Il testo completo dell'Eneide lo trovate qua.
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L'Eneide (29-19 a.C.), poema epico di 12 libri, narra le peregrinazioni di Enea e gli scontri da lui sostenuti contro i latini per dare vita a un nuovo popolo, che avrebbe in seguito fondato Roma. L'opera fu composta nell'ultimo decennio di vita di Virgilio e rimase incompiuta perché la morte del poeta troncò il lavoro di rielaborazione e rifinitura. Virgilio aveva espresso, per questo, la volontà che l'Eneide fosse distrutta dalle fiamme, ma Vario Rufo e Tucca, gli esecutori testamentari, la consegnarono ad Augusto, il quale ordinò che fosse pubblicata senza alcuna correzione, nonostante qualche incoerenza e 58 versi incompiuti, e avesse la massima divulgazione possibile: l'Eneide rappresentava infatti il poema da lui tanto atteso.
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L'Eneide (29-19 a.C.), poema epico di 12 libri, narra le peregrinazioni di Enea e gli scontri da lui sostenuti contro i latini per dare vita a un nuovo popolo, che avrebbe in seguito fondato Roma. L'opera fu composta nell'ultimo decennio di vita di Virgilio e rimase incompiuta perché la morte del poeta troncò il lavoro di rielaborazione e rifinitura. Virgilio aveva espresso, per questo, la volontà che l'Eneide fosse distrutta dalle fiamme, ma Vario Rufo e Tucca, gli esecutori testamentari, la consegnarono ad Augusto, il quale ordinò che fosse pubblicata senza alcuna correzione, nonostante qualche incoerenza e 58 versi incompiuti, e avesse la massima divulgazione possibile: l'Eneide rappresentava infatti il poema da lui tanto atteso.
La composizione
fu lunga e travagliata perché Virgilio non possedeva una tradizione alla quale
potesse rifarsi e perciò doveva scegliere fra le molte versioni del mito,
narrare il crollo di una città antenata di Roma, creare un “padre
fondatore”, esule ed errante.
Era necessario rappresentarlo
come un combattente e accettare la tradizione secondo la quale una guerra
sanguinosa era stata combattuta fra i progenitori di Roma e quelli che
sarebbero stati i suoi alleati storici, i latini. Virgilio si stacca dal
presente, risale alla leggendaria caduta di Troia, alla quale fa risalire la
ancor lontana fondazione di Roma, ma dominante e certa nelle profezie. La guerra
di Troia è pertanto narrata per giustificare un unico esito voluto dagli
dei: Roma.
Virgilio innova
decisamente il poema epico: egli ambienta il suo poema in un'età mitica e
introduce la storia come digressione, sotto l'aspetto di visione profetica. La
leggenda di Enea rappresentava già la rivincita dei discendenti
troiani sui greci; con Virgilio essa assume una forma più coerente e
complessa: un ritorno all'antiqua mater, alla terra degli avi, leggenda
che parte dall'etrusca Cortona, da dove era partito Dardano, il capostipite dei
troiani.
Inoltre il poeta
perfezionava la tradizione mitica della nobilissima famiglia Giulia, e
cioè di Cesare e Augusto, che si gloriava di discendere da Iulo o Ascanio,
figlio di Enea, a sua volta figlio della dea Venere.
Nell'Eneide
Virgilio non crea figure di eroi esuberanti e baldanzosi, dotati di una
vitalità prorompente, come Omero; i suoi personaggi hanno carattere più
sfumato, sono approfonditi psicologicamente, spesso dipinti con
atteggiamento dolente e meditativo. Sono personaggi umani e non eroi
divinizzati come quelli di Omero. Enea non è un guerriero come Achille o
Ettore, o un eroe come Ulisse: egli è colui che accetta con rassegnazione il
destino e obbedisce, talvolta con dolore, al Fato.
Le sue
caratteristiche sono la pietas, cioè il senso del dovere e la
capacità di sacrificio.
Didone, la regina
di Cartagine che Enea è costretto dal Fato ad abbandonare e ne rappresenta
drammaticamente il suicidio con intenso pathos, rappresenta una
delle figure più complete di tutto il poema, presentata prima nella piena forza
del sentimento amoroso, poi nella crudezza della morte e, infine, nell'odio
inestinguibile, oltre la vita, per l'amante che l'ha tradita.
È la grandezza
di Roma che commuove Virgilio, non il trionfo di Enea.
