Per una comprensione del concetto di multi-level governance
È aprioristicamente innegabile che, ad oggi, le regole del gioco non si fermino alla democrazia procedurale, fondata sul principio di maggioranza, al contrario, sono collocate all’interno di un continuum di convivenza organizzata-terreni comuni-autocomprensione sistemica in una unità collettiva luhmannianamente intesa, sottendendo anche la funzione integrativa smendiana. I cataloghi dei diritti costituzionali non sono monodimensionali ma presentano, piuttosto, virtualità di equilibrio e contemperamento, infatti le Costituzioni si spostano dal fulcro del principio di legalità al fulcro di garanzie dei diritti, tanto che il legislatore è una unità problematica perché risulta un compromesso fra coalizioni-interessi diversi all’interno di policrazie dove l’elemento principale è il confronto; anche per questo Costantino Mortati – contro uno stato di legislazione – voleva un nesso garanzie/rigidità costituzionale, cogliendo il problema garanzia-diritti posti dal legislatore come una meta-garanzia rigida del pluralismo.
Ovviamente il passaggio da uno stato di legislazione ad uno costituzionale ha accentuato la dimensione sistemica, la tendenza attuale va verso un universalismo dei diritti, su base cooperativa ed interdipendente, in una dimensione pubblica allargata (regional-statal-internazionale), nell’ottica di un costituzionalismo multilevel e un’idea di cittadinanza in trasformazione (anche se non è chiaro se ciò voglia dire anche un irrigidimento delle identità collettive) e percorsa da un tensione omologativa (causa della secolarizzazione e della multiculturalità)-differenziativa (peculiarità ingroup).
La diversità viene assunta come la chiave di volta della risistemazione dei diritti nel costituzionalismo classico, poiché c’è un collegamento stretto diversità-sicurezza-solidarietà-eguaglianza (Denninger); la problematica si riconduce al desiderio di neutralità rispetto alle diverse concezioni del mondo (ad es. la reinterpretazione del problema nella CEDU), che porta, a sua volta, ad una cultura dei diritti secolarizzata e dispersa nelle cleavages, con dei rischi sottesi, quali una “commercializzazione” dei diritti fondamentali nelle decisioni del mercato delle società globalizzate. Il problema si pone anche per il rapportoche intercorre tra diritti e prestazione pubblica, legato alla crisi fiscale di uno stato elefantiaco da cui i privati cercano di liberarsi in una società differenziata e pluralistica dove emerge l’idea di cittadinanza attiva e di società del rischio (individualizzazione delle forme di vita), che pone a carico degli individui un continuo processo di armonizzazione e di autorealizzazione, nella tensione – però – di un quadro sociale di riferimento 1.
L’espansione sovrastatale europea per l’affermazione della pace del secondo dopoguerra, ha portato anche all’eliminazione delle barriere nazionali, sebbene tali le regole si fondino ancora al livello dello stato di diritto: l’internazionalismo si è associato al costituzionalismo nei metodi, proclamando un parlamento eletto, una Commissione che si comporta sempre più come un governo responsabile di fronte ad un parlamento, una CGCE giudice; un assetto istituzionale che supera la separazione tra diritto internazionale ed interno, costruendo una rete istituzionale a più livelli. Non è detto che questo nuovo networking sia espressione di maggiore democrazia (a livello di rappresentatività e opinione pubblica), ma rappresenta comunque il cammino intrapreso da alcune organizzazioni internazionali, tra cui Onu-Fmi-Omc; espressione democratica – secondo taluni – che sarà possibile solo quando altre aree regionali vi si siano adeguate (primi passi del Mercosur e dell’Asean).
L’UE ha adottato forme di governo multilivello che correggano le insufficienze della dimensione statale, dove la formula migliore sembra essere quella indiana, in cui spazi identitari multietnici e religiosi sono assegnati a priori, pur non essendo una formula meccanicamente esportabile (di modulata eguaglianza con cui hanno fronteggiato una società pluriclasse che è divenuta Stato pluriclasse); le democrazie del nostro tempo non sono più solo statuali e, per questo, come per l’assetto pre-statuale, sono democrazie difficili: il rinnovamento diviene dunque necessario laddove la democrazia non è un assetto staticamente definito, bensì un possibile equilibrio 2.
Iniziamo col dire che vi sono due tipi di multi-level: il Tipo I comprende il federalismo, con relazioni fra governo centrale e governi nazionali, con pochi livelli e basso grado di complessità; il Tipo II – in oggetto anche per la libertà d’associazione – ri-alloca, invece, il federalismo all’interno di un frastagliamento in scala, ad alta complessità sistemica a, e flessibile: questa assegna benefici e costi, include industrie e istituzioni, ma a livello di associazionismo – in una prospettiva di varietà di interessi e attori – include una policentricità ed una forte eterogeneità di gruppi 3. Per l’UE si arriva a parlare di metagovernance, per indicare un sistema di conferenze intergovernative e “conversazioni” sovracostituzionali, mettendo l’accento su un coordinamento complesso ed interdipendente, un framework sinergico che – anche per via del principio di sussidiarietà – fa capo a Consiglio e Commissione; ma che si dipana anche in network paralleli, autorità di regolamentazione, reti per l’innovazione tecnologica. Poiché la multi-level governance agisce su più livelli di sussidarietà, orizzontale e verticale, nel sistema europeo sembra emergere più un ordine negoziale, piuttosto che legami legalistico-formali, come fosse un network familiare di idee, per una governance “domestica”. Essa non si riferisce a relazioni intergovernative usualmente concepite, e, data la varietà degli attori non-pubblici, tende comunque a rimarcare la propria variabilità attraverso strutture gerarchiche simil-istituzionali. Ad ogni modo, è proprio la diversità degli attori a creare collegamenti multipli fra processi di governance a differenti livelli. A livello locale, prevale l’idea di negoziare direttamente con le istituzioni locali influenti, mentre le associazioni transnazionali hanno la possibilità di decidere se negoziare ad un livello superiore o inferiore; l’evoluzione delle strutture della multi-level governance contribuisce a costruire condotti innovativi fra il pubblico e le istituzioni coinvolte nella rete. Per questo,nel contesto di multi-level governance va chiarito il significato di democrazia e il ruolo della rappresentatività, nel segno di una moltiplicazione degli attori in gioco che ridimensioni il potere della singola associazione, e che possa aumentare la partecipazione proprio grazie alla complessità sistemica 4.
È piuttosto evidente come i gruppi di interesse si mobilitino intensamente nell’arena europea, ed è naturale che anche la Commissione prenda seriamente i loro input. Sono state mobilitate, a Bruxelles, organizzazioni nazionali e regionali di ogni tipo, ed il loro numero crescente dimostra la loro trasversalità in Europa (secondo i dati della Commissione circa 3000 lobbies hanno offerto lavoro a 10000 persone nel 1992). Queste non solo influenzano l’agenda setting europea, ma risultano influenti nell’assegnazione delle responsabilità per particolari iniziative, soprattutto per ciò che attiene al mercato comune (come si vede, ad esempio, dall’influenza nell’Agenda 2000) 5. Gli attori europei intensificano i contatti gli uni con gli altri creando associazioni transnazionali, stabilendosi direttamente a Bruxelles, chiedendo aggiornamenti rispetto alle iniziative europee, chiedendo canali formali per influenzare le rappresentanze dell’Unione. Si assiste quindi ad una moltiplicazione di canali associativi che vanno al di là della concezione stato-centrica o euro-centrica, come se fossero governi sub-nazionali (come dimostrano anche le relazioni del Committee of Regions) 6.
I proponenti di un capitalismo regolato hanno fatto sì che si parlasse di cooperazione volontaria fra gruppi, in più gradi, fino ad arrivare ad un “dialogo sociale” ed una “social partnership” che proceda per interessi afferenti, comprenda compressi sociali, e coinvolga i partiti; il tutto all’interno di un espace organisé 7. Addirittura, l’esperienza transnazionale va oltre la sovranazionalità, poiché si controllano più fattori e più variabili, in entrambe le versioni inter e intranazionale, che sono anche fonti di informazioni extra-istituzionali (nazionali ed europee) di alta qualità 8. Infatti, nelle situazioni che consentono alle persone di interagire, il processo di influenza a più direzioni è la norma più che l’eccezione: quando un gruppo è impegnato in un determinato compito è facile che il risultato collettivo scaturisca da un gioco di reciproche influenze 9.
Valori cristallizzati nell’ordinamento europeo
Ma non bisogna dimenticare nemmeno quei valori metagiuridici poi cristallizzati in principi-base del nostro ordinamento europeo (o per lo meno in gran parte di esso…): l’umanità del diritto è sicuramente il primo punto fermo su cui insistere, dimensione intersoggettiva, relazione fra più soggetti (pochi e molti), contrassegnata dalla sua sostanziale socialità. Il referente necessario del diritto è soltanto la società, la società come realtà complessa, vero e proprio limite per la volontà ordinante impedendo che questa degeneri in valutazione meramente soggettiva 10. L’ordine giuridico autentico attinge allo strato dei valori di una comunità per trarne quella forza vitale che nasce unicamente da una convinzione sentita, è quell’ethos - costume accomunato dalla vicenda storica - ampio e aperto che riesce a caratterizzare un ethnos 11.
D’altra parte il richiamo alla stessa teoria internazionalistica dei poteri impliciti, permette di concludere che, se la tutela dei diritti dell’uomo è obiettivo insito ormai nel diritto comunitario, non può che riconoscersi implicitamente a tutti i soggetti di tale ordinamento il potere/dovere di fare quanto più è possibile (o perlomeno quanto è indispensabile) perché tale obiettivo sia realizzato 12. Lo afferma anche la Sent. 15 dicembre 1995 CGCE, caso Bosman (conclusione Lenz) b: per questo, il principio della libertà d’associazione, come garantito dall’art. 11 CEDU, e scaturente dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fa parte dei diritti fondamentali che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, peraltro riaffermata dal preambolo dell’Atto unico europeo 1986 e dall’art. F.2 TUE, sono oggetto di tutela nell’ordinamento giuridico comunitario (tuttavia, non si può ritenere che norme emanate da associazioni sportive e capaci di ostacolare la libera circolazione degli sportivi professionisti, siano necessarie per garantire alle dette associazioni, alle società calcistiche o ai calciatori l’esercizio di tale libertà o ne costituiscano una necessaria conseguenza).
Per un cosmopolitismo kantiano nell’Unione europea
Le grandi burocrazie statali e i grandi monopoli privati, si osserva sulla scia del filone comunitario della filosofia politica americana, avrebbero eclissato la società civile descritta da Tocqueville, con i suoi valori di spontanea adesione alle associazioni e alla sfera civica indispensabili alla democrazia. In questa prospettiva, occorrerebbe liberare le virtù del terzo settore, espresse da una società civile inascoltata con un nuovo sviluppo delle libertà fondato sulla partecipazione attiva dei cittadini nelle manifestazioni di sovranità, e una sintesi della libertà degli antichi con quella dei moderni, che immunizzerebbe altresì i cittadini dai rischi di manipolazione delle loro opinioni. Su questo presupposto affine, la metafora dell’«antisovrano» mira a designare un qualcosa di contrapposto al sovrano in quanto indefinibile con le categorie della tradizione scientifica del diritto pubblico: una pluralità indeterminata di soggetti che pretendono di ordinare non un popolo ma la totalità dei gruppi sociali, in un’ottica di rovesciamento dei rapporti stato-società civile. Anche secondo la concezione di democrazia cosmopolita, si farebbe appello non tanto alla mancanza di istituzioni rappresentative, quanto alla carenza di tutela dei diritti fondamentali e alla tutela del principio di autonomia, sino ad arrivare all’utopia di un diritto democratico cosmopolita di matrice kantiana.
Nell’arco di ottanta anni, la nascita di nuove associazioni, anche a livello internazionale, lascia sperare nella crescita di partecipazione delle associazioni ai processi decisionali in questi sistema reticolare, con l’affermazione di circuiti di responsabilità: il restringimento delle chances a livello di formazione delle decisioni, le vede allargare e specificare negli ambiti stessi della dislocazione dei poteri pubblici e privati 13.
Si discute sulla natura giuridica delle Comunità europee ed in particolare se si tratti di vere e proprie organizzazioni internazionali – ossia di organizzazioni fra Stati sovrani che traggono dal diritto internazionale, attraverso i rispettivi trattati istitutivi, i loro poteri – oppure di embrioni o frammenti di Stati federale, caratterizzati dalla erosione, nelle materie di competenza comunitaria, delle sovranità statali. Senza dubbio le comunità presentano elementi che non si riscontrano in alcuna organizzazione internazionale, come gli ampi poteri decisionali attribuiti ai loro organi, la loro sostituzione agli Stati membri nella disciplina di molti rapporti puramente interni a questi ultimi, l’esistenza di una Corte di giustizia destinata a controllare la conformità dei loro trattati istitutivi dei comportamenti degli organi e degli Stati membri (ricomposizione da parte della CGCE e della CorteEDU verso uno standard europeo, anche quando manchi una garanzia costituzionale, attraverso una politica cultural-costituzionale 14). Senza dubbio tra i principi del diritto comunitario, così come delineati dai trattati istitutivi della Comunità ma ancor più così come essi si sono venuti affermando nella prassi sia comunitaria che interna agli Stati membri, ve ne sono alcuni che sono propri del vincolo federale, primo fra tutti il principio della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno. Ciò nonostante le Comunità nel loro complesso restano, almeno allo stato attuale delle cose, delle organizzazioni internazionali sia pure altamente sofisticate, la sovranità degli Stati membri non potendo considerarsi degradata 15. Ad ogni modo, ai Trattati delle Comunità Europee dovrebbe in verità riconoscersi una natura giuridica diversa da quella di una Costituzione, innanzitutto proprio per il loro esser tali, giacché la loro stessa esistenza e la loro permanenza dipendono dall’accordo degli Stati contraenti 16. Tuttavia, la Corte di Giustizia ha sviluppato una giurisprudenza diretta a riconoscere loro la natura di una vera e propria Costituzione e li ha definiti «la carta costituzionale di una comunità di diritto» (parere n. 1/1991, si parla di “Trattati-Costituzione”) 17.
In sistemi sociali come il nostro, fondati sul “principio di libertà”, ciascuna persona deve essere libera di stabilire quali sono i propri interessi e, tendenzialmente, di soddisfarli nel modo che ritiene il migliore. Tuttavia raggiungere questo obbiettivo è possibile soltanto in parte, in primo luogo perché ci sono degli interessi che non possono essere soddisfatti da ciascuno individualmente; ci sono, infatti, interessi la cui soddisfazione presuppone necessariamente l’appartenenza ad un gruppo sociale con un certo tipo di composizione e la soddisfazione degli interessi di alcuni può essere inconciliabile con la soddisfazione degli interessi di altri, sia sotto il profilo oggettivo (perché le risorse sono insufficiente a soddisfare gli interessi di tutti) che sotto il profilo soggettivo (gli interessi di alcuni possono essere incompatibili con quelli di altri). Perché il gruppo sociale, la società, possa sopravvivere sarà naturalmente necessario che il diritto di ciascuno di individuare e curare liberamente i propri interessi si accompagni al “dovere di solidarietà” nei confronti degli altri. Ma sarà anche indispensabile, da un lato, che il gruppo sociale nel suo complesso si dia delle apposite “organizzazioni”, con delle scelte preliminari per stabilire quali interessi siano da preferire 18. In una serie di sentenze assai note la Corte di Giustizia delle Comunità ha ritenuto che la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, ancorché non espressamente previsti dai Trattati CE, CECA ed EURATOM, non sia estranea al diritto comunitario, che quivi essa sia rilevabile per sintesi tenendo presenti le «tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri» nonché le Convenzioni sui diritti umani vincolanti tali Stati e che siffatta sintesi debba procedere attraverso la Corte nella funzione di controllo del rispetto del diritto comunitario. Un altro strumento al quale la Corte può oggi fare riferimento è, poi, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, solennemente proclamata a Nizza nel dicembre 2000 dal Consiglio dell’Unione, ma priva di forza vincolante. La Carta, da considerare una sorta di Dichiarazione di principi a livello regionale, ovverosia non autonoma fonte di norme internazionali generali, attinge ai trattati sui diritti umani preesistenti; pur tuttavia c’è chi, più entusiasticamente, la considera il primo nucleo di una Costituzione degli Stati Uniti d’Europa 19.
