpo malato»
«Ma se l’aria non trova neppure uno spiraglio attraverso il quale defluire, concentrata in quel luogo si scatena e vaga qua e là, e qualcosa abbatte, qualcos’altro spezza, giacchè, essendo leggerissima ed insieme fortissima, s’insinua anche nei luoghi più ostruiti e con la sua forza fende e frantuma tutto ciò in cui è riuscita a penetrare.»
«Tutto il cielo lassù che l’etere di fuoco, estrema parte del cosmo, racchiude, tutte quelle stelle, il cui numero è precluso alla nostra conoscenza, tutta la corte di corpi celesti, e, a tacer d’altro, quel sole, ricavano alimento dalla terra e se lo compartono fra loro e di null’altro si sostentano se non di questo fiato della terra: questo è il loro alimento, questo il loro cibo»
«Durante quest’ultimo terremoto in Campania, nella regione di Pompei un foltissimo gregge di pecore ha perso la vita. Non è il caso di pensare che a quelle pecore ciò sia accaduto per effetto della paura.
Dicono infatti che dopo grandi terremoti si diffondono di solito delle epidemie questo non fa meraviglia. In effetti nel seno della terra si celano molti elementi esiziali.»
«Povera cosa è la vita dell’uomo, ma cosa sublime il disprezzo della vita. Chi la disprezza guarderà sereno l’agitarsi del mare; sereno contemplerà l’aspetto torvo e terrificante del cielo solcato dai fulmini; sereno contemplerà il suolo che disgregandosi si spalanchi sotto di lui.
Resterà impavido in cima a quell’abisso e forse si slancerà giù dove è destinato a cadere.
Che m’importa quanto sia grande ciò che mi fa morire?
Il morire stesso non è gran cosa. Se vogliamo essere felici, se non vogliamo vivere nel timore né degli uomini né degli dei né degli eventi, bisogna tenere la nostra anima sempre pronta.
Che debbo fare se non confortarla nel momento in cui se ne va e congedarla con buoni auspici? Va’ con coraggio, va’ con letizia! Non esitare: è un ritorno.
Non è in discussione il fatto, ma il momento: stai facendo ciò che prima o poi devi fare.
«Il mare ha accolto in sé Elice e Buri per intero: io dovrei temere per un solo povero corpo?
Tutto ciò tu saprai guardare con animo fermo se pensarai che non c’è alcuna differenza fra uno spazio di tempo breve e uno lungo»
La valutazione qualitativa del tempo è, come è noto, il cardine del de brevitate vitae.
«Con sottile finezza Lelio, il saggio, ad un tale che diceva: “Ho sessant’anni” rispose: “Intendi dire i sessant’anni che non hai più”.
Lasciala da parte ogni altra cosa, pensa, Lucilio, solo a questa, a non temere la parola morte: renditela familiare a forza di pensarci, in modo che, se sarà il caso, tu possa anche andarle incontro»
Anche per Lucrezio gli eventi naturali hanno il potere di rendere humiles gli animi.
LIBRO VII: LE COMETE
«è invitabile che tutto ciò che è violento tenda per il suo stesso impeto alla propria distruzione»
«Artemidoro oppone quanto segue: non sono solo i cinque pianeti che attravesano il cielo, ma questi sono gli unici che siano stati osservati; anzi, innumerevoli altri si muovono in modo occulto, a noi sconosciuti o per la debolezza della loro luce o per una posizione delle orbite tale per cui si rendono visibili solo quando arrivano al punto estremo del loro percorso» [è da notare che Seneca non è d’accordo con questa affermazione]
La teoria tolemaica è la più diffusa nell’antichità fin da Talete.
La teoria eliocentrica risale ad Aristarco di Samo, ma precursori ne furono i pitagorici.
«Apollonio di Mindo asserisce che le comete non si formano per l’unione di molte stelle erranti, ma che molte comete sono stelle erranti: la cometa è un astro vero e proprio. Tale è la sua forma, per quanto non compresa in una sfera, ma slanciata ed allungata»
Anassagora e Democrito ritenevano invece le comete prodotto della congiunzione di due astri, come testimonia Aristotele.
«Non considero le comete fuochi improvvisi ma le annovero fra le opere eterne della natura.
Nessuno dei due fuochi comuni o celesti compie un percorso curvo; è invece proprio degli astri descrivere un’orbita: ora, se lo abbiano fatto altre comete non so; le due della nostra epoca lo hanno fatto»
1) al tempo di Claudio (54 d.C.)
2) al tempo di Nerone (60 d.C.)
«Tutti riconosceranno che abbiamo un’anima, dal potere della quale siamo spronati e dissuasi.