I primi sei libri
raccontano la storia del viaggio di Enea da Troia all'Italia, mentre la seconda
parte del poema narra la guerra, dall'esito vittorioso, dei Troiani - alleati
con i Liguri, alcuni gruppi locali di Etruschi e con i Greci provenienti
dall'Arcadia - contro i Rutuli, i Latini e le popolazioni italiche in loro
appoggio, tra cui altri Etruschi.
L'orientamento
alessandrino verso il poema breve (sul modello delle Argonautiche) risalta
nella divisione dodici libri di Virgilio che riprende, in dimensione minore, i
poemi omerici: l'Odissea nei primi sei libri (tema del viaggio) e l'Iliade
nei secondi sei (tema della guerra). L'ordine delle vicende, rispetto ad
Omero, viene rovesciato e l'avventura viene trattata prima della guerra.
Era in uso presso
la poesia ellenistica limitarsi a dodici libri, invece dei ventiquattro di
impostazione classica: si può dunque pensare che Virgilio abbia ripreso questa
consuetudine in quanto i Romani non operavano una sostanziale scissione tra la
cultura classica e quella ellenistica.
Col suo modello
Virgilio instaura un rapporto di raffinata competizione innovativa.
Il viaggio di
Ulisse era un viaggio di ritorno, quello di Enea un viaggio di rifondazione
proiettato verso l'ignoto; la guerra nell'Iliade era una guerra di distruzione,
quella di Enea è rivolta alla costruzione di una nuova città e di una nuova
civiltà.
Enea, esule dalla
città di Troia, tenta di raggiungere il Lazio, per fondarvi una nuova città e
portare in Italia i Penati, una stirpe nobile e coraggiosa e una razza
che sarà conosciuta e rispettata da tutti i popoli, come stabilito da una
profezia. Parte con una flotta di venti navi, nonostante l'opposizione di Giunone.
La dea infatti è
adirata per tre motivi:
- perché ha perso
la gara di bellezza contro la madre di Enea;
- perché la sua
città favorita, Cartagine, è destinata ad essere distrutta dalla stirpe troiana
nata da una relazione tra Zeus ed Elettra;
- perché Ganimede
era stato scelto quale coppiere al posto di Ebe, la figlia di Giunone.
La flotta
troiana, dispersa da una tempesta provocata da Giunone, giunge sulla costa
libica dove sta sorgendo una nuova città: Cartagine.
Enea in compagnia
di Acate si avventura ad esplorare il luogo ed ecco che una giovane, in veste
di cacciatrice, su fa loro incontro e, dando notizie del luogo e del popolo,
conforta l’Eroe preoccupato. Appena essa si allontana, Enea riconosce dal
profumo e dalla chioma Venere, sua madre.
Antonio Balestra, Venere
cacciatrice appare a Enea e Acate
Entrati in città
e ritrovati i compagni creduti dispersi, vengono invitati alla reggia da Didone,
la giovane e belle regina, toccata al cuore dalla freccia di Cupido su
suggerimento di Giunone.
Durante il
banchetto, Enea viene esortato a raccontare la caduta di Troia e le sue
peregrinazioni
Nicolò Bambini, Enea
racconta a Didone la caduta di Troia, 1712-14
e, nel silenzio
della sala, si rivivono le ultime ore della città, gli orrori, le stragi, i
dubbi e le tenerezze dell’Eroe che, su consiglio divino, fugge portando in
salvo il padre Anchise (che in seguito morì a Drepano – odierna Trapani –
stremato dalle fatiche), il figlioletto Ascanio e i Penati, perdendo però nella
fuga, per le vie della città in fiamme, la moglie Creusa.
Giovanni Giorgi, Enea
fugge da Troia con Anchise Ascanio e Creusa, 1712-14
Nel racconto di
Enea suscita profonda commozione l’incontro, avvenuto dopo lo sbarco in Epiro,
con Andromaca, la vedova di Ettore ora sposa di Eleno, re e indovino
figlio di Priamo, e la dolcezza materna con cui la donna chiede notizie di
Ascanio, il piccolo che tanto le ricorda il figlioletto morto.
Giovan Gioseffo
Dal Sole, L’incontro di Enea e Ascanio con Andromaca e Eleno a Butrolo, 1712-14
Didone si rivolge alla sorella Anna ammettendo i
sentimenti per Enea, che ha riacceso l'antica fiamma d'amore, il solo per cui
violerebbe la promessa di fedeltà eterna fatta sulla tomba del marito Sicheo.
Giunone allora propone a Venere di combinare tra i due
giovani il matrimonio; Venere, che intuisce il disegno di sviare Enea
dall'Italia, accetta, pur facendo presente a Giunone la probabile avversità del
Fato.