Se, infatti, per molti aspetti l’ordinamento comunitario ha acquisito connotati peculiari che gli hanno meritato la qualifica di organizzazione sovranazionale, in relazione, invece, al ruolo delle Regioni, la Comunità europea mostra tutt’ora il suo volto di «associazione di Stati», mentre «l’Europa delle Regioni» - da più parti auspicata sia in sede dottrinale, sia in sede istituzionale e politica – si presenta tutt’ora come una meta, collocata in un futuro incerto 20.
Per una riduzione dei casi dei diritti non tutelati e per una scorporazione della libertà d’associazione
Sebbene, l’art. 22 TCE preveda una procedura per emanare «disposizioni intese a completare i diritti previsti» negli articoli precedenti (relativi al diritto di cittadinanza e affini), occorre tuttavia «l’adozione da parte degli Stati membri, conformemente alle loro rispettive norme costituzionali» di questi ultimi per assicurarne l’effettiva tutela. Si prospetta così l’eventualità di un arricchimento dello status del cittadino dell’Unione senza ricorrere ad una modifica del Trattato 21. È certo che la tutela dei diritti fondamentali si è notevolmente sviluppata sul piano comunitario, riducendo così le ipotesi in cui non risultano tutelati diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. Tuttavia, come la stessa Corte Costituzionale ha rilevato più tardi (sent. 21 aprile 1989 n. 232, in «Giur. Cost.», 1989, I, p. 1001), «quel che è sommamente improbabile è pur sempre possibile; inoltre, va tenuto conto che almeno in linea teorica generale non potrebbe affermarsi con certezza che tutti i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale si ritrovino fra i principi comuni agli ordinamenti degli Stati membri e quindi siano compresi nell’ordinamento comunitario» 22: appurato che la libertà di associazione è presente sin dalla CEDU, la scorporazione della libertà di associazione da quella di riunione è un corollario ai diritti fondamentali dell’individuo? E – ancora – laddove quest’ultima fosse presente anche nelle Costituzioni statali, in che modo si inserirebbe nella governance multilivello europea?
Il principio di sussidiarietà può sopperire al deficit democratico?
L’unico metodo che può consentire di affrontare con successo le sfide, poste dal deficit democratico, cui si trova di fronte l’Europa secondo taluni è rappresentato dal metodo federale; ma ciò è contrastato dall’istinto di conservazione degli Stati nazionali, così come contrastata è la delega a livello sovranazionale del processo legislativo e/o la rinunzia a parti di sovranità. Ed è anche vero che la dottrina si applica grandemente a spiegare che l’esperienza dell’Unione Europea ha superato la dicotomia Stato nazionale-Stato federale, realizzando una formula integrativa del tutto nuova ed originale. I contorni di tale nuova formula appaiono, però, fumosi, mentre i nodi cruciali dell’integrazione comunitaria restano, di revisione in revisione dei Trattati, irrisolti. C’è ancora vuoto - a livello di multi-level – da colmare 23, tanto che ciò si ricollega direttamente al principio di sussidarietà così come derivante dall’art. 5 TUE, funzione di freno all’ampliamento dell’area degli interventi comunitari, a tutela delle competenze degli Stati membri 24.
Il principio di sussidarietà, che muove dal presupposto che le decisioni debbano essere assunte al livello più vicino possibile ai destinatari, ricomprende anche una impostazione essenzialista, oltre che funzionale: la delimitazione delle competenze, infatti, è considerata espressione di valori «inviolabili». Tali confini esprimono una visione dell’umanità che attribuisce un profondo valore all’ esistenza di distinte comunità minori all’interno delle comunità politiche di più ampie dimensioni. L’obiettivo fondamentale della divisione delle competenze è quello di preservare le singole comunità, in modo tale da non subire oppressione da parte dei gruppi sociali più forti, oltre che prevenire la concentrazione del potere in un solo livello di governo, tanto che questa non-concentrazione è considerato un valore in sé 25. Si travalicano, dunque, le esigenze di decentramento e di armonizzazione (artt. 1 TUE e 5 TCE), fino ad essere, la sussidiarietà, uno strumento per sviluppare sinergie nella risposta alle sfide delle società plurali contemporanee 26.
Il discorso democratico e l’impegno sui diritti presuppongono la costante presenza di un’opinione pubblica attiva, impegnata in molteplici dinamiche discorsive; ma questo scenario, che può rappresentarsi solo sullo sfondo di un landscape disegnato da una cultura politica diffusa, sembra smentito da un quadro in cui i soggetti politici tradizionali hanno ormai cessato – o comunque faticano moltissimo– ad interpretare il ruolo di operatori simbolici, non sono cioè più capaci di orientare l’immaginario collettivo, nemmeno per quel segmento che più direttamente attiene al discorso politico. Queste difficoltà riguardano anche la possibilità di costituzione di una sfera pubblica, di un’opinione pubblica europea. La sussidarietà dovrebbe costituire un criterio capace di affrontare nel modo migliore la sfida della integrazione di molteplici stati costituzionali, del raccordo fra livelli di governo di ampiezza differente. Da questo punto di vista si assiste ad una moltiplicazione, di per sé confortante, delle istanze dei soggetti che possono contribuire alla costituzione di una sfera pubblica condivisa: d’altra parte, però, tali forme stentano visibilmente a costituirsi attraverso il paradigma democratico-pluralista, poiché il rischio che si profila è che i percorsi della cittadinanza europea si indirizzino piuttosto a convalidare forme di dislocazione del potere centrare su una legittimazione tecnocratica ed oligarchica 27.
Bisogna tener presente, inoltre, che la portata pratica del principio di sussidarietà è ancora incerta, tanto che – seppur l’area definita dalle materie attribuite alle competenze degli apparati comunitari enumerate dai Trattati sia estremamente ampia – si prevede più che altro una sussidarietà verticale-istituzionale, rispetto ad una orizzontale – ovviamente strettamente confacente alla nostra libertà d’associazione -, poiché la Comunità interviene «nei settori che non sono di sua esclusiva competenza…, secondo il principio di sussidarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obbiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni e degli effetti delle azioni in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario» (sempre art. 5 TCE) 28. L’applicazione di questo principio avviene comunque in senso bidirezionale, sia come modulatore di contenimento sia di una estensione delle competenze di tutte le istituzioni, di ciascuna rispetto alle altre o di quella agente a livello più prossimo rispetto a quelle agenti a livello meno prossimo ai cittadini, in funzione dell’esigenza che sia reso il miglior servizio possibile alla società, secondo due test (richiamati anche dalla Commissione): 1) una “prova di efficacia comparata” volta a verificare “l’esistenza di mezzi a disposizione degli Stati membri”, anche sul piano finanziario, per raggiungere gli obiettivi 2) una “prova del valore aggiunto” volta a giudicare “l’efficacia dell’azione comunitaria” 29.
L’identità dell’Europa sta proprio nel suo non avere un’identità rigida, nel suo essere, a partire dalla storia del Mediterraneo, una realtà di accoglienza, cioè una identità in cui una volta l’Europa e l’Asia erano due “sorelle”. Nei Persiani, la madre di Serse, sogna le due donne, la donna dorica e la donna asiatica, che rappresentano due mondi: il mondo della libertà e quello del vincolo 30. Da queste premesse teoriche è derivato un indubbio ampliamento di prospettiva nella considerazione del fenomeno del mercato, anzitutto per quel che riguarda la «socialità» di esso. La società aperta esige insieme, è stato osservato, libertà del mercato e libertà di associazione. Nelle moderne società liberali, infatti, il mercato non è solo il luogo della liberazione dell’individuo da ostacoli e pastoie di ogni sorta, ma anche quello delle «libere associazioni», della scoperta di forme di cooperazione, che si traducono non solo nelle libertà dei privati di cooperare con altri soggetti per il perseguimento dei propri interessi, ma altresì di corrispondenti diritti, istituzioni, strumenti di azione regolati 31.
Estensione dell’associazionismo per mezzo del demoi multiplo. Un’utopia?
La cittadinanza democratica (citizenship) fonda una solidarietà tra estranei relativamente astratta e comunque giuridicamente mediata. Si tratta di una forma di integrazione sociale formatasi a partire dallo stato nazionale, e che si realizza come un contesto di comunicazione coinvolgente in sé la socializzazione politica. Ciò che lega insieme una nazione di cittadini – a differenza di una nazione di connazionali in senso etnico (Volks-nation) – non è una qualche forma di sostrato primordiale, bensì il contesto intersoggettivamente condiviso di un’intesa possibile; lo stato costituzionale ha assunto l’obbligo di garantire all’occorrenza l’integrazione sociale nelle forme giuridicamente astratte della partecipazione politica e di uno status di cittadinanza costruito per via democratica: perciò, da un punto di vista normativo, nessuno stato federale europeo potrà mai fregiarsi del nome di «Europa democratica» se, nell’ambito di una cultura politica condivisa, non si sarà formata una sfera pubblica integrata su scala europea, una società civile con i propri gruppi di interesse, organizzazioni non governative, movimenti civili, nonché un sistema di partiti adeguato all’arena europea. Insomma, se non si sarà prima formato un «contesto di comunicazione» trascendente i limiti delle sfere pubbliche finora circoscritte in senso nazionale 32.
Il riferimento al demoi multiplo, in questo contesto, si estrinseca in tre visioni, ovverosia nell’approccio a cerchi concentrici, con un senso di identità che deriva dalla medesima fonte, uno stesso sentimento di appartenenza anche se con livelli diversi di intensità, talvolta obbligati (italiano ed europeo ad esempio, dove in caso di conflitto prevarrà il più forte); a due demoi di matrice organico-culturale diversa (ad esempio italiano-europeo e cattolico); il demoi a geometria variabile, dove oltre alla prospettiva organico-culturale volontaristica compare una dimensione civilizzatrice che lascia «aperta» la categoria, sino a ricomprende demos sempre più distanti dal Sé in un’ottica globalizzante 33. È ovvio che nel contesto della multi-level governance, così come reinterpretata dalla nostra libertà di associazione, è a questa terza ottica che bisogna rifarsi.
È esatto, dunque, rilevare che «la cittadinanza europea si presenta in definitiva come una cittadinanza satellite di quella nazionale», tanto che il regime della cittadinanza dell’Unione, a parte alcune peculiarità non decisive, coincide con quello tipico del diritto internazionale, che riserva appunto agli Stati la parola definitiva nella decisione su chi e come sia da considerare cittadino 34. Tanto per fare un esempio, dinanzi alla constatata inadeguatezza delle risposte di tipo politico e dei normali meccanismi del pluralismo democratico, affiora l’esigenza di nuovi istituti – quali i Comitati etici - che rendano operanti le condizioni di una comunicazione sociale, i quali ben rappresentano le realtà della situazione etica vissuta e sono un meccanismo di responsabilizzazione degli attori sociali coinvolti. Le questioni etiche fondamentali dividono infatti, per così dire, trasversalmente classi, partiti, organizzazioni professionali al cui interno emergono tensioni e fratture che si collocano al di là dei confini ideologici classici 35.
Un omaggio a Spinelli
L’odierna UE, sebbene ancora caratterizzata nel suo funzionamento dall’adozione di un sistema di diplomazia multilaterale, si fonda sulle comunità preesistenti e le ricomprende nel quadro d’insieme, in cui il trattato colloca le diverse forme di disciplina del processo integrativo. Alle basi dell’Unione troviamo, dunque, l’ordinamento del mercato unico, il sistema giuridico da cui, introdotta la cittadinanza comune, scompare, ogni giorno di più, la discriminazione degli individui secondo la cittadinanza nazionale; in sostanza, l’albore di un federalismo alle radici della società, appunto perché essa si forma dove vi è già una sfera di co-fruizione transnazionale di diritti individuali: diritti fondamentali della persona umana, del suo nuovo status di cittadino europeo 36.
La necessità del coinvolgimento delle realtà sub-statali non può «saltare» la dimensione istituzionale e i procedimenti di coordinamento dello Stato nazionale; pur tuttavia l’espressione «Europa delle regioni» è di per sé positiva per sottolineare il moto di «prossimità» che si è andato propagando nella governance dell’Unione. L’organizzazione sovranazionale tende a favorire la massima omogeneità di condotta tra le sue componenti, secondo standard spesso ritagliati intorno alla presunta normalità dei membri più forti, ma che cerca di creare anche asimmetrie, cerchi concentrici, nuclei duri. Ed è per questo che secondo taluni autori (Manzella) è necessario il coordinamento dello stato nazionale 37; senz’altro – aggiungiamo noi – senza dimenticare il contributo delle associazioni alla formazione del multilivello europeo.
Di primaria importanza è la «nazionalizzazione» della questione europea, attraverso elezioni, referendum, politiche di bilancio, partiti, comunità culturali, lobbies che, in tutti gli Stati europei, dentro e fuori dell’Unione, hanno per fuoco principale i problemi dell’integrazione continentale; in fondo, secondo Dahrendorf «non si può produrre l’unità politica dell’Europa senza che i cittadini se ne accorgano», sebbene ci sia una mancata utilizzazione da parte dei meccanismi di governo dell’Unione di quel potenziale civico che si è costituito proprio con la «politicizzazione» di istituti, procedure e categorie del diritto comunitario divenuto, da diritto sezionale, diritto generale 38.
Non si può immaginare che gli individui compiano l’azione di mettersi in società e, prima di essere in società, siano degli individui razionali, in grado di “valutare il bene e il male” (esistendo prima della società). In realtà gli uomini sono da sempre socializzati, e non si può immaginare il passaggio di un ipotetico stato di natura ad uno stato civile (Platone). La vera garanzia dei diritti è il modo concreto di essere della società, non la pura e semplice enunciazione di “principi astratti”: non si può concepire l’autonomia degli individui se non c’è l’autonomia collettiva, se non c’è il principio dell’autogoverno sociale.
Non è un caso, del resto, che proprio in questi settori alla cosiddetta crisi dello Stato sociale si stia ancora confusamente rispondendo attraverso la costituzione di comunità volontarie per l’accoglienza e l’assistenza di associazioni per il controllo dei poteri pubblici, e che il volontariato e le sue organizzazioni stanno dando vita al più interessante fenomeno di rifondazione di una sfera sociale dei rapporti interpersonali e di solidarietà, sottratti alla logica perversa della istituzionalizzazione dei bisogni umani 39.
Ancora la CEDU. E le ONG.