Tuttavia che cosa sia quell’anima, nostra guida e signora, non te lo spiegherà nessuno, come nessuno ti spiegherà dove risieda.
È tanto vero che l’anima non può far luce sul resto che ancora indaga su se stessa.»
Le idee di Seneca con l’anima hanno punti di contatto con Cicerone.
Anima = Armonia: teoria pitagorica: passa per Echecrate, Aristosseno, Dicearco.
Anima = forza divina: stoicismo: nei corpi sono riconoscibili “le manifestazioni visibili del divino”; la riprova della “patria celeste” dell’anima è data per Seneca dal fatto che l’uomo è attratto dalle cose divine.
Anima = Elemento più sottile della forza vitale (tenuis aurea): Lucrezio, Epicuro; è l’entelechia di Aristotele.
Anima = sangue: Empedocle.
«Verrà un giorno in cui il passare del tempo e l’esplorazione assidua di lunghi secoli porterà alla luce ciò che ora ci sfugge. Una sola generazione non basta all’indagine di fenomeni così complessi, anche se si dedicasse esclusivamente al cielo…
Verrà il giorno in cui i nostri posteri si meraviglieranno che noi ignorassimo cose tanto evidenti.»
Seneca fa risalire a 15 anni prima (45-50 d.C) la nascita dell’astronomia, mettendola in rapporto con quella della navigazione, citando Virgilio, la fine dell’età dell’oro e gli albori della civiltà.
«Non vedi quanto siano opposti fra loro gli elementi? Ve ne sono di pesanti e di leggeri, di freddi e di caldi, di umidi e di secchi; tutta l’armonia dell’Universo si fonda su elementi contrastanti.
Il motivo della Natura che ama nascondersi risale ad Eraclito.
«Ignora la potenza della natura chi non creda che ad essa sia lecito fare talvolta qualcosa di diverso da ciò che fa abbastanza spesso.
Non mostra di frequente le comete, ha assegnato loro altre posizioni, altri cicli, movimenti diversi rispetto ai rimanenti astri; il loro aspetto ha poi qualcosa di veramente straordinario e unico, non racchiuso e limitato in uno spazio ristretto, ma liberamente esteso e tale da abbracciare una porzione di cielo corrispondentea quella di innumerevoli stelle»
«la nascita di una cometa non minaccia venti e piogge al suo apparire, come dice Aristotele, ma rende pericoloso tutto l’anno; dal che appare chiaro che una cometa porta dentro di sé presagi, e vincolati dalle leggi dell’Universo»
Anche l’eclissi è ritenuta dagli antichi un’opera di magia da stornare con rumori e grida.
«Infatti Dio non ha fatto tutto per l’Uomo. Che immensa parte di un’Opera tanto grande ci è assegnata! Egli stesso, che governa le cose, che le ha create, che ha edificato il tutto e se ne è circondato, ed è la parte più grande e migliore dell’opera sua, sfugge ai nostri occhi: bisogna vederlo solo con la mente.
Moltre altre essenze affini alla divinità suprema e che hanno avuto in sorte una potenza simile alla sua sono invisibili o forse, cosa che può stupire ancora di più, riempiono e insieme sfuggono ai nostri occhi o perché la loro esiguità è tale che la vista umana non può percepirle, o perché una maestà così grande si è occultata in un inviolabile ritiro e governa il suo regno, cioè sé stessa, e a nessuno permette di avvicinarsi fuorchè alla mente.»
«Piccola cosa sarebbe l’Universo se ogni età non trovasse in esso qualcosa da indagare.
Certi misteri non vengono mostrati in una sola volta: Eleusi tiene in serbo qualcosa da rivelare a coloro che tornano a visitarla.»
L’iniziazione ai misteri eleusini avveniva per gradi: “come soltanto gli iniziati conoscono i più sacri misteri della religione, così nel campo della filosofia quegli arcani principi si svelano a coloro che sono ammessi e accolti nel suo sacro regno”.
La scuola pitagorica è definita invidiosa turbae per il carattere iniziatico del suo insegnamento.
La scuola filosofica dei Sesti, fondata da Sestio, fiorì in età augustea ed ebbe breve durata: essa tendeva al perfezionamento morale e predicava l’astensione dalle carni; ad essa appartenne Papirio Fabiano e vi ebbe legami Sozione.
Pirrone di Elide è considerato il fondatore dello scetticismo.
«Quando dunque tutto questo sarà portato alla nostra conoscenza? Le grandi imprese crescono lentamente, specialmente se vien meno l’impegno.
L’unico scopo a cui ci dedichiamo con tutti noi stessi non l’abbiamo ancora raggiunto, cioè di toccare il fondo della malvagità: i vizi progrediscono ancora; il lusso inventa qualcosa di nuovo in cui esercitare la sua follia, l’impudicizia inventa per sé nuovi oltraggi, la sfrenatezza e il languore dei piaceri inventano qualcosa ancor di ancor più snervato e lascivo con cui annientarsi.»