Didone grazie all’intervento divino è già presa d’amore
per lo straniero e, durante una battuta di caccia, sorpresa da un temporale di
rifugia con Enea in una spelonca, abbandonandosi al dolce sentimento.
Francesco Solimena, Enea e Didone si inoltrano verso la
grotta, prima metà sec. XVIII
Ma Mercurio, mandato da Giove, ricorda all’Eroe che
il suo Destino è quello di raggiungere l’Italia e fondare una nuova Troia e
così, seppure a malincuore, egli obbedirà.
Marcantonio Franceschini, Mercurio che sveglia Enea, 1712-14
Didone tenta di dissuaderlo ma invano, e riferita la
decisione di dedicarsi alle arti magiche per alleviare tante pene, la regina
ordina quindi alla sorella di mettere al rogo tutti i ricordi e le armi del
naufrago nella sua casa e invoca gli dei. Nella notte, mentre la regina
escogita il modo e il momento del suicidio per porre fine a tanti affanni,
Enea, avvertito in sonno, fugge e, mentre all’alba le navi troiane appaiono già
in alto mare, la regina lanciata una tremenda maledizione contro Enea e la
sua discendenza, per poi
trafiggersi con la spada dell’Eroe sopra una pira.
Gregorio Lazzarini, Morte di Didone
Dopo varie peripezie, Enea e i suoi compagni sbarcano a Cuma,
in Campania, dove l'eroe, memore dei consigli di Eleno, si reca nel tempio di
Apollo ad interrogare la Sibilla Deifobe che, invasata dal dio durante il
vaticinio, gli rivela che riuscirà ad arrivare nel Lazio, ma per ottenere la
nuova patria dovrà affrontare odi e guerre, essendo inviso a Giunone.
L’Eroe chiede tra l’altro di poter scendere nell’Averno
per parlare con il padre morto da un anno. Raccolto un ramoscello d’oro,
prova indispensabile da superare per scendere nel mondo delle ombre in quanto chiave
degli inferi, e incontrato finalmente Anchise, Enea ha il privilegio di vedere
le anime dei discendenti che renderanno eterna Roma.
Giuseppe Gambarini, Enea stacca il ramo d’oro, 1712-14
Giunto nel Lazio Enea manda doni al re Latino che,
riconoscendo nell’Eroe il genero predetto da un oracolo del dio Fauno, lo
accoglie benevolo e gli promette in sposa la figlia Lavinia, già promessa dalla
regina a Turno, semidio figlio della ninfa Venilia e giovane re dei Rutuli.
L’odio diffuso dagli dei è ormai nei cuori dei latini che
preparano la guerra contro lo straniero; Enea, turbato viene incoraggiato dal dio
Tiberino
Giacomo del Po, Il dio Tevere, 1712-14
e dalla madre Venere che ha fatto preparare per lui, da Vulcano,
armi invincibili (e nello scudo rappresentate scene della futura storia di
Roma, dalla nascita di Romolo e Remo al trionfo di Augusto dopo la vittoria di
Azio).
Luigi Garzi, Venere nella fucina di Vulcano, 1712-14
Paolo De Matteis, Venere offre le armi ad Enea, 1712
Presto Enea si trova ad affrontare, suo malgrado, schiere
di nemici e altri lutti e dolori, fino a che, in uno scontro diretto uccide l’etrusco
Mesenzio, re spregiatore dei numi e alleato dei Rutuli e, dopo aver offerto
le sue armi come trofeo per Marte, lo stesso Turno, mentre gli dei del
cielo concludono tra loro un’alleanza.
Gregorio Lazzarini, Battaglia di Enea e Mesenzio, 1712
I Troiani possono così finalmente stabilirsi nel Lazio e
trascorrere la loro esistenza nella nuova terra conquistata. La città di Roma,
fondata nel 753 a.C., sorgerà sul Palatino per opera di Romolo, discendente di
Enea, dopo l'uccisione del fratello Remo.
Il personaggio principale, Enea, Eroe pius, è uomo
caro alla maggior parte degli dei: è un capo maturo e responsabile, si
sottomette completamente al volere degli dei, rispetta e venera il padre, è
attento verso il figlio, è leale ma ha momenti di incertezza e di dubbio. Per
il resto Enea incarna le virtù dei grandi personaggi romani:
1. Coraggio;
2. Lealtà;
3. Giustizia;
4. Clemenza;
5. Pietas, ovvero devozione verso gli dei e rispetto verso
gli uomini;
6. Pazienza;
7. Alto senso civico ed esaltazione dei valori di
cittadino romano (quelli che Augusto stava cercando di ripristinare).