Non può negarsi che attraverso il “metodo” della Convenzione si sia concretizzata nello spazio giuridico europeo una nuova forma di coinvolgimento dei Parlamenti nazionali ad un livello superiore rispetto a quello della formazione degli atti comunitari di diritto derivato, interpretabile anche come una prima risposta “strutturale” all’esigenza di aprire una fase costituente interparlamentare in Europa che contribuisca a delineare un modello di organizzazione e di legittimazione multi-livello delle politiche istituzionali dell’Unione, corrispondente ai diversi livelli di rappresentanza e di governo all’interno del sistema costituzionale europeo. In vista di una UE accresciuta come “comunità di valori”, anche attraverso il principio di omogeneità, significativamente presente in tutti i processi di federalizzazione – anche se c’è da vedere se di questo si tratta, e fatta salva la possibilità di una instaurazione del principio federativo senza uno Stato federale (come sostiene il Miccù) – e tipico delle costituzioni di comunità politiche organizzate su più livelli di governo, siano o meno identificabili in uno Stato. Si può parlare di tal principio quando l’armonia tra una pluralità di ordinamenti conduce regolarmente a determinate conseguenze nel rapporto reciproco tra le diverse unità che lo compongono 40. E la clausola dell’ordinamento composito e multi-livello europeo, suo emblema, è contenuto nella Sent. 12 ottobre 1993 Corte Costituzionale Tedesca, caso Maastricht c, tesa a riaffermare una valorizzazione della diversità, in un contesto di assenza di un popolo europeo omogeneo (S. Panunzio) 41.
Di estrema importanza è anche la funzione di integrazione della comunità politica federale, quella intesa a ‘costruire’ il senso di appartenenza, quel comune “sense of belonging” in cui si sostanzia l’identità complessiva di una comunità. A questo riguardo vi rientrano le teorizzazioni smendiane sulla integrazione come processo continuo che caratterizza la vita di una comunità politica, un processo che si realizza attraverso la combinazione di vari elementi, da quello personale, a quello funzionale, a quello materiale, per mezzo di una pluralità di unità associative che stanno in rapporto fra loro 42.
Tra tutti i “parametri di riferimento” adoperati dalla Corte di giustizia nella sua attività di supplenza legislativa, la CEDU costituisce sicuramente la fonte extra-comunitaria “privilegiata”. Essa rappresenta del resto il primo tentativo politico-giuridico, realizzato nell’area continentale del secondo dopoguerra, di garantire, una tutela sovranazionale delle più importanti prerogative legate alla persona umana, comunque non ricollegabile al diritto internazionale tout court, non un doppione della DUDU del 1948 avente come unica peculiarità quella di essere stato impiantato in un più ristretto contesto geografico e territoriale 43.
Sebbene ci siano delle restrizioni previste dalla CEDU, per la prevenzione di abusi sulle libertà (per esempio ex art. 15 CEDU (guerra, pericolo pubblico); o, ancora, secondo requisiti di legalità, di finalità come da art. 8.2: sicurezza nazionale, ordine pubblico benessere economico del paese, prevenzione dei reati, protezione della salute e della morale, protezione dei diritti e delle libertà altrui; o, infine, in una condizione di necessità, cioè in vista del rispetto della democraticità della società, come anche riaffermato nell’art. 17), si può affermare che è inerente alla struttura stessa del sistema di protezione un equilibrio fra gli interessi legittimi dell’individuo e quelli altrettanto legittimi della collettività 44, poiché la libertà di associazione non può essere sussistere se non anche, e grazie, alla protezione delle opinioni personali offerta dagli artt. 9 e 10 CEDU, sotto la forma della libertà di pensiero, di coscienza e di religione e della libertà di espressione.
Ma nella CEDU, il canale privilegiato, e che, quindi, conferisce particolare status e figura di primo piano nella libertà di associazione così come inserita nella multi-level governance europea, è quello sindacale: l’art. 11 CEDU assurge il sindacalismo, la difesa degli interessi di natura professionale, ad associazionismo di primo piano nell’influenza istituzionale da parte della società civile, che non si divide comunque dalla matrice economica. La difesa degli interessi professionali degli aderenti ad un sindacato deve potersi attuare attraverso l’azione collettiva, azione di cui gli Stati contraenti debbono rendere possibile lo svolgimento e lo sviluppo. Ne consegue che, per difendere i loro interessi, i membri di un sindacato hanno diritto ad essere sentiti. È evidente che la CEDU ha inteso lasciare ad ogni Stato la scelta dei mezzi di usare a tal fine; la consultazione ne costituisce uno, ma ve ne sono altri; peraltro, secondo la giurisprudenza di Strasburgo la CEDU non consacra esplicitamente, in quanto tale, il diritto di sciopero dato che esso non è ritenuto essenziale per la difesa di tali interessi.
L’articolo 11 CEDU ha innovato per quanto riguarda il diritto di associazione detto negativo. Intacca la sostanza stessa di questo articolo l’esercizio di pressioni tendenti a forzare qualcuno ad aderire ad una associazione contrariamente alle sue convinzioni. Ciò vale anche per l’appartenenza sindacale obbligatoria prevista, ad esempio, per quanto riguarda il sistema detto del monopolio di assunzione: pronunciandosi nel merito la Corte ha ritenuto che l’articolo 11 deve essere interpretato nel senso che non autorizza licenziamenti consecutivi al rifiuto di aderire ad un sindacato 45.
D’altro canto, l’importanza dell’associazionismo sindacale, balance europea fra statalità e sovrastatalità, è confermato dalle numerosissime disposizioni in materia, a cominciare dall’art. 11 Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori (con Ris. 22 novembre 1989), riguardante la libertà d’espressione, d’informazione, di pluralismo dei media; sino a finire nell’ambito OIL con la Convenzione n. 11 concernente il diritto di associazione e di coalizione dei lavoratori agricoli (Ginevra, 12 novembre 1921), che tutela l’associazionismo del primo e del secondo settore (art. 1), con la Convenzione n. 87 concernente la libertà sindacale e la protezione del diritto sindacale (S. Francisco, 9 luglio 1948), sull’associazionismo dei lavoratori e datori di lavoro, risolvendone in parte la dicotomia, con la Convenzione n. 135 concernente i rappresentanti dei lavoratori (Ginevra, 21 giugno 1971), che tutela in particolar modo i rappresentanti dei lavoratori 46.
Un altro aspetto è poi da considerare: il carattere degli aggregati collettivi per essere riconosciuti, ed effettivamente ed efficacemente inseriti nel vari livelli europei di estrinsecazione della società civile nella sua interezza.
Se il vincolo associativo è coercitivo (e quindi non c’è base volontaria o uno scopo comune) non si è in presenza di associazioni ma di istituzioni di diritto pubblico, con un approccio diverso, ad esempio, rispetto all’interpretazione costituzionale italiana: le garanzie dell’autonomia delle formazioni sociali non investono nella CEDU le corporazioni pubbliche ad appartenenza obbligatoria, come da artt. 2 e 18 Cost. italiana e sent. CC 69/1962 o 239/1984; poiché la CEDU è uno strumento vivente, da interpretare alla luce delle condizioni in cui essa si trova concretamente ad operare, come si è affermato nella sent. Soering vs. UK 1989, la CGCE ha superato l’interpretazione restrittiva – con la sent. Sigurjonsson vs. Islanda 30 giugno 1993 d - della precedente Sent. 13 agosto 1981, caso Young, James e Webster [serie A/44] ribadendo che le corporazioni pubbliche costituiscono un’area che offre maggiori resistenze al raggio d’azione dell’art. 11: hanno prerogative esorbitanti di natura amministrativa, normativa e disciplinare, non sono nemmeno configurabili come associazioni, tuttavia c’è il limite che la creazione da parte dello stato non deve impedire agli aderenti ad esse di fondare libere associazioni professionali o di aderirvi, con l’obbligo positivo per gli Stati di non ledere o far ledere tale libertà, e di assicurare la pacificità dell’associazione 47.
Ora, il diritto di non associarsi è temperato da vincoli di adesione obbligatoria che possono trovare giustificazione nella protezione dei diritti e delle libertà altrui, riconoscendo ampi margini di discrezionalità statale rispetto alla necessarietà e proporzionalità rispetto alle finalità statali; pur tuttavia una violazione della libertà individuale sussiste quando non lascia alcuna possibilità di scelta individuale, ovvero «un’alternativa ragionevole» (sent. 20 aprile 1993, caso Sibson vs. UK), distinguendo inoltre tra affiliazione non obbligatoria agli ordini professionali, a quella obbligatoria su base contrattuale (ricorrendo alle diversità: base legale-contrattuale, statuto pubblicistico-privatistico, prevalenza interesse pubblico-privato) 48. In ambito di multi-level governance, questo significa che
La Cour octroie cette double dimension substantielle et procédurale à la pluspart des droits garantis par la CEDH. Cette double dimension n’est pas monolithique en ce sense que la violation de la dimension substantielle n’entraîn pas automatiquement la violation de la dimension procédurale et viceversa. Cette dissociation de la double dimension des droits garantis permet à la Cour de choisir alternativement l’aspect le plus protecteur en fonction de l’espéce concernée 49.
Insomma, la doppia dimensione che riconosce la CorteEDU alla libertà d’associazione, procedurale e sostanziale, fa sì che il piano associativo si estrinsechi in un’ottica multi-livello, attraverso la sostanzialità delle relazioni, che varia a seconda del contesto storico, dell’espansione dei diritti, del riconoscimento più forte della dimensione associativa e con essa della c.d. “cittadinanza attiva”, del ruolo più o meno forte – per lo meno percepito dai cittadini – delle istituzioni.
Tutte le sentenze, a partire dalla Sent. 13 agosto 1981, caso Young, James e Webster [serie A/44] e 50, passando per la Sent. Partito comunista unificato vs. Turchia, 30 gennaio 1998 f, sino ad arrivare alla Sent. 10 luglio 1998, caso Sidiropoulos g – che nello specifico riguarda la tutela delle minoranze -, ci fanno capire come ci sia stato uno sviluppo della libertà di associazione in senso espansivo, in un continuum che riconosca non solo il diritto negativo di non associarsi, ma che veda la loro tutela sempre più allargata (a cominciare proprio dai partiti, dalle minoranze, oltre che dai sindacati), in considerazione del fatto di un’importanza sempre più forte, e tramite un processo bottom-up, della società civile inserita in un contesto di multi-level governance, che può assurgere a fattore di complementarietà delle assenze o delle carenze del livello statale o sovrastatale.
La vicenda dei rapporti fra la CEDU e l’ordinamento comunitario appare, sotto questo profilo, emblematica. Un rapporto non privo di tensioni, che affondano le radici nella storia e nella configurazione differente dei due ordinamenti: con aspirazioni a dar vita ad un sistema complessivo di protezione di una «coscienza europea» dei diritti fondamentali, quello della CEDU; con una spiccata accentuazione funzionale quello comunitario. L’uno formatisi sul tronco di organizzazioni non governative (ruolo importante delle ONG che però non riguardano la dimensione europea ma quella internazionale), l’altro attraverso trasferimenti di sovranità da parte degli stati 51.
Una ONG è una organizzazione indipendente dai governi e dalle loro politiche; generalmente, anche se non sempre, si tratta di organizzazioni non aventi fini di lucro, che ottengono almeno una parte significativa dei loro introiti da fonti private, per lo più donazioni; l'espressione organizzazione non governativa, è stata menzionata per la prima volta nell'ambito delle Nazioni Unite, visto che a tutelarle vi è l'art. 71 della Carta costituzionale dell'ONU, la quale prevede la possibilità che il Consiglio Economico e Sociale possa consultare "organizzazioni non governative interessate alle questioni che rientrano nella sua competenza". Le ONG esistono per una miriade di scopi, tipicamente per portare avanti le istanze politico-sociali dei propri membri, spesso trascurate dai governi. Alcuni esempi sono: il miglioramento dell'ambiente, l'incoraggiamento dell'osservazione dei diritti umani, l'incremento del benessere per le fasce di popolazione meno benestanti, o per rappresentare un'agenda corporativa, ma ci sono tantissime organizzazioni e i loro scopi coprono un'ampia gamma di posizioni politiche e filosofiche. Tipicamente fanno parte del movimento ecologista, pacifista, laburista o dei popoli indigeni, e non sono affiliate formalmente ad alcun partito politico o punto di vista che non siano i diritti umani o la pace o l'ecologia o la tolleranza. Le ONG impiegano metodi diversi tra loro: alcune agiscono principalmente come gruppi di pressione politica, altre conducono programmi che aiutano il loro scopo, mentre le relazioni tra finanza, governi e ONG possono essere abbastanza complesse e talvolta antagonistiche, particolarmente nel caso di ONG che si oppongono ad alcune attività governative o finanziarie; un settore importante e specifico sono le ONG di cooperazione allo sviluppo: libere associazioni, create da privati cittadini che, per motivazioni di carattere ideale o religioso, intendono impegnarsi a titolo privato e diretto, per dare un contributo alla soluzione dei problemi del sottosviluppo, principalmente quelli del "sud del mondo". Non avendo fonti di finanziamento istituzionali, ed essendo per statuto senza finalità di lucro, in ragione della filosofia umanitaria e sociale che le anima, realizzano le loro attività grazie a finanziamenti esterni; si basano comunque anche sull'apporto di lavoro volontario, gratuito o semigratuito, offerto da membri e simpatizzanti (i due caratteri essenziali per definire un' organizzazione non governativa di cooperazione allo sviluppo, sono quindi costituiti dal carattere privato, non governativo dell'associazione, e da quello dell' assenza di profitto nell'attività). Caratteristica di queste organizzazioni è una forte spinta ideale, finalizzata all'obiettivo di contribuire allo sviluppo globale dei paesi socialmente ed economicamente più arretrati.
Le libertà garantite espressamente alle persone sono strumentali agli scopi dei Trattati istitutivi delle CE ed hanno tutela nella misura in cui servono a realizzare il mercato comune e riguardano l’uomo solo in questa prospettiva; l’evoluzione dell’ordinamento comunitario è ormai nel senso di un allargamento di prospettiva che lo porta ad includere settori diversi da quelli previsti nei Trattati istitutivi e ad indirizzarsi non solo agli Stati e agli individui in quanto operatori economici, bensì anche a questi ultimi in una loro più completa dimensione. Nel tempo, l’assenza di riferimenti ai diritti fondamentali è stata avvertita sempre più come una lacuna grave e pericolosa: la stessa evoluzione normativa e istituzionale rese «problematica l’assenza di specifiche forme di garanzia dei diritti fondamentali», la cui protezione divenne «un imperativo al contempo giuridico e politico» 52. Anche se, in generale, come rileva Enzo Cheli, manca un richiamo ai diritti delle formazioni sociali 53.
L’omogeneità costituzionale del TUE
Il riconoscimento e la garanzia di uno standard minimo di omogeneità costituzionale vigente nell’ordinamento europeo, tanto nei rapporti orizzontali tra gli Stati membri, quanto in quelli verticali tra l’Unione e gli Stati, porta necessariamente ad interrogarsi sulle conseguenze complessive di un sistema costituzionale sovranazionale composito e multilivello qual è l’Unione Europea: nel linguaggio del federalismo e del costituzionalismo contemporaneo ciò significa porre il problema del significato e della portata e dell’autonomia costituzionale dei singoli Stati membri in rapporto all’autonomia costituzionale dell’Unione. Occorrerebbe allora innanzitutto precisare le modalità in cui si articola il rapporto di reciproca delimitazione, per mezzo della dialettica interna allo stesso art. 6 TUE primo e terzo comma, ove si afferma il rispetto della identità nazionale dei singoli Stati membri come limite all’estensione delle competenze dell’Unione Europea; nonché per mezzo della clausola di omogeneità (art. 6 e 7 TUE) all’interno del sistema costituzionale complessivo scaturito dai Trattati europei, allo scopo di individuare il limite all’autonomia degli Stati membri. È noto come il comma 3 dell’art. 6 TUE sia nato dalla paura per una progressiva destatalizzazione ed erosione delle prerogative dello Stato nazionale (anche con concessioni a livelli inferiori, regionali).
Il concetto di identità europea è un concetto multireferenziale, poliedrico e stratiforme che si collega ad un comune “sense of belonging”: lo si può ricollegare benissimo non solo all’art. 10 TCE che, secondo la CGCE, impone alle istituzioni comunitarie obblighi reciproci di leale collaborazione con gli Stati membri, ma anche all’art. 151 comma 1 TCE che prevede la tutela della molteplicità nazionale e regionale delle culture degli Stati membri, ma anche la specificità dei singoli popoli, estesa ai principi di sussidarietà e proporzionalità, e ad un contemperamento tra le identità nazionali e quella europea 54, anche attraverso la libertà di associazione, secondo una concezione prettamente luhmanniana di nazione profondamente radicata nel «mondo-di-vita».
La coerenza d’azione risulta essere al contempo principio guida ed esigenza primaria del sistema posto dal Trattato sull’Unione europea. Varie sono, non a caso, le disposizioni del TUE che fanno espicito riferimento a tale nozione: l’art. 1 TUE delle disposizioni comuni afferma che l’Unione «ha il compito di organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra gli Stati membri e i loro popoli».
Un aspetto problematico sottolineato dalla dottrina con riferimento alla nozione di “coerenza” nel sistema TUE trae origine da questioni linguistiche. Se nelle versioni tedesca, francese, italiana, spagnola, portoghese, olandese e danese vengono utilizzati (termini assimilabili alla parola coherence-coerenza), nella versione inglese si fa utilizzo della parola consistency: non si tratta di questione di poco conto, in quanto, in termini di teoria generale del diritto, i concetti di consistency e di coherence debbono essere tenuti distinti. Se il concetto di consistency è un concetto statico, che fa riferimento all’assenza di contraddizioni, quello di coherence è per contro un concetto dinamico, che fa riferimento all’esistenza di connessioni positive, ad esempio, tra due soluzioni normative o tra due politiche. In sostanza, due politiche possono essere più o meno coherent, ma non possono essere più o meno consistent – o lo sono o non lo sono. In un ambito quale quello dell’azione internazionale dell’Unione, il concetto di consistency risulta meno adatto rispetto a quello di coherence.
L’art. 3 primo paragrafo TUE, afferma, come si è visto, che l’Unione «dispone di un quadro istituzionale unico che assicura la coerenza e la continuità delle azioni svolte»; la coerenza “verticale” deve essere raggiunta per mezzo dell’applicazione dinamica di due distinti principi di riferimento, infatti, agiscono le clausole di salvaguardia del principio di sussidarietà (art. 2 TUE, ultimo paragrafo) e dell’“identità nazionale” degli Stati membri (art. 6 TUE, terzo paragrafo). La coerenza “verticale” dell’Unione deve essere così perseguita all’insegna del delicato equilibrio tra l’affermazione dell’identità dell’Unione, da un lato, e la tutela delle identità degli Stati membri, dall’altro 55. Questo senza però dimenticarsi di quella importantissima coerenza orizzontale tutta implicita, che non si ritrova nei Trattati, ma che è il perno del multi-livello orizzontale europeo, poiché lo si capisce non da testi normativi, bensì da quella concezione di Europa funzionale, con l’attribuzione progressiva di poteri alla Comunità senza tracciare un disegno complessivo dei rapporti fra Comunità e Stati membri 56, rapporto coadiuvato e completato proprio dalla dimensione orizzontale associativa e sub-istituzionale che si rifà alla società civile. Del resto il conferimento di nuove competenze alla Comunità presuppone la conclusione di ulteriori trattati, che richiedono ovviamente la ratifica da parte di tutti gli Stati membri: è in questo vuoto che intercede la libertà di associazione!
L’art. 6 TUE dichiara che «l’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri». Benché una dichiarazione di questo genere si trovi nei testi comunitari solo nel Trattato UE, il rispetto dei diritti fondamentali era stato considerato un elemento essenziale della costruzione comunitaria fin dal suo inizio, come dimostrano numerose sentenze della CGCE che, nel rilevare i principi di diritto comuni agli Stati membri e le regole relative all’applicazione dei Trattati, vi avevano incluso la protezione dei diritti umani 57.
Considerato che la CGCE è passata a ritenere che i diritti fondamentali sono tutelati nella Comunità come parte integrante del diritto comunitario in quanto principi generali di diritto, come riaffermato anche nel caso 11/70 Internationale Handelsgesellscahft del 17 dicembre 1970, dove si parla delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, e del caso 4/73 Nold 14 maggio 1974, richiamando in sostanza il principio secondo cui i diritti dell’uomo previsti nei trattati internazionali non possono non essere considerati nel diritto comunitario, sino ad arrivare alla sent. 44/79 caso Hauer 13 dicembre 1979, in cui si parla di coordinamento fra tutela dei diritti fondamentali e il raggiungimento degli obiettivi comunitari 58, e alla sent. 12 novembre 1969 Eric Stauder vs. città di Ulm – Sozialamt [causa 29/69] h 59, si arriva a parlare direttamente della Carta di Nizza.
La Carta di Nizza come dicotomia tra vis expansiva della libertà d’associazione e progetto di non-sviluppo associativo-educativo del progetto europeo
Il 7 dicembre 2000 Parlamento Europeo, Consiglio e Commissione, adottano una Carta che si ispira a criteri parzialmente diversi dalla maggior parte degli strumenti internazionali elaborati successivamente alla DUDU 1948; la commissione mista del Consiglio Europeo di Colonia del giugno 1999, denominata “convenzione”, e formata non solo da membri di istituzioni europee, ma anche da parlamentari nazionali degli Stati membri, non segue la tradizionale suddivisione dei diritti nelle categorie individuate nel 1966 dei due Patti internazionali delle Nazioni Unite (diritti civili-politici e diritti economici-sociali-culturali) – in relazione al tipo di diritti garantiti – ma in relazione all’oggetto o ai settori della protezione. Lungi dall’essere dovuta alla divisione del mondo in due blocchi di Stati – quelli occidentali, ispirati in materia dalle grandi dichiarazioni del settecento essenzialmente riferite a diritti civili e politici, e quelli socialisti, più attenti ai diritti economici e sociali – la distinzione fa riferimento a quel riconoscimento di una immediata applicabilità dei diritti (civili e politici) contro taluni non direttamente invocabili in giudizio secondo una azionabilità diretta (economici, sociali e culturali), ma in maniera diversa: nella Carta sono stati inseriti, in base alle scelte della convenzione, solo i diritti applicabili, anche se molte disposizioni non sono direttamente attuabili, ma vanno considerate nell’ambito della legislazione comunitaria la cui applicabilità è affidata agli Stati membri (in base all’art. 51) 60.
In realtà, la Carta di Nizza più che uno statico punto di arrivo deve essere considerata la dichiarazione fondativa del processo di costituzionalizzione dell’Unione, un processo di costruzione di equilibrio tra la sovranità pubblica sovranazionale e la «sovranità individuale» dei diritti per la instaurazione di una governance costituzionale. Il governo delle differenze è la questione costituzionale centrale nell’assetto dell’Unione, e la Carta è chiamata ad assolvere la funzione di raccordo unitario. Raccordo più efficace grazie alla sua trasversalità interna ai vari ordini e livelli giuridici, di quel «quadro costituzionale unico» che l’art. 3 TUE indica come fondamentale strumento di garanzia dell’unità nella diversità 61, sino ad essere considerato un documento che riunisce universalità, indivisibilità, antropocentricità 62.
È pur vero che c’è anche chi sostiene che il riconoscimento del pluralismo in essa contenuto sia piuttosto modesto, l’impostazione del documento risulta poco più che ottocentesca, mancando il riconoscimento generale dei gruppi sociali quale elemento di educazione dell’ordinamento europeo 63: in effetti, la libertà di associazione trova una disciplina stringata nell’art. 12 – ed è insieme alla libertà di riunione. Quanto prescritto dall’articolo è riconosciuto a tutti i livelli, ma è chiaro che l’interesse della norma è rivolto alla formazione di sindacati e partiti politici (lo stesso De Siervo nota la mancata considerazione di ruoli specifici delle confessioni religiose); anche le formazioni sociali pubbliche difettano del riconoscimento di uno specifico ruolo, tanto che si pongono unicamente come limite alla vis expansiva della Carta: così è nel preambolo, ove si afferma che l’Unione contribuisce al mantenimento ed allo sviluppo dei valori comuni, «nel rispetto (…) dell’identità nazionale degli Stati membri e dell’ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale» [corsivi nostri].
Questo è un elemento importante se si considera che l’unico reale riconoscimento di una legittimazione dei soggetti infrastatuali, poi, sta nel richiamo al principio di sussidarietà, contenuto nel quinto paragrafo del preambolo e nell’art. 51 della Carta; un tale principio nell’esperienza sinora sviluppatasi, non è apparso in grado di assicurare un ruolo effettivo agli enti regionali e locali, in quanto arbitri delle citate formazioni comunitarie sono rimasti gli Stati nazionali. Infatti, la partecipazione dei rappresentanti delle entità infrastatuali, ai sensi dell’art. 203 TCE, è rimessa alla volontà di questi ultimi, poiché il diritto istituzionale UE si ispira al principio di «neutralità». Non si sono messi in discussione i precedenti orientamenti del diritto europeo, sicché alle formazioni sociali, sia private che pubbliche, non viene affatto riconosciuto un ruolo attivo di costruzione dell’ordinamento, tanto che il diritto di associazione e la sussidiarietà sembrano configurarsi piuttosto come un limite alla «sovranità delle Istituzioni, in ottica non differente – in ultima analisi – da quella dei vecchi diritti pubblici subiettivi», dogmatica sviluppata da Laband e Jellinek (un sistema di garanzie dello Stato per la protezione dallo Stato).
La formazione dei gruppi sociali, tuttavia, risulta essere espressione insopprimibile della dimensione sociale della persona umana: nelle odierne società complesse in cui è sempre più difficile aggregare la totalità dei componenti intorno a grandi valori condivisi, il ruolo delle formazioni sociali non può essere ignorato, anzi deve assurgere ad elemento base delle nuove dottrine della democrazia. L’elaborazione scientifica ha messo in luce che la dimensione infrastatuale, legata alle collettività intermedie, pone dei gravi problemi in relazione al tipo di ordinamento europeo che si sta venendo ad edificare. Il mancato riconoscimento di un ruolo positivo di costruzione di tale ordinamento alle formazioni sociali (pubbliche e private) rischia infatti di condurre all’affermazione di un sistema che nasce già «vecchio» - poiché risulta basato su di una concezione fondamentalmente ottocentesca delle esigenze della persona umana -, e che pertanto potrebbe rivelarsi incapace di far fronte alla necessità della società contemporanea 64.
Il carattere talvolta generico della Carta dei diritti, che secondo alcuni commentatori costituisce un punto di debolezza, può essere però il suo punto di forza: proprio in ragione del fatto che la Carta è stata concepita come documento di trascrizione e di consolidamento dei diritti fondamentali già presenti nell’ordinamento comunitario, essa può favorire quel processo osmotico fra i due livelli ordinamentali, europeo e nazionale, quel «dialogo fra le Corti», quella intermediazione fra i vari attori costituzionali, quella «sussidarietà reciproca bidirezionale», che è stata finora l’arma vincente nello sviluppo dell’ordinamento comunitario e che potrebbe portare alla costruzione di una «Costituzione a doppio livello» 65, al fine di cercare di andare oltre il fatto che la Comunità si affermi come una istituzione sovranazionale i cui pilastri, che l’affiancano e che con essa formano l’Unione, della politica di sicurezza ed estera comune e della cooperazione nell’ambito della giustizia e degli affari interni, non superano il piano di una mera cooperazione intergovernativa 66.
Aiuta a comprendere il senso di tale affermazione l’espressione “a tutti i livelli” presente nell’art. 12, che rappresenta comunque un riconoscimento fondamentale 67.
Se la trasposizione dei diritti dalla Convenzione alla Carta di Nizza appare tutt’altro che priva di problemi perché – se è vero che nel processo di positivizzazione dei diritti fondamentali la CEDU è un omogeneo catalogo di diritti, costituzionalizzato all’art. 6 TUE e che fa sintesi delle diverse tradizioni costituzionali degli Stati membri – è pur tuttavia vero che la CEDU assicura una tutela meno incisiva agli analoghi diritti delle diversità costituzionali, cui spesso supplisce la CGCE. In effetti anche De Siervo, osserva che per la libertà di riunione ed associazione, si contemplino solo “generiche informazioni”, che sarebbero insoddisfacenti. Eppure la carta di Nizza dovrebbe esprimere il superamento della CEDU, con contenuti più ricchi, visto che si propone come “documento di riferimento Costituzionale dell’Unione Europea”; invece, i continui richiami alla CEDU non fanno che incrementare l’impressione si una sorta di “soggezione” alla CEDU, finendo per indebolire l’impatto simbolico della Carta 68.
Del multi-level constitutionalism di Häberle
Poiché all’Unione europea viene data una costituzione da terzi, essa non può neppure disporre del proprio ordinamento fondamentale: per questo «Signori dei trattati» restano gli Stati membri che certo non si risolvono nell’Unione 69; insomma, i trattati non sono l’espressione della autodeterminazione della società.
Esiste, però, anche un ordine di riflessioni che si è spinto oltre il paradigma della formazione di una nuova Costituzione europea: sono le tesi di chi ritiene, sulla scia delle teorie costituzionali di Peter Häberle, che l’Europa ha già una Costituzione, e che tale Costituzione coincide con un sistema costituzionale a più livelli. Cade, così, il dogma dell’unicità della Costituzione e il sistema costituzionale multi-level, inteso come processo attraverso il quale l’uomo sa farsi cittadino – processo che prende le mosse dall’esigenza di assicurare la pace in Europa, ponendo ostacoli al conflitto attraverso l’intreccio economico fra stati, e che si svolge ancora attorno al alcuni valori fondamentali di tutela dei diritti e della dignità umana e di rispetto dei grandi principi dello stato costituzionale europeo, nella continuità con le tradizioni culturali che li hanno espressi – diventa la chiave che può davvero aprire le porte della cittadinanza europea: quest’ultima, in definitiva, si costituisce, si rafforza ulteriormente con il consolidarsi del sistema costituzionale europeo multi-level e coincide con il complesso di prerogative costituzionali e di impegni civici che tale sistema mette a disposizione. Lo stesso Häberle, tuttavia, sa bene che, nei sistemi pluralisti contemporanei, «la democrazia si sviluppa …anche nelle forme “più sottili”, intermedie, del processo pubblico pluralista della politica e della prassi quotidiana, in particolare con riguardo alla realizzazione dei diritti fondamentali» 70.
Di particolare rilievo è la norma contenuta nell’art. I.9 del titolo II del Progetto di Costituzione europea: dopo aver chiarito che l’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali, tale articolo stabilisce un importante collegamento con la Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dando le risposte agli interrogativi sul coordinamento tra i due sistemi di unione (come già detto, peraltro, per il preambolo dell’Atto Unico 1986). Certamente la seconda parte del Trattato pone una serie di problemi, per le innegabili sovrapposizioni tra due sfere normative (nazionale ed europea), ma sui rapporti tra i due ordini costituzionali, la tesi maggiormente diffusa è quella che individua una costruzione costituzionale a più livelli, in cui resta formalmente in vita il livello degli Stati nazionali, ma ad esso si sovrappone un secondo livello, in cui si attua una reductio ad unum dei principi comuni agli Stati membri. È considerato, infatti, un costituzionalismo integrato, nel senso che esso va visto in una concezione dinamica in cui si attua la cooperazione tra i vari livelli dei poteri sovrani, e non solo visto il richiamo costante alle libertà fondamentali fra cui la libertà di associazione. Seguendo tale tesi, non si richiede come necessaria l’esistenza di uno Stato federale, perché questo multilevel constitutionalism è inserito nell’ottica di un processo di costituzione 71.
D’altronde, nella Dichiarazione A della Costituzione Europea del 13 dicembre 2007, conferma questa impostazione, e con essa, i diritti e le libertà salvaguardate dalla CEDU, dalle tradizioni costituzionali statali, e non estende nessun tipo di competenza.
Autoreferenzialità e asimmetrie del parlamentarismo
La sent. 12 ottobre 1993 della Corte Costituzionale tedesca (in «Neue Juristische Wochenschrift», 1993, p.3407) ha affermato che debbano comunque rimanere al parlamento tedesco funzioni e poteri di valore sostanziale. Tale tesi si basa sulla considerazione che un ruolo dei Parlamenti nazionali sia fondamentale per assicurare una legittimazione democratica all’Unione europea. Il ragionamento della Corte tedesca appare fondato più su di una concezione particolare di teoria politica che non su di una analisi delle norme del Trattato sull’Unione Europea. Nella medesima sentenza la Corte costituzionale tedesca ha considerato che gli Stati membri sono ancora «padroni dei trattati», nel senso che essi possano, esprimendo una volontà contraria all’atto di ratifica o di adesione ai Trattati istitutivi della Comunità e dell’Unione, far venir meno la loro partecipazione alla Comunità e all’Unione.
Ora, identificare la democrazia con il parlamentarismo sarebbe inammissibile. Certo, data la grande estensione degli stati territoriali e la costante necessità di decisioni, la democrazia sarebbe inimmaginabile senza un Parlamento liberamente eletto, ma la semplice attività parlamentare non garantisce di per sé alcuna struttura democratica (e lo stesso vale per le elezioni). Per far valere le sue opinioni e i suoi interessi, il singolo è costretto a ricorrere a organizzazioni e a canali di influenza suppletivi, anche perché il Parlamento reclutato dalla politica dei partiti non è più in grado di rispecchiare ed elaborare sufficientemente la pluralità di interessi ed opinioni sociali, poiché si fonda sul processo sociale di mediazione degli interessi e di management dei conflitti. È perciò una «semplificazione statalistica» assumere che la mediazione degli interessi e delle opinioni sia il prodotto degli organi statali, visto che essa proviene da 1) associazioni 2) sistemi di comunicazione di massa; strutture intermediarie interne alla società che, pur riferendosi alle istituzioni statali, non possono essere da queste né garantite né rimpiazzate 72.
Laddove un Parlamento non si fonda su una tale struttura capace di assicurare l’interazione costante tra popolo e Stato, vi sono solo le forme ma non la sostanza della democrazia: è noto che già a livello degli stati nazionali il processo di mediazione necessario alla democrazia non si svolge in modo soddisfacente, in parte per la crescente autoreferenzialità dei partiti politici, in parte per le asimmetrie all’interno delle rappresentanze parlamentari, in parte per i deficit nel sistema di comunicazione molto meno orientato allo scopo della formazione dell’opinione che non a imperativi economici 73.
Ma a livello europeo non ve ne sono neppure i presupposti. Qui le strutture intermediarie si formano ancora a fatica. Un sistema europeo dei partiti non esiste, vi sono soltanto gruppi parlamentari europei a Strasburgo e per il resto non vi è altro che una tenue cooperazione di partiti dai programmi affini che neppure durante le elezioni europee producono un’integrazione della popolazione europea. Altrettanto esigua è la nascita di gruppi e movimenti civili europei, nonostante che la cooperazione delle associazioni nazionali sia andata molto più in là di quella tra i partiti. Del tutto vana, infine, è stata la ricerca di media europei nell'ambito dell’editoria e della radiodiffusione. Ma in tal modo, l’Unione europea rappresenta un passo indietro non solo rispetto agli ideali di una democrazia funzionante in modo esemplare, ma anche rispetto alla realtà,a sua volta deficitaria, degli Stati membri (autorevolezza dell’affermazione, in Zagrebelsky-Portinaro-Luther) 74.
Richiamando anche l’art. 29 Regolamento interno del Parlamento europeo (versione consolidata al 19 febbraio 1997) inerente non tanto ai partiti, quanto ai gruppi politici, strumento anch’esso privilegiato di associazionismo, si afferma che non è necessario di norma che il Parlamento valuti l'affinità politica dei membri di un gruppo: infatti il Parlamento non attua un controllo preventivo di conformità al Regolamento, ma lo fa solo su eccezione del ricorrente negante l’affinità politica a lui attribuitagli.
Vediamo come, anche nella Sent. 22 marzo 1990 CGCE, caso Le Pen (conclusione Jacobs) [causa C-201/89] i, nessuna disposizione del regolamento del Parlamento europeo autorizzi un gruppo politico ad agire in nome del Parlamento nei confronti di altre istituzioni o terzi: ne consegue che la diffusione, da parte di un gruppo politico, di una pubblicazione reputata diffamatoria non fa sorgere la responsabilità extracontrattuale delle Comunità.
Essendo, inoltre, il tema dei partiti particolarmente sentito, non si può non parlare di come la Carta di Nizza riprenda l’art. 191 TCE, secondo cui «i partiti politici a livello europeo sono un importante fattore per l'integrazione in seno all'Unione. Essi contribuiscono a formare una coscienza europea e ad esprimere la volontà politica dei cittadini dell'Unione. Il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251, determina lo statuto dei partiti politici a livello europeo, in particolare le norme relative al loro finanziamento»: un riconoscimento di formazione di coscienza europea, con una sorta di fine educativo oltrechè espressivo di volontà sovrana.
In questo senso, significativo è anche il caso Martines vs. Parlamento europeo 2001 – Trib. 1° grado, secondo cui il Parlamento europeo è libero di decidere o meno se costituire un gruppo parlamentare anche fuori dall’idea delle famiglie politiche internazionali esistenti: si può, in ultima istanza, andare fuori dal partitismo internazionale.
Per capire realmente il discorso del multilivello europeo, e di come in questo si possa inserire la libertà di associazione, bisogna anche guardare il tutto sotto un’altra ottica, in una prospettiva economica.
Il cemento associazionistico nel benchmarketing edilizio europeo
Dal punto di vista economico, i vantaggi di una integrazione economica europea erano di gran lunga superiori agli svantaggi, con accrescimento della concorrenza interna e lo sfruttamento delle economie di scala e dei vantaggi della produzione di massa, fattori che avrebbero portato il forte stimolo a correggere gli indirizzi e a ribassare i costi. Il leader federalista Spinelli invocava già nel 1941 l’istituzione della organizzazione degli Stati Uniti d’Europa; la forma istituzionale che ha assunto dapprima la CEE e poi l’Unione Europea è comunque lontana da quella prefigurata dal Movimento federalista europeo e più vicina all’approccio più gradualista e funzionalista portato avanti da Monnet. Tuttavia il filo rosso che ha unito insieme i costanti, caparbi tentativi di costruire un’Unione Europea è stato da una parte la volontà di bandire per sempre le tentazioni di una guerra nel cuore dell’Europa, dall’altra, soprattutto nel secondo dopoguerra, la realistica constatazione che ciascun paese europeo, da solo, poco contava contro le due grandi superpotenze Usa-Urss, e poco avrebbe contato nel futuro anche rispetto alle altre emergenti superpotenze del XXI secolo: Cina e forse Giappone e India, riportando in auge il tema della paura j.
In realtà, però, i parametri di convergenza di Maastricht, importantissimi a livello finanziario, hanno posto in essere una dicotomia tra Paesi first comer (di prima industrializzazione) e last comer (tra cui Italia, Irlanda, Finlandia, Spagna, Portogallo, Grecia), tanto che si parla di Europa “a due velocità” 75.
L’Unione Europea è sorta da una scommessa di fondo: creare gradualmente un corpo unitario partendo da paesi segnati per secoli da storie assai differenti e da conflitti anche tragici, e fare ciò conservando le diversità linguistiche, sociali e culturali più importanti, viste come una ricchezza e non come impedimento all’integrazione. Tale delicata costruzione si regge, tuttavia, su un difficile equilibrio dinamico. È assai problematico infatti dare stabilità e durata ad una struttura se ciò che la unisce non è adeguato. Le componenti possono essere assai diverse, e ciò contribuisce ad abbellire la costruzione, ma ci vuole un buon cemento che le unisca 76. Il cemento può essere dato da più avanzate istituzioni europee, da una buona conoscenza reciproca fra i popoli dell’Unione e da una base socio-culturale comune, una specie di minimo comun denominatore, su cui si innesti la ricchezza delle diversità, nonché da un graduale avvicinamento delle condizioni economiche che smorzi le invidie e le gelosie nazionali e riduca l’intensità delle tensioni sociali fra i paesi membri. Quale miglior cemento dell’associazionismo?
non solo non esiste contraddizione fra finalità politiche di coesione socioeconomica e processo di convergenza delle economie, ma anzi la coesione dipende nel suo essere dall’ottenimento di sempre maggiore convergenza. La nuova finalità – coesione – e lo strumento principale per ottenerla – convergenza – assieme rappresentano il salto di qualità segnato dal processo di unificazione europeo dopo il 1985 77.
Ritornando un istante sul discorso del deficit democratico, il Parlamento Europeo, che è il solo organo eletto direttamente dai cittadini europei, ha poteri assai limitati. Il potere esecutivo e legislativo è soprattutto concentrato nel Consiglio Europeo, costituito dai Presidenti del Consiglio dei Paesi membri, assisiti dai ministri degli Esteri e da membri della Commissione. Dato che il Consiglio Europeo e la stessa Commissione sono espressione dei poteri nazionali, è per essi difficile procedere nel processo di integrazione quando influenti gruppi d’interesse dei vari paesi si ritengano danneggiati. Un approccio più avanzato era stato proposto da un’ampia maggioranza del Parlamento europeo nel 1984 (il progetto Spinelli per un trattato sull’Unione Europea), ma il Consiglio dei primi Ministri e la Conferenza Intergovernativa, maggiormente soggetti a pressioni nazionalistiche, non lo approvarono, giungendo successivamente a un più debole compromesso concretizzatosi nell’Atto Unico e nel trattato di Maastricht.
Sembrerebbe così che la famigerata Europa “a due velocità” (o “a geometria variabile”, che dir si voglia), sia il prodotto delle grandi imprese e dei maggiori gruppi finanziari, tutt’altro che “europei” o “transnazionali”, bensì entità multinazionali con la testa e parte del corpo ancora solidamente attestati nel paese originario. Essi hanno, ad esempio, una composizione dell’alta dirigenza e della proprietà ancora in larga maggioranza composta da cittadini del paese originario, sebbene siano in atto graduali mutamenti verso una maggiore europeizzazione 78.
Il concetto di «governance» dimostra come più l’UE si prefigge traguardi ambiziosi, più le strategie si diversificano rispetto alle intenzioni originarie. Gli Stati membri, poco inclini a delegare ulteriori competenze e poteri all’Unione si sono avvalsi di metodi paralleli di elaborazione delle politiche – soprattutto il coordinamento – e hanno introdotto metodi nuovi – in particolare il benchmarketing, il confronto dei risultati conseguiti, una tecnica applicata sempre più spesso, secondo il quadro della strategia di Lisbona, 2000, secondo il metodo aperto di coordinamento (gli Stati membri sono sempre più inclini a ravvicinare le loro impostazioni e i loro obiettivi, nonché a concordare una metodologia comune per valutare i risultati o per darne comunicazione). È ovvio che un metodo basato sul risultato – quasi fosse economico – da conseguire, mina da un lato i valori posti alla base dell’Unione. Nonostante ciò, l’Unione si è sempre adoperata per lo sviluppo di certe forme di governance organizzate in rete, talvolta per porre in essere un’impostazione più collettiva, talvolta direttamente come strumento di gestione. È quindi completamente errato pensare che l’Unione debba ridursi a scegliere «il metodo comunitario», da un lato, o forme di cooperazione «intergovernativa» dall’altro. Già oggigiorno è possibile riscontrare una grande diversità di metodi comunitari e molteplici forme di cooperazione tra paesi, nonché impostazioni intermedie, che si traducono, a livello di istituzioni europee e nazionali, in una estrema diversità di ruoli e competenze in ciascun settore 79. È qui, ancora, il nostro associazionismo gioca un ruolo importante, considerata anche l’instabilità nei principi ispiratori, lacune nell’arsenale degli incentivi e un’incertezza in ordine al ruolo dei vari soggetti, una sorta di «annacquamento» dovuto a carenze amministrative oppure all’insufficienza – o addirittura inesistenza – degli incentivi a cooperare 80.
È ovvio che il sistema delle reti istituzionali, secondo un modo centralizzato («reti pilotate») o decentrato («partenariati») 81, non c’entrano con l’associazionismo. Ma le reti possono essere anche non-istituzionali e, soprattutto, orizzontali: affinché possa però innescarsi un processo evolutivo, l’Unione ha bisogno di mantenere una flessibilità sufficiente nelle sue procedure decisionali e nel suo quadro giuridico.
Nel prendere in considerazione questi cambiamenti, non va però commesso l’errore di credere che l’integrazione possa comportare in futuro ineluttabilmente un ulteriore trasferimento di competenze verso l’Unione. Ciò potrebbe avvenire in alcuni settori, ma vi sono forti ragioni per ritenere che gli Stati membri vorranno salvaguardare la propria autonomia in ambiti che ritengono essenziali ai fini del contratto sociale nazionale 82, tanto che si presuppone una collaborazione con le categorie interessate. È qui che subentra il multi-level della libertà d’associazione europea.
I riscontri del dibattito al riguardo nel Libro bianco sulla governance, pubblicato dalla Commissione nel 2001, e nella giurisprudenza della CGCE, quale emerge dalla cosiddetta dottrina Meroni, hanno indotto a ritenere che le norme vigenti del trattato autorizzino una delega di competenze solo in un numero limitato di casi: un’integrazione maggiore generalmente richiede un processo di accentramento, mentre col crescere dell’estensione geografica e della diversità è preferibile un decentramento, che significa anche dare maggior voce alla società civile 83.