LIBRO I: I FUOCHI CELESTI
«Un essere che non ama se non ciò che è perfetto deve di necessità amare sempre le stesse cose; né per questo è meno libero e sovrano: è lui stesso la propria necessità»
«La virtù cui tendiamo è meravigliosa, non già perché sia di per sé invidiabile essere privo di vizi, ma perché ristora l’anima e la rende pronta alla conoscenza delle cose celesti e degna di entrare in comunione con Dio.
Essa ha raggiunto la perfezione e la pienezza della felicità concessa alla condizione umana solo quando, calpestata ogni bassezza, si è librata verso il cielo ed è penetrata nel grembo riposto della natura»
Da notare che sconfiggere il male, “vincere i mostri”, non è ancora fare il bene.
«Lassù si che vi sono spazi immensi, al cui possesso l’anima è ammessa, e lo è davvero purchè abbia portato con sé il meno possibile del peso corporeo, purchè si sia purificata d’ogni scoria e brilli libera da impacci e da some e paga di sé.
Quando raggiunge quelle vette ne riceve nutrimento, cresce e, come sciolta da catene, torna alla sua sede originaria e ha questa prova della sua divinità che sente diletto per le cose divine, e vi partecipa non come le fossero estranee, ma come fossero sue proprie.
È ben consapevole che tutto ciò le appartiene.
Allora sì che disprezza l’ingiustizia della sua precedente dimora. Lì finalmente apprende ciò che a lungo ha cercato, lì comincia a conoscere Dio.»
Secondo la teoria stoica gli astri ricevono nutrimento dalle esalazioni della terra: si tratta di una concezione che rientra nell’autosufficienza del cosmo, al quale non manca nulla di quanto è necessario alla sua perfezione; ogni cosa è concatenata alle altre e ha una sua destinazione.
La teoria, invece, che considera ogni goccia di pioggia uno specchio che riflette l’immagine del sole, è riconducibile ad Aristotele.
Secondo la teoria tomistica, dalle cose invisibili si dipartono immagini che non colpiscono direttamente i nostri occhi, i quali ricevono invece soltanto l’aria che è messa in moto da quelle immagini nel loro fluire.
«“A che ti giova” – mi dirai – “tutto ciò?”. Se a nient’altro, almeno a questo: avendo misurato la grandezza di Dio saprò che il resto è piccola cosa»
Secondo Crisippo l’institutio filosofica doveva prevedere nell’ordine: logica, etica, fisica.
La teologia è considerata punto di arrivo di quest’ultima.
Seneca sorvola sulla logica, che non troverebbe posto in questa cotrapposizione tra umano e divino, e d’altra parte tende a fondere fisica e teologia, giacchè «lo studio amorevole della fisica cosmica è per il filosofo morale una liberazione, l’elevazione al divino».
«Gli specchi furono inventati perché l’uomo si conoscesse, perché da quest’invenzione ricavasse molti benefici, prima la cognizione di sé, poi consigli per alcune riflessioni:
il bello per evitare la cattiva reputazione;
il brutto perché sapesse che tutto ciò che manca al corpo si può riscattare con la virtù;
il giovane perché fosse ammonito dal fiore dell’età che quello è il momento di apprendere e di osare imprese coraggiose;
il vecchio perché rinuciasse a ciò che non s’addice alla sua canizie, perché facesse qualche meditazione sulla morte: per questi scopi la natura ci ha concesso la facoltà di vederci riflessi»
PARTE II: I TUONI E I FULMINI
«Così l’aria è parte dell’Universo, e per di più necessaria. È infatti essa che collega il cielo con la terra, che separa le regioni inferiori dalle superiori in modo tuttavia da congiungerle: le separa in quanto si frappone a lore, le congiunge in quanto per suo mezzo si crea un accordo fra l’una e l’altra; trasmette al di sopra di sé quel che riceve dalla terra e a sua volta riversa sulle cose terrene l’energia degli astri»
La teoria della sfericità della terra fu affacciata per la prima volta dai pitagorici, intorno al V sec. a.C., ma si dovrà arrivare a Platone, Aristotele ed Eudosso prima che essa soppianti quella del “disco” degli ionici o del “cilindro” di Anassimandro.
C’è anche da notare come fosse dottrina storica la convertibilità dei quattro elementi.