La pietas, una delle doti di Enea,
rappresenta il senso del dovere, la devozione, il rispetto delle norme che
regolano i rapporti tra gli dei e tra gli uomini. Solo occasionalmente l'eroe
cede alla ferocia, come quando priva il giovane Tarquito della sepoltura,
impedendo così all'anima del nemico morto di raggiungere i cancelli dell'Ade.
Enea inoltre non rispecchia fedelmente i modelli
omerici, Achille ed Ulisse.
Egli non è curioso ma cerca solo il fato che lo fa andare
avanti, è valoroso ma non cerca guerre.
Il poema è stato composto in un periodo in cui a Roma
stavano avvenendo grandi cambiamenti politici e sociali: la Repubblica era
caduta, la guerra civile aveva squassato la società e l'inaspettato ritorno ad
un periodo di pace e prosperità, dopo parecchi anni durante i quali aveva
regnato il caos, stava considerevolmente mutando il modo di rapportarsi alle
tradizionali categorie sociali e consuetudini culturali. Per reagire a questo
fenomeno, l'imperatore Augusto stava tentando di riportare la società
verso i valori morali tradizionali di Roma e si ritiene che la composizione
dell'Eneide sia specchio di questo intento.
Con l'Eneide, inoltre, si tenta di legittimare l'autorità
di Giulio Cesare e, per estensione, di suo figlio adottivo Augusto e dei
discendenti: il figlio di Enea Ascanio, chiamato Ilo (da Ilio, nome alternativo
di Troia) viene rinominato Iulo e presentato da Virgilio come antenato della
gens Iulia, la famiglia di Giulio Cesare.
I Troiani secondo il poema furono gli antenati dei Romani,
mentre gli eserciti greci, che avevano assediato e saccheggiato Troia, erano i
loro nemici: tuttavia, all'epoca in cui l'Eneide è stata scritta, i Greci
facevano parte dell'Impero romano e, pur essendo un popolo rispettato e
considerato per la sua cultura e civiltà, erano di fatto un popolo
sottomesso. Virgilio risolve questo problema sostenendo che i Greci avevano
battuto i Troiani solo grazie ad un trucco, il cavallo di legno, e non con
una battaglia in campo aperto: in questo modo l'onore e la dignità dei
Romani restavano salvi.
Il testo dell'Eneide è quasi interamente dedicato alla
presentazione del concetto filosofico della contrapposizione. La più
facile da riscontrare è quella tra Enea che, guidato da Giove, rappresenta la pietas
intesa come devozione e capacità di ragionare con calma, e Didone e Turno che,
guidati da Giunone, incarnano il furor, ovvero un modo di agire
abbandonandosi alle emozioni senza ragionare.
Altre contrapposizioni possono essere facilmente
individuate: il Fato contro l'Azione, Roma contro Cartagine, il maschile contro
il femminile.
La pietas era il valore più importante di ogni
onesto cittadino romano e consisteva nel rispetto di vari obblighi morali: gli
obblighi verso gli dei, verso la patria, verso i propri compagni, e verso la
propria famiglia. Virgilio, infatti, insiste sulle forti relazioni presenti tra
padri e figli, e sul sentimento dell'amicizia al maschile tra commilitoni che
talora può sconfinare nell'eros.
Il principale insegnamento dell'Eneide è che, per mezzo
della pietas, si deve accettare l'operato degli dei come parte del destino.
Virgilio tratteggiando il personaggio di Enea allude chiaramente ad Augusto e
suggerisce che gli dei realizzano i loro piani attraverso gli uomini: Enea
doveva fondare Roma, Augusto deve guidarla, ed entrambi devono sottostare a
quello che è il loro destino.
Virgilio per la stesura dell'Eneide si ispira alla teoria
orfico-pitagorica, la quale affermava che l'anima è immortale. Questa si
fonda a sua volta sulla dottrina della metempsicosi, che consiste nella
trasmigrazione dell'anima dopo la morte in un altro corpo. L'autore rifiuta
quindi l'epicureismo, una filosofia elaborata da Epicuro che si basa sulla
credenza che gli uomini siano formati da atomi, che con la morte si disgregano.
Secondo questa teoria quindi non bisognerebbe aver timore della morte.
(il percorso artistico è lo stesso suggerito nel Palazzo Buonaccorsi di Macerata, e ricomprende tutti olii su tela)
Luca Giordano, Il duello di Enea e Turno
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