Una nota sin da noi
Per il caso specifico italiano, è opportuno rilevare come anche qui c’è una volontà stabile di aderire all’ordinamento giuridico comunitario in maniera completa (Sent. CC del 13 aprile 1989 n. 232, caso Fragd SpA vs. Ministero delle Finanze k) 84. È, del resto, ormai universalmente accettato che l’adesione completa all’ordinamento giuridico comunitario possa comportare adattamenti non rapidi e spontanei; tuttavia il «sacrificio» richiesto all’ordinamento interno potrebbe trovare la sua giustificazione nella necessità storica dell’integrazione europea, pur sussistendo ancora errori e contraddizioni. Nella molteplicità delle dimensioni dei diritti costituzionali delle democrazie pluralistiche il raggio d’azione si dilata verso una società aperta, dove comunque la componente difensiva da ingerenze esterne resta prioritaria, al fine di garanzie una autodeterminazione degli spazi di libertà (poliarchia dahliana, non più solo di matrice economica); il nuovo universalismo dei diritti alla fine non è più fondato solo sul giusnaturalismo, ma su un costituzionalismo cooperativo che travalica i confini nazionali: nascita di nuovi diritti (anche in una prospettiva “art. 2 aperto”), anche se poi si diventa soggetti al rischio di antinomie con altre norme costituzionali e/o di una illimitata serie di obblighi dei consociati. Per questo servono prudenti bilanciamenti normativi. La laicizzazione del diritto naturale, trasformatasi in diritto storico, favorirebbe questa apertura, anche per via del principio generale del libero sviluppo della personalità arrivando ad una libertà come autorealizzazione e un riconoscimento globale del valore libertà: vista l’accresciuta funzione pubblica dei diritti negli ordinamenti democratici è importante anche la dimensione partecipativa (che va assolutamente oltre il diritto elettorale attivo e passivo): le libertà di manifestazione del pensiero-riunione-associazione non formano solo opinione pubblica ma sono anche le “pietre angolari” di una partecipazione democratica (sent. 19/1962 CC). Se però si guarda solo ad un interesse pluralistico superiore, l’elemento di libera scelta può passare in secondo piano ed essere relativizzato, col rischio di vedere la libertà come una funzione, e – quindi – come selezione delle funzioni che servono alla società; e il privilegio monopolistico riservato ai partiti dall’art. 21 GG è un chiaro esempio di questa sclerotizzazione, che in Italia si cerca di evitare ancorando l’art. 49 al fatto di essere una manifestazione della libertà d’associazione. In effetti, una dimensione democratico-partecipativa con effettiva eguaglianza delle chances deve avere argini al condizionamento finanziario del processo politico da parte del pluralismo e dei privati in accordo col modello dahliano liberalizzazione/pubblica contestazione e inclusività/partecipazione 85. E non c’è miglior teorizzazione di quella di Dahl che possa spiegare l’inserimento della libertà d’associazione all’interno del multilivello europeo in oggetto, ed una multidimensionalità l della società civile.
Considerazioni finali di un problema aperto, che si estrinseca in una new governance
La definizione classica popolo-territorio-sovranità non è adatta per parlare di multi-level, e ad ogni modo l’UE considera come cardine principale – nel Libro bianco sulla governance – tale libertà, vista come forma di governo su un territorio: se l’UE vuole utilizzare tale libertà come forma di Stato, però si è persa la forza del singolo, tanto che la sua utilizzazione calata dall’alto, secondo un processo di top down, fa si che ci sia un declino delle associazioni europee e anche no-profit: prendendo ad esempio lo sviluppo del terzo settore, possiamo notare come aumenti a livello singolo statale, ma diminuisca a livello europeo. Gestalticamente m il tutto non è più la somma delle parti o un valore aggiunto, e ciò perché l’UE sottrae forza al singolo (ad es. nei partiti europei transnazionali). La fase dell’associazionismo europeo è prematura, dato che in parte si configura ancora come espressione dell’autorità politica.
Il tasso minimo consentito all’individuo, fa sì che le associazioni siano sempre più svincolate dal partito ma comunque vincolate alla forma di Stato in cui si è cittadino (ad es. in Italia: rispetto della legge penale); inoltre all’interno dell’UE vi sono Stati anche al di sotto di questo minimo. Infatti, la libertà d’associazione troverebbe espansione nell’UE solo se dimostrasse di aver sanato i conflitti nell’UE stessa e nei loro Stati (fenomeno migratorio, ma anche ambientalismo, etc.), sebbene ciò debba avvenire ad unanimità e non a maggioranza, visto che la libertà d’associazione non è un diritto transnazionale, ma è un diritto interno.
La domanda di fondo è: ma le istituzioni chi devono favorire: l’individuo in quanto persona, il gruppo in quanto complesso di interessi individuali, o ambedue alternativamente o contemporaneamente? C’è il rischio che favorendo uno si indebolisca l’altro e che rafforzandoli insieme si indeboliscano ancor di più i loro punti deboli?
Perciò nell’UE si riconosce la libertà d’associazione solo se si parte dall’alto, condizione meno pericolosa, senza accordare le libertà del singolo; la questione si aggira uscendo dal modello partitico ed entrando in quello no-profit, che però è pericoloso: il no-profit si può cum-fondere – o avere la percezione di con-fondere – col modello lobbistico. In questo senso, la libertà di associazione serve al singolo o allo Stato? Se serve al singolo, non deve surrogare alla funzione dello Stato (che deve garantire i servizi minimi), ma è un’attività collaterale; ma se io con l’associazione ho intenzione di surrogare lo Stato – o l’Europa per le loro carenze, è ovvio che tale associazione confligga coi e sia imitata dai vincoli statali o europei, che vogliono riappropriarsi delle loro proprie funzioni.
Poiché l’UE si rifugia ancora in un’idea di corporativismo e singole e limitate issues, utilizzando la dottrina più restrittiva, quella tedesca (il già succitato art. 21 GG), restringendo i canali di partecipazione, finisce per essere il contraddizione con lo stesso Libro bianco sulla Governance. Habermas aggiunge che in UE manca una opinione pubblica europea. Ma allora, come si risolve tal dilemma?
Si propongono tre soluzioni complementari che l’Europa ha già previsto:
1) il consenso e l’attivismo dei Paesi più virtuosi
2) la transnazionalizzazione della libertà d’associazione, che deve passare – e gli Stati vogliono che passi – per la transnazionalizzazione delle società economiche (si veda il progetto del codice civile europeo, e la nascita dalla CECA della nostra UE)
3) il forte intervento trasversale delle Corti (CGCE di Lussemburgo, ma soprattutto CorteEDU di Strasburgo)
L’UE non capisce che più si dilata il modello associativo, più si espande anche la democrazia, perché attutisce i colpi – come formazioni sociali – dell’alto e del basso, includendo una maggiore ottica partecipativa del cittadino europeo, tanto che la libertà d’associazione si configurerebbe sempre meno come funzione della forma di Stato 86.
Favorire l’impianto di processi bottom-up nelle politiche regolatorie, significa anche entrare nella scienza politica attraverso la prospettiva innovativa di political decision making (come auspicato dal Mayntz): il crescente ruolo delle organizzazioni, dei regimi e delle istituzioni internazionali, congiuntamente alla nascita di attori sub-nazionali, della società civile e di corporazioni private ha permesso il diffondersi di un certo scetticismo sull’idea dello Stato-nazione come principale attore delle vicende domestiche ed internazionali. Caratteristiche basilari di questo processo di decision making sarebbero:
1- il ricorso a pratiche di coordinamento (la già detta Strategia di Lisbona del 2000), anziché di governo gerarchico, per arrivare a delle decisioni politiche;
2- l’interazione tra attori pubblici e privati, in primo luogo attraverso policy networks, dove lo Stato non è più una realtà monolitica, ma è composta da attori operanti all’interno dello Stato, anche statuali, con risorse importanti ma limitate;
3- un elevato livello di auto-normazione, self-regulation 87.
Un sistema basato, insomma, sulla regola della maggioranza applicata per mezzo di un pluralismo sostanziale a tutti i livelli, che sarebbe così in grado di rompere l’assetto monolitico-statalista, l’assetto top-down europeista e l’assetto corporativo-consociativo lijparthiano che si estrinseca a macchia di leopardo a seconda delle situazioni, ed è tipico dei Paesi scandinavi n.
Nessun governo gerarchico sembrerebbe il metodo appropriato per prendere decisioni, prevalgono, al contrario, negoziati tra membri dei Governi, tra attori pubblici e privati non statali. Quattro elementi chiave sono stati sottolineati dal sistema di network governance:
a) il ruolo dello Stato, riconosciuto come il principale attore del sistema, acquisendo la funzione di mediatore tra differenti interessi politici e sociali
b) i ruoli dei comportamenti individuali e collettivi, che rivelano l’incessante necessità di intraprendere negoziati con attori razionali e self-interested, interessati ad ottenere tanto un bene comune quanto benefici individuali
c) i modelli di interazione, caratterizzati da fatto che i soggetti si trovano su di un piano di parità con gli altri attori, in cui lo Stato non è un blocco omogeneo ed unito, ma è diffuso in una moltitudine di sub-attori
d) i livelli di interazione politica, che devono prendere piede a livelli differenti, senza privilegiare trends centralizzati verso l’alto, ma in favore della sussidiarietà
In effetti, e come ammette Kohler-Koch, “affari monetari, politica estera e di sicurezza comune, e cooperazione in materia di legge penale non costituiscono affatto esempi di network governance” in virtù degli interessi dei governi nazionali a controllare certe aree e di impedire l’ingresso ad altri attori privati o pubblici 88.
Piuttosto, Hériter ascrive alla multi-level governance, in quanto nuova tipologia di governance, tre principi cardine
1) la volontarietà: ricorso ad obiettivi non vincolanti ed impiego di modalità di soft-law
2) la sussidiarietà
3) il principio di inclusione: gli attori coinvolti partecipano alla governance
Tutto questo avviene mediante il meccanismo di diffusione, prestito, persuasione, standardizzazione della conoscenza a riguardo delle politiche, di ripetizione, attraverso un processo interattivo di monitoraggio e di riaggiustamento degli obiettivi, e di gestione del tempo (preparazione di calendari) o 89.
Queste modalità di new governance rappresentano uno stadio della formalizzazione della cooperazione tra governi, combinati con elementi di interazione transnazionale, esposta, a sua volta, a processi di costante adattamento e upgrading nel futuro. La multi-level governance, come pratica di new governance, è stata considerata come una terza via, tra l’armonizzazione europea e la competizione normativa tra gli Stati membri, diventando attraente attraverso i processi di soft law, ma mantenendo un elevato grado di discrezionalità da parte dei governi nazionali, in cui la nostra libertà di associazione, esplicitata attraverso la forma dell’associazionismo reale, gioca un ruolo fondamentale 90.
Nel campo della libertà di associazione si apre uno spazio che non può essere interamente regolato dal Diritto, ma deve essere lasciato al libero gioco della Politica, eterna antinomia di tutte le questioni costituzionali nelle quali è sempre difficile coordinare la teoria alla pratica.
Note alfabetiche:
a Il concetto di complessità sistemica si può introdurre tenendo conto dei diversi modi di rapporto con l’ambiente con cui si interagisce, ma pur sempre in chiave evolutiva e in termini gestalticamente intesi. Dopotutto, Bohm sostiene il cambiamento di prospettiva sistemico attraverso un flusso olistico di un ordine implicito non attualizzato che crea un ordine esplicito manifesto, basato cioè su manifestazioni e percezioni, anche per mezzo di un feedback tra gli input e gli output di un determinato ambiente, interattivamente inteso; senza dimenticare l’autonomia di un sistema o, nel nostro caso, sotto-sistema, la propria autodeterminazione e la propria autoriproduzione di organizzazione e identità, dove ogni elemento garantisce contemporaneamente il proprio mantenimento e quello degli altri. L’ambiente, insomma, è autodeterminato internamente in ogni sistema, pertanto Europa e Stati membri, associazioni ed istituzioni, avranno un proprio e ben identificabile ambiente; ma la saggezza sistemica di Bateson ci permette di considerare un approccio che sostanzialmente riduca i due sotto-sistemi ad intero, dunque senza una attivazione a chiusura autoreferenziale.
Va evitata una attivazione egocentrica che esalti il proprio ambiente e non tenga in considerazione gli altri, va sfidato lo status quo. Tutti i sistemi complessi mostrano una tendenza naturale a situazioni di tensione, e si trovano sotto l’influenza di poli diversi che alla fine definiscono i contesti in cui si sviluppano i singoli elementi comportamentali del sistema, e le relative resistenze al cambiamento ed energie latenti.
Metaforizzando il tutto tramite il cosiddetto “effetto farfalla” – per cui un cambiamento così insignificante come il battito d’ali di una farfalla a Pechino può avere ripercussioni sui modelli meteorologici del Golfo del Messico -si può notare come ogni persona che desideri di cambiare il contesto in cui opera, dovrebbe cercare d’individuare attività realizzabili caratterizzate da un effetto leva significativo in grado di attivare un processo di modificazioni che si sviluppi da un ambiente all’altro; inoltre c’è da notare come piccoli cambiamenti possono catalizzare cambiamenti di grandi dimensioni per il semplice fatto che il cambiamento tende a riprodursi, auspicando ad una sorta di relazionalità – e dunque non unilateralità – trasversale e transnazionale Europa-Stati membri-Governi locali-istituzioni-associazioni, che sappia gestire i confini ambientali ma allo stesso tempo introduca una logica circolare di causalità reciproca.
Ciò premesso, è importante considerare la complessità del sistema. Un sistema aperto caratterizzato da equifinalità, ovverosia da combinazioni diverse di possibilità per raggiungere i medesimi obiettivi, è tanto più adatto a sopravvivere e riprodursi quanto più differenziato e articolato sia al suo interno. Sposando tale tesi, l’autoreferenzialità (autolegittimazione) e l’autopoiesi (autoriproduzione dei suoi elementi costitutivi) sono determinanti, affinché ci sia o meno una non unilateralità delle posizioni che conduce al pregiudizio: il problema della complessità sistemica, che in fisica va a sostituire quello lineare della fisica classica, è la non dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali del sistema, cioè l’imprevedibilità di una sequenza casuali di eventi, che può conferire un assetto multiconfigurazionale: paragonato al sistema comunitario preso in esame, questo vuol dire che il giudizio di determinati elementi e/o la percezione stessa di quegli elementi, non deve essere fatta a priori.
Delle sub-unità interagenti di un sistema – nel nostro caso istituzioni ed associazioni - non ha la priorità la funzione (lo scopo che il sotto-sistema si prefigge di raggiungere), né una funzione gerarchizzata (la presunta bontà o eticità di quello stesso scopo), né tanto meno una “complicazione” (somma meccanica di tutto ciò che concorre alla formazione di uno Stato che proietta la propria politica all’esterno), ma la “complessità”, cioè le relazioni differenziate presenti in uno Stato e proiettate all’esterno di uno Stato, che richiama di per sé la termodinamica come teoria generale.
Il primo principio della termodinamica è un principio di conservazione dell’energia, la quale per permettere al sistema di funzionare e di espletare almeno le funzioni sufficienti al suo mantenimento deve essere consumata in parte per la produzione di lavoro, che non può essere prodotto ciclicamente facendo ricorso ad un’unica sorgente, e che produrrà incessantemente ulteriore calore (secondo e terzo principio). Non potendo diminuire, l’entropia creerà maggior disordine, e con esso maggior complessità, che se non riequilibrata da chiusure operative adattive porterà inevitabilmente alla disintegrazione del sistema. Come un organismo che si nutre, produce lavoro, crea energia aggiunta che elimina tramite gli apparati escretori pena lo “scoppio” del sistema, anche nel nostro caso si produce energia, si aumenta l’entropia e la si riduce: poiché conflitti più o meno latenti concorrono ad aumentare la tensione del sistema stesso, occorre che l’attenzione non si ponga solo su di un determinato sotto-sistema. Nonostante focalizzarsi solo su un dato ambiente sia più semplicistico e siano necessarie meno energie, ciò non pone le basi per una maturazione sistemica delle relative posizioni – individuali, di gruppo, o per issues -, maturazione raggiungibile solo con una relazionalità circolare basata su un feedback da entrambi le parti che ampli le vedute e le percezioni interambientali (ripetiamolo, fra governance sovranazionale/nazionale e le associazioni).
Poiché il sistema però si autotutela e limita tale entropia per mezzo della selezione, ossia scegliendo le combinazioni più probabili che permetterebbero la sua sopravvivenza, l’internazionalizzazione di rapporti ci permette di cogliere un’evoluzione delle parti costituenti l’ambiente, tenendo conto anche dell’esistenza di un ordine precedente. Procedendo in questo senso, e considerato che si possa considerare l’entropia come il logaritmo di una probabilità, si può affermare che la probabilità è strettamente connessa con l’ordine di un sistema, essendo una dichiarazione circa la verosomiglianza del manifestarsi di un certo particolare evento fra tutti i possibili eventi che possono manifestarsi un dato sistema; detto ciò, una situazione improbabile tenderà con il passare del tempo a trasformarsi in una situazione più probabile. Il deficit democratico europeo ha fatto sì che l’improbabilità di coinvolgere direttamente e cittadini, sia diventata, nel secondo dopoguerra, per mezzo della libertà d’associazione, una certezza gradualmente, con la spinta anche dei cosiddetti eventi esogeni, quali le crisi (economica, prima di tutto), l’opinione pubblica, l’apertura a certi valori di mercato e alle visioni occidentaliste.
E, in richiamo al secondo principio della termodinamica, ogni sistema lasciato a se stesso tenderà in media a raggiungere lo stato caratterizzato dalla probabilità massima, che non vuol dire che il sistema passerà necessariamente in una configurazione più probabile ma solo che questo accadrà “in media”, cioè qualche particolare cambiamento potrà andare in un altro senso, ma con bassa probabilità. Non solo. La probabilità è anche strettamente connessa con l’informazione, che consiste quindi nell’esclusione di alcune tra le possibili disposizioni alternative di un sistema, cioè ad una diminuzione di possibili probabilità e di aumento di ordine; intendendo, per informazione, non tanto “conoscenza”, quanto “conoscibilità”, è anch’essa conditio sine qua non sia per l’ordine interno e per le relazioni dei sistemi, sia per una comunicazione intersistemica nell’ambiente. Da considerare anche quindi lo sviluppo della libertà di manifestazione del pensiero/espressione/di stampa.
L’irreversibilità di taluni processi internazionali, sono tali perché formati da cicli aperti e non da cilindri configurazionali finiti, e cioè chiusi: un sistema aperto è in grado di auto-organizzarsi spontaneamente quando si trova lontano dall’equilibrio, in seguito a perturbazioni esterne che inducano fluttuazioni casuali del sistema. Pur tuttavia, in sistemi dinamici non lineari, i parametri variano in modo caotico in sistemi sani, mentre una variazione regolare può essere segno di patologia: distorsioni intrinseche, se non stabilizzate e non regolari, sono presenti in un qualsivoglia campo di azione in cui interagisca un continuum mezzi-fini (funzionalità e relativa risposta del retroterra sociale) e in cui le relazioni permeino gli agenti del sistema.
Magorah Maruyama dimostra che è il meccanismo a feedback positivo a determinare la differenziazione dei sistemi complessi, poiché tali processi presuppongono una relazionalità, e dunque delle variazioni positive o negative che vengono amplificate e che servono a spiegare modelli di escalation (sino arrivare al suddetto – sproporzionato – “effetto farfalla”); al contrario, processi di feedback negativo tendono a sfuggire di mano provocando fenomeni di differenziazione, fino a degenerazioni di chiusura sistemica. E – secondo Peter Senge – tale retroazione sarà ancor più espansiva ed efficace quanto meno ritardata sarà la risposta tra i due sotto-sistemi in oggetto, talché si sviluppi una capacità di comprendere in condivisione i problemi più o meno comuni, e di ristrutturare le dinamiche sistemiche in modo da riequilibrare ed integrare gli interessi egoistici di breve periodo, con quelli della sostenibilità di lungo periodo.
Se, poi, si introduce il discorso di Ilya Prigogine sulle biforcazioni, termine che indica circostanze in cui si ha una transizione tra due situazioni strutturalmente differenti, una evoluzione da un unico stato di equilibrio possibile a complessità bassa a una molteplicità di differenti stati di equilibrio a complessità elevata, si nota come la civiltà europea è caratterizzata da un grande numero di biforcazioni. La sua flessibilità e creatività hanno, tra l’altro, permesso anche l’attuale multi-level in cui le associazioni giocano la loro parte.
b Sent. 15 dicembre 1995, caso Bosman (conclusione Lenz) [causa C-415/93]
8. Il principio della libertà di associazione, sancito dall'art. 11 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e scaturente dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fa parte dei diritti fondamentali che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, peraltro riaffermata dal preambolo dell'Atto unico europeo e dall'art. F, n. 2, del Trattato sull'Unione europea, sono oggetto di tutela nell'ordinamento giuridico comunitario. Tuttavia, non si può ritenere che norme emanate da associazioni sportive e capaci di ostacolare la libera circolazione degli sportivi professionisti siano necessarie per garantire alle dette associazioni, alle società calcistiche o ai calciatori l'esercizio di tale libertà o ne costituiscano una necessaria conseguenza.
[…]
Per questi motivi, LA CORTE,
pronunciandosi sulle questioni sottopostele dalla Cour d'appel di Liegi con sentenza 1 ottobre 1993, dichiara:
L'art. 48 del Trattato CEE osta all'applicazione di norme emanate da associazioni sportive secondo le quali un calciatore professionista cittadino di uno Stato membro, alla scadenza del contratto che lo vincola ad una società, può essere ingaggiato da una società di un altro Stato membro solo se questa ha versato alla società di provenienza un'indennità di trasferimento, di formazione o di promozione.
L'art. 48 del Trattato CEE osta all'applicazione di norme emanate da associazioni sportive secondo le quali, nelle partite delle competizioni che esse organizzano, le società calcistiche possono schierare solo un numero limitato di calciatori professionisti cittadini di altri Stati membri.
L'effetto diretto dell'art. 48 del Trattato CEE non può essere fatto valere a sostegno di rivendicazioni relative a indennità di trasferimento, di formazione o di promozione che, alla data di questa sentenza, siano state già pagate o siano ancora dovute in adempimento di un'obbligazione sorta prima di tale data, fatta eccezione per coloro che, prima della stessa data, abbiano intentato azioni giudiziarie o esperito rimedi equivalenti ai sensi del diritto nazionale vigente in materia.
c Sent. 12 ottobre 1993 Corte Costituzionale Tedesca, caso Maastricht
di cui non si è rilevato il testo, ma un estratto in Calvano Roberta, La Corte Costituzione e il nuovo orizzonte della tutela multilivello dei diritti fondamentali alla luce della riflessione di S. Panunzio, in http://www.associazionedeicostituzionalisti.it:
“ […] Tale valorizzazione della diversità, e persino delle “inevitabili distonie di questo sistema multilivello di protezione dei diritti”, appare tanto più apprezzabile se si provi a metterla in relazione con la filosofia e l’impostazione culturale che sembrano in qualche misura essere state alla base di un dibattito i cui echi non sono ancora sopiti e che ha preso spunto dalla nota sentenza Maastricht del Tribunale costituzionale federale tedesco. Nella critica svolta in merito alla esistenza o alla progettabilità di una Costituzione europea, ci si è frequentemente soffermati sull’ostacolo rappresentato dall’assenza di un popolo europeo omogeneo, che fosse tale non solo linguisticamente, ma etnicamente e culturalmente. Pur ammettendo la necessaria e forse grossolana semplificazione delle due visioni che è alla base di questo accostamento, mi pare si debba rilevare come la Weltanschauung sottostante alla tesi che ho richiamato per ultima sia caratterizzata da una certa rigidità, da una visione statica, che vorrei contrapporre per un attimo alla visione della diversità come ricchezza portata avanti da Panunzio, alla originalità della sua ricerca svolta sul campo, in cerca di un nuovo metodo per il costituzionalista, confrontato con un mondo del tutto nuovo, che non abbandonando il rigore, l’attaccamento al dato positivo e al testo, riesce a confrontarsi con una vera e propria rivoluzione in atto nel panorama giuridico europeo, come anche nel nostro modo di pensare il diritto. […]”
d Sent. Sigurjonsson vs. Islanda 30 giugno 1993
Sigurdur prende la licenza di tassista nel 1983 e il 26 settembre 1984 entra come membro nell’associazione dei tassisti; il 14 febbraio 1986 dice di non voler più esserne membro, poiché dal 5 febbraio l’associazione dice che avrebbe tolto il suo taxi cabin per il non pagamento della tassa annuale. L’associazione gli ritira anche la licenza, e, tanto che dopo aver dato adito, il signor Sigurjonsson alla CorteEDU, questa ribadisce il diritto ad non associarsi.
e Sent. 13 agosto 1981, caso Young, James e Webster [serie A/44]
L’art. 11 CEDU, malgrado il suo ruolo autonomo e la specificità della sua sfera di applicazione, può essere preso in considerazione anche alla luce degli artt. 9 e 10. La protezione delle opinioni personali offerta da tali articoli sotto forma di libertà di coscienza e libertà di espressione rientra tra gli obiettivi della garanzia della libertà di associazione da parte dell’art. 11. Il licenziamento dei ferrovieri era un pregiudizio troppo forte rispetto allo scopo legittimo i favorire le relazioni datori di lavoro-lavoratori previsto con la costrizione di aderenza al sindacato) a condizione che tuttavia venga rispettato un certo equilibrio.
f Sent. Partito comunista unificato vs. Turchia, 30 gennaio 1998
Il PCU, sciolto per la presenza del termine “comunista” nella denominazione, oltre che per il fatto che nel programma si propugnava di aprire il dibattito sulle sorti del popolo curdo – ritenuto dalla CC turca anticostituzionale e minante l’integrità territoriale -, adisce la CorteEDU, la quale rileva una violazione dell’art. 11 per il ruolo importantissimo dei partiti all’interno di una democrazia, anche attraverso libere elezioni e una pluralità partitica. Le eccezioni previste dall’art. 11 CEDU richiedono, riguardo ai partiti politici, una interpretazione restrittiva, poiché restrizioni alla loro libertà di associarsi possono essere imposte solo in base a ragioni convincenti e imperative. Per stabilire in un simile caso l’esistenza di una necessità ai sensi dell’art. 11.2, gli Stati contraenti dispongono solo di un ristretto margine di discrezionalità, che è accompagnato da un rigoroso controllo europeo, anche sulle leggi e relativamente all’indipendenza della magistratura. La Corte ha già rilevato la necessità di un tale controllo a proposito della condanna di un parlamentare per ingiuria; a maggiore ragione un simile controllo si impone quando si tratta dello scioglimento di tutto un partito politico e del divieto imposto a tutti ai suoi responsabili di esercitare in futuro qualsiasi attività similare. La Corte non ha il compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne competenti, ma non si deve nemmeno limitare a ricercare solo la buona fede e/o la ragionevolezza dello Stato convenuto: bisogna che consideri anche “la proporzione allo scopo legittimo perseguito”, e se i motivi invocati dalle autorità nazionali siano “pertinenti e sufficienti”.
g Sent. 10 luglio 1998, caso Sidiropoulos, di cui non si è rintracciato il testo
Invocare la consapevolezza di appartenere ad una minoranza e la preservazione e lo sviluppo della cultura di una minoranza non può essere considerato una minaccia per la «società democratica». Allo stesso modo, la presenza di taluni fondatori di un gruppo politico che rappresenta detta minoranza (nel nostro caso un’associazione no-profit per la tutela della cultura macedone) alla riunione di Copenaghen della CSCE del 9 giugno 1990 non potrebbe essere considerato un attentato alla sicurezza nazionale. L’integrità territoriale, la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico non minacciano il funzionamento di un’associazione il cui scopo è favorire la cultura di una regione; l’esistenza di minoranze e di culture diverse in un paese costituisce un fatto storico che una «società democratica» dovrebbe tollerare, proteggere e sostenere secondo i principi di diritto internazionale.
h Sent. 12 novembre 1969 Eric Stauder c. città di Ulm – Sozialamt [causa 29/69]
La decisione della Commissione n. 69/71 , al fine di favorire nel mercato comune le eccedenze di burro, autorizzava tutti gli Stati membri a porre a disposizione di alcune categorie di consumatori, beneficiari di determinate forme di assistenza sociale, del burro a un prezzo inferiore al normale. L’art. 4 di tale decisione, per evitare che il prodotto immesso sul mercato fosse sviato dalia sua destinazione, subordinava la fornitura di burro a prezzo ridotto alla presentazione di un “buono individualizzato”, risultando però, nella versione tedesca della normativa comunitaria, che dovesse trattarsi di un “buono indicante il nome” del beneficiario. Il signor Stauder, titolare del diritto in parola in quanto invalido di guerra, ritenendosi pregiudicato dal fatto di poter usufruire di burro a prezzo ridotto solo dichiarando il proprio nome al venditore, citava in giudizio, dinanzi al tribunale amministrativo di Stoccarda, la città di Ulm, chiedendo un provvedimento provvisorio di abolizione del menzionato obbligo. Il suddetto giudice interrogava in via pregiudiziale la CGCE. Quest’ultima ha affermato per la prima volta che l’ordinamento comunitario assicurava la tutela dei diritti fondamentali.
i Sent. 22 marzo 1990 CGCE, caso Le Pen (conclusione Jacobs) [causa C-201/89] [grassetti seguenti nostri]
1 Con sentenza 2 giugno 1989, pervenuta alla Corte il successivo giorno 26, la cour d' appel di Colmar ha sollevato, a norma dell' art . 177 del trattato CEE, una questione pregiudiziale vertente sull' interpretazione dell' ordinamento comunitario per quel che riguarda la giurisdizione rispettivamente di questa Corte e del giudice nazionale .
2 La questione è sorta nell' ambito di un' azione promossa dal sig . Jean-Marie Le Pen e dal partito politico "Front National" nei confronti delle persone, delle società e dei partiti politici ritenuti responsabili della redazione, traduzione, edizione, stampa e diffusione di un opuscolo vertente sulla crescita del razzismo e del fascismo in Europa . Tale opuscolo, realizzato su iniziativa del gruppo socialista del Parlamento europeo a seguito dell' adozione da parte del Parlamento stesso di una dichiarazione di condanna del razzismo e della xenofobia, è stato diffuso in varie lingue nei locali di detta istituzione a Strasburgo .
3 Gli attori, ritenendo che l' opuscolo di cui trattasi contenesse affermazioni diffamatorie nei loro confronti, convenivano dinanzi al tribunal de grande instance di Strasburgo ai fini del risarcimento del danno i signori Detlef Puhl e Andrew Bell, in qualità di autori del testo dell' opuscolo, il signor Rudi Arndt, in quanto presidente del gruppo socialista del Parlamento europeo, le società Thoma Druck e Printéclair, che avevano eseguito la stampa degli opuscoli, con sede rispettivamente, nella RF di Germania ed in Belgio, nonché i vari partiti socialisti europei appartenenti al gruppo socialista .
4 Il tribunal di Strasburgo dichiarava il difetto di giurisdizione in relazione alla domanda diretta contro l' Arndt, rilevando che questi aveva agito nell' ambito delle proprie funzioni di deputato del Parlamento europeo e godeva, pertanto, dell' immunità di cui all' art . 10 del protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee ( in prosieguo : il "protocollo "). Il tribunal respingeva, poi, le domande nei confronti degli altri convenuti, rilevando che, ai sensi dell' ordinamento francese, la loro responsabilità era subordinata rispetto a quella dell' editore responsabile che, nella specie, era perfettamente noto, essendo, cioè, il gruppo socialista del Parlamento europeo . Questi non era tuttavia provvisto, secondo l' ordinamento francese, di personalità giuridica .
5 La cour d' appel di Colmar, adita in appello, analizzava, in particolare, la tesi degli appellati, Puhl e altri, secondo cui solo la Corte di giustizia sarebbe competente a conoscere dell' azione, la quale rappresenterebbe un' azione per responsabilità extracontrattuale ex art . 215, secondo comma, del trattato CEE . A tal riguardo gli appellati hanno dedotto due argomenti . Innanzitutto, gli opuscoli sarebbero stati diffusi soltanto nei locali del Parlamento europeo, ragion per cui l' asserita diffamazione non sarebbe stata commessa su territorio francese . In secondo luogo, le azioni di responsabilità nei confronti delle istituzioni comunitarie e dei loro agenti rientrerebbero esclusivamente nella giurisdizione della Corte di giustizia .
6 Alla luce di tali argomenti, la cour d' appel ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale :
"Se la Corte di giustizia delle Comunità europee sia competente a conoscere dei fatti sopra illustrati dal momento che sono stati commessi nei locali del Parlamento europeo a Strasburgo ".
Dalla sentenza di rinvio si evince che per "fatti sopra illustrati" debba intendersi la diffusione di una pubblicazione che si asserisce essere diffamatoria .
7 Per una più ampia illustrazione degli antefatti e del procedimento nonché per una sintesi delle osservazioni scritte presentate alla Corte e delle risposte del Parlamento ai quesiti postigli dalla medesima, si fa rinvio alla relazione d' udienza . Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria per la comprensione del ragionamento della Corte .
8 Dall' esame del fascicolo emerge, come esattamente rilevato dalle parti della causa principale e dalla Commissione, che il giudice nazionale ha posto, in realtà, due differenti questioni . In primo luogo, se, ai sensi degli artt . 178 e 183 del trattato, la Corte sia l' unico giudice competente a conoscere di un' azione per responsabilità extracontrattuale derivante da una pubblicazione diffamatoria nei locali del Parlamento europeo . In secondo luogo, se il Parlamento europeo possa essere ritenuto responsabile della diffusione di una pubblicazione operata da un gruppo politico ad esso appartenente .
9 Per quanto attiene alla prima questione, le parti Puhl e altri, appellati nella causa principale, hanno invocato l' art . 1 del protocollo, relativo all' inviolabilità dei locali e degli edifici della Comunità, a sostegno della tesi che i giudici nazionali sarebbero del tutto incompetenti a conoscere dei fatti commessi all' interno di tali locali ed edifici, i quali rientrerebbero nella giurisdizione esclusiva della Corte di giustizia .
10 Tale tesi non può essere accolta . L' art . 1 del protocollo riguarda, come risulta dal suo stesso tenore, l' immunità dei locali e degli edifici nonché degli altri beni della Comunità nei confronti di provvedimenti coercitivi . Detta disposizione non attiene alla ripartizione delle competenze tra la Corte e i giudici nazionali in materia di responsabilità extracontrattuale .
11 Nessuna altra norma di diritto comunitario attribuisce, peraltro, alla giurisdizione della Corte di giustizia le azioni per responsabilità extracontrattuale che non siano promosse contro le Comunità o le sue istituzioni, anche qualora tali azioni censurino la diffusione di una pubblicazione diffamatoria nei locali di una di tali istituzioni .
12 Per quanto riguarda il secondo problema, relativo all' eventuale responsabilità del Parlamento europeo per le azioni compiute da un gruppo politico, si deve, innanzitutto, ricordare che, ai sensi dell' art . 26 del regolamento del Parlamento europeo, i deputati possono organizzarsi in gruppi secondo le affinità politiche . Tali gruppi si costituiscono previa trasmissione al presidente del Parlamento di una dichiarazione contenente la denominazione del gruppo, la firma dei suoi membri e la composizione del suo ufficio di presidenza .
13 Il regolamento del Parlamento europeo attribuisce ai gruppi politici determinati poteri ai fini della preparazione delle decisioni e delle posizioni da adottare, ad esempio, quello di presentare una mozione di censura ( art . 30 ) o quello di richiedere la discussione ( artt . da 32 a 35 ). Gli stessi poteri sono attribuiti ad un numero minimo di deputati, che varia a seconda dei casi .
14 Nessuna disposizione del regolamento del Parlamento europeo autorizza, invece, un gruppo politico ad agire in nome del Parlamento nei confronti di altre istituzioni o di terzi . Nessuna norma di diritto comunitario prevede che gli atti di un gruppo politico possano essere imputati al Parlamento europeo in quanto istituzione delle Comunità .
15 Ne consegue che la diffusione, da parte di un gruppo politico, di una pubblicazione reputata diffamatoria non fa sorgere la responsabilità extracontrattuale delle Comunità .
16 La questione sollevata va, pertanto, risolta dichiarando che gli artt . 178 e 183 del trattato CEE e 1 del protocollo sui privilegi e sulle immunità devono essere interpretati nel senso che :
a ) La Corte non è competente a conoscere di un' azione per responsabilità extracontrattuale semplicemente per il fatto che l' atto censurato sia stato compiuto nei locali del Parlamento europeo;
b ) non sorge responsabilità extracontrattuale delle Comunità in seguito alla diffusione, ad opera di un gruppo politico ai sensi dell' art . 26 del regolamento del Parlamento europeo, di una pubblicazione reputata diffamatoria .
Per questi motivi,
LA CORTE ( sesta sezione ), pronunciandosi sulla questione sottopostale dalla cour d' appel di Colmar con ordinanza 2 giugno 1989, dichiara:
Gli artt . 178 e 183 del trattato CEE e 1 del protocollo sui privilegi e sulle immunità devono essere interpretati nel senso che:
a ) La Corte non è competente a conoscere di un' azione per responsabilità extracontrattuale semplicemente per il fatto che l' atto censurato sia stato compiuto nei locali del Parlamento europeo;
b ) non sorge responsabilità extracontrattuale delle Comunità in seguito alla diffusione, ad opera di un gruppo politico ai sensi dell' art . 26 del regolamento del Parlamento europeo, di una pubblicazione reputata diffamatoria.
j Un inconscio ostacolo alla costruzione dell’Europa fu dato dalla “paura della grande Germania” (vedi, tra gli altri, anche Valli V., op. cit.) che provano alcuni leader degli Stati europei dopo l’unificazione tedesca. Il timore era appunto che la Germania, facendo leva sulla propria forza economica e finanziaria, giungesse a realizzare una vera e propria egemonia sull’Europa. Il discorso – che non è opportuno né necessario affrontare in questa sede, prettamente giuridica – taglia trasversalmente tutte le concezioni del mondo: per approdare a quella storico-economico-culturale accompagnata a quella psicologica-psicanalitica-psichiatrica individualistico-collettiva, bisogna richiamare concezioni anteriori che si rifanno a matrici filosofiche, teleologiche, antroposofiche e misterosofiche, in un processo costante di creazione-distruzione-rigenerazione che abbraccia tutte le culture.
Il punto è, nel nostro piano, che la paura archetipicamente è creatrice: non è lo status quo a fomentare il cambiamento, ma una condizione di percezione di insoddisfazione – e quindi di tensione, che porta al cambiamento e alla trasformazione; nel nostro caso, i punti sono due 1) la creazione delle Comunità Economiche avviene per paura dello stato-delle-cose post-guerra (in tensione sotto ogni punto di vista), o perlomeno la percezione di uno stato presunto tale 2) l’espansione dell’associazionismo all’interno della governance multilivello europea avviene per paura di non avere adeguate garanzie né dallo Stato nazionale né da quello sovranazionale e di percepire lontani e non propri (o all’opposto, soffocanti) le istituzioni.
k Sent. CC del 13 aprile 1989 n. 232, caso Fragd SpA vs. Ministero delle Finanze
Riferendosi alla legge 1203/1957 nella parte in cui ha dato esecuzione all’art. 177 del Trattato di Roma inerente al ricorso pregiudiziale, si denota come il giudizio della Corte Costituzionale italiana rispecchi la volontà di aderire all’ordinamento giuridico comunitario in maniera completa, almeno fintantoché non siano compromessi i diritti ed i principii fondamentali espressi nella nostra Costituzione (in linea con la gerarchia delle fonti del diritto) (riferendosi, ivi, in particolare al diritto della tutela giurisdizionale; ma il giudizio è estendibile a tutti i principi fondamentali costituzionalmente garantiti). La stessa Corte Costituzionale configura i due sistemi come autonomi e distinti, ancorché coordinate, così come la Corte costituzionale germanica risolve il problema del coordinamento riconoscendo la Corte di Giustizia come giudice naturale in queste materie.
l Per dovere di completezza, va aggiunto che in tal multidimensionalità della sfera associativa rientra anche la particolare famiglia delle associazioni esoteriche massoniche, para-massoniche o sedicenti tali. Pur essendo ricca la letteratura di tali famiglie, non conosciamo a fondo la situazione di quelle associazioni para-massoniche o sedicenti tali (che pur devono sottostare ai principi caratterizzanti il regime democratico, al di là delle specificità nazionali). Per ciò che attiene, invece, alla Massoneria, quale Istituzione Regolare e Tradizionale, di qualunque Obbedienza essa sia – purché si tratti di Logge di una Obbedienza e non di Logge Coperte, ovverosia includenti quelle caratteristiche di tradizionalità e regolarità, in primis facenti capo alla Gran Loggia Madre di Londra, che le implicita legalmente nel regime democratico - , nel caso italiano – lo dimostra la giurisprudenza – rientra nel campo delle associazioni non riconosciute, con pubblicità obbligatoria, seppur in un contesto di riservatezza, del piè di lista massonico. Il fatto che tutte le Obbedienze italiane abbiano una sede legale - Palazzo Giustiniani-Villa il Vascello, Roma per il G.O.I.; Lungo Tevere dei Mellini, 17, Roma per la G.L.R.I.; Piazza del Gesù-Palazzo Vitelleschi per la G.L.d.’I.; etc. -, oltre che uno Statuto, avvalora tale tesi. Discorso a parte per l’unica Loggia italiana non facente parte ad una Obbedienza nazionale, ma che rientra pienamente nel regime democratico, e comunque appartenente alla Federazione Massonica delle Logge Libere (composta da 4 Logge): la Loggia Bach. Però è difficile configurare l’associazionismo massonico all’interno di un discorso multi-level, se non in un senso generico di partecipazione attiva comunque alla vita nazionale, comunitaria ed internazionale, anche per via della riservatezza di documenti non accessibili ai Profani, oltre che per i molteplici Ordini, Gradi e Riti massonici. Di fatto, comunque, per richiamarne i principi, ivi ci si può rifare – sempre in via generale – agli artt. 14 e 15 degli Statuti Generali del 1820 del Rito Scozzese Antico e Accettato, secondo i quali si guarda sempre e comunque al «perfezionamento dell'uomo», in tutte le sue forme.
m La psicologia della Gestalt (in tedesco, “forma”), facente capo a Wertheimer, afferma, fra le altre cose, che in un gruppo, o, per meglio dire, in una relazionalità, in cui per sua natura il gruppo ne fa parte, il tutto – ovverosia l’insieme dei suoi elementi costitutivi – è più delle singoli parti: si crea una forma che si astrae e assume una dimensionalità diversa rispetto all’originarietà degli elementi, creando un valore aggiunto a quelle stesse parti. Nel nostro caso, tal prospettiva gestaltica non è presente: l’UE infatti sottrae forza al singolo, che, aumentata la numerosità associativa a livello nazionale, la vede diminuita però - e di contro – a livello sovranazionale.
n Table no.1: Typology of modes of Governance, in Kohler-Koch, 1999, p.23 and ss.
| Regola di ordinamento delle relazioni politiche | ||
Logica costitutiva sottostante la politica | | Regola della Maggioranza | Consociazione |
Benessere collettivo | STATISMO-MONISMO | CORPORATIVISMO-CONSOCIATIVISMO (Lijphart) | |
Interessi individuali | PLURALISMO | RETE DI GOVERNANCE EUROPEA |
o Table no.2: Differences between the Open Method of Coordination and the traditional soft law, in Borràs and Jacobsson, 2004, p.188
Metodo aperto di coordinamento, Lisbona, 2000 | Traditional Soft Law |
Governo intergovernativo, con ruolo dominante di Commissione e Consiglio Monitoraggio politico ad alti livelli Procedure trasparenti e processi interattivi Connessioni sistematiche e trasversali con le aree di policies Interconnessione fra le azioni statali e quelle sovranazionali Richiesta di partecipazione degli attori sociali Miglioramento dei processi di apprendimento | Approccio sovranazionale, con ruolo dominante di Commissione e CGCE Monitoraggio prettamente amministrativo Procedure deboli e personalizzate Collegamento non esplicito con le aree di policies Collegamento non esplicito fra i livelli statale e sovranazionale Richiesta di partecipazione non esplicitata Gli obiettivi di miglioramento dei processi non sono esplicitati |
1 Ridola Paolo, Libertà e diritti nello sviluppo storico del costituzionalismo
2 Amato Giuliano, Forme di Stato e forme di governo, Bologna, Il Mulino, 2006
3 Bache Ian, Flinders Matthew, Multi-level Governance, Oxford, Oxford University Press, 2004, pp. 17-30
4 Bache Ian, Flinders Matthew, Multi-level Governance, Oxford, Oxford University Press, 2004, pp. 71-79
5 Hooge Liesbet, Marks Gary, Multi-level Governance and European Integration, Oxford, Rowman&Littlefield, 2001, pp. 15-16
6 Hooge Liesbet, Marks Gary, Multi-level Governance and European Integration, Oxford, Rowman&Littlefield, 2001, pp. 78-81
7 Hooge Liesbet, Marks Gary, Multi-level Governance and European Integration, Oxford, Rowman&Littlefield, 2001, pp. 133-135
8 Hooge Liesbet, Marks Gary, Multi-level Governance and European Integration, Oxford, Rowman&Littlefield, 2001, pp. 156-158
9 Mucchi Faina Angelica, L’influenza sociale, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 109
10 Grossi Paolo, Prima lezione di diritto, Bari, Editori Laterza, 2003, pp.11-18
11 Grossi Paolo, Prima lezione di diritto, Bari, Editori Laterza, 2003, pp.20-21
12 Ferraro Angelo, Costituzione europea e diritti fondamentali dell’uomo, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, anno XLIII, n. 3, luglio-settembre 2004, Milano-Parma-Napoli, Editoriale Scientifica, p. 456
13 Pinelli Cesare, «Mercati globali», in Studi in onore di Leopoldo Elia – Tomo II, Milano, Giuffrè Editore, 1999, pp. 1286-1291
14 Häberle Peter, Le libertà fondamentali nello Stato costituzionale, Firenze, La Nuova Italia Scientifica, 1993
15 Conforti Benedetto, Diritto internazionale, Napoli, Editoriale Scientifica, 2002, pp. 166-167 e p. 176
16 Sorace Domenico, Diritto delle amministrazioni pubbliche – una introduzione, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 32
17 Sorace Domenico, Diritto delle amministrazioni pubbliche – una introduzione, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 35-36
18 Sorace Domenico, Diritto delle amministrazioni pubbliche – una introduzione, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 19-20
19 Conforti Benedetto, Diritto internazionale, Napoli, Editoriale Scientifica, 2002, pp. 340-341
20 Cartabia M.-Weiler J. H. H., L’Italia in Europa – Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 199
21 Gaja Giorgio, Introduzione al diritto comunitario, Bari, Editori laterza, 2007, p. 13
22 Gaja Giorgio, Introduzione al diritto comunitario, Bari, Editori laterza, 2007, pp. 133-134
23 Draetta Ugo, Elementi di diritto dell’Unione Europea – Parte istituzionale, Milano, Giuffrè Editore, 2004, p. 24
24 Caretti Paolo