«Esseri come animali e piante li considero quasi parti dell’Universo: infatti il regno animale e il regno vegetale sono parte dell’Universo in quanto sono compresi nel tutto e in quanto l’Universo non esisterebbe senza di loro; ma il singolo animale e la singola pianta sono quasi parti perché, anche se vengono meno, ciò da cui vengono meno resta ugualmente il tutto»
«sia aggiungano ora i fuochi, non solo quelli provocati dall’uomo e visibili, ma anche quelli nascosti nella terra, dei quali alcuni prorompono fuori, innumerevoli altri ardono perennemente in occulti recessi. Le parti così numerose dell’aria che nutrono creature hanno il tepore, perché il freddo è infecondo, il calore genera la vita. La parte mediana dell’aria, lontana da esse, permane nel suo gelo; l’aria è infatti per sua natura fredda.»
«Tutto è ordinato e il fuoco purissimo che nella difesa del cosmo ha avuto in sorte le ragioni più elevate circola lungo i margini di questa meravigliosa creazione; di qui non può discendere, ma neppure essere spinto da una forza esterna, dato che nell’etere nonc’è spazio per alcun elemento instabile: ciò che è stabile e ordinato non conosce conflitti»
«Ben diverso è il modo con cui il destino porta a compimento l’ordine ricevuto, né si lascia intenerire da alcuna preghiera; non sa piegarsi per compassione né per indulgenza: una volta imboccato il suo cammino irrevocabile, scorre secondo ciò che è deciso.
Come l’acqua dei torrenti impetuosi non rifluisce su di sé e neppure s’arresta, giacchè l’onda che sopraggiunge incalza la precedente, così l’eterna vicenda delle cose fa ruotare la sequenza del destino, la cui prima legge è questa: attenersi a ciò che è stabilito»
«Non ritengo che gli antichi fossero così stolti da credere che Giove fosse animato da una volontà perversa o avesse una mano poco precisa: quando infatti lancia fuochi con i quali folgora vite innocenti, risparmia quelle scellerate non ha voluto scagliargli con maggiore giustizia o non gli è riuscito?
Che cosa si son proposti dunque gli antichi affermando queste cose? Per tenere a freno la mente degli ignoranti quegli uomini sommamente saggi fecero loro intravedere un timore senza scampo.
Perché temessimo qualcosa al di sopra di noi era utile che in mezzo a tanta proterva scelleratezza vi fosse qualcosa che nessuno si sentisse di contrastare; per questo, per atterrire coloro che non amano l’onestà se no costretti dalla paura, posero sopra la loro testa un punitore, e per di più armato.
Imparino quanti hanno raggiunto gran potere fra gli uomini che neppure un fulmine viene inviato senza che ci si sia consultati; convochino assemblee, valutino il parere di molti, tengano a freno chi vorrebbe far del male, abbiano presente questo quando si deve vibrare un colpo, che neppure a Giove è sufficiente il suo giudizio.
Perché dunque il fulmine che manda Giove da solo è benigno, mentre è funesto quello su cui si è consultato e che ha inviato per suggerimento anche di altri dei? Perché Giove, essendo re, deve poter beneficiare anche da solo, mentre è parso che potesse recar danno unicamente se assistito da molti»
«signore e garante dell’Universo, mente e anima del mondo, padrone e artefice della creazione.
Lo vuoi chiamare destino? Non sbaglierai: è lui da cui dipendono tutte le cose, la causa delle cause.
Vuoi dargli il nome di provvidenza? Lo farai a buon diritto: è lui infatti che con la sua saggezza provvede a questo mondo perché proceda senza ostacoli e svolga le sue funzioni.
Vuoi chiamarlo natura? Non sarai in errore: è lui dal quale sono nate tutte le cose, lo spirito che ci fa vivere.
Vuoi chiamarlo mondo? Non t’ingannerai: è sempre lui il tutto che vedi, infuso in tutte le sue parti, che sostiene sé stesso e le sue cose.»
«i fulmini non sono inviati da Giove, ma che tutto questo è disposto in modo che anche ciò che non proviene da lui non accada tuttavia senza una regola da lui stabilita»
«la cosa sorprendente è che il vino congelato dal fulmine quando torna al primitivo stato, se bevuto, o uccide o rende folli»
«Disprezza la morte e avrai disprezzato tutto ciò che porta alla morte, sia che si tratti di guerre che di naufragi, di assalti di belve o di cumuli di macerie che precipitino per un improvviso cedimento.
Che altro possono fare di più questi eventi se non sciogliere il corpo dallo spirito?»
«Ritieni più decoroso morire di dissenteria invece che per un fulmine? Con tanto più coraggio dunque ergiti di fronte alle minacce del cielo e, quand’anche l’universo intero andasse in fiamme, pensa che tu non avresti nulla da perdere in una morte così imponente.
Nessuno ha mai temuto un fulmine se non quello al quale si è sottratto.»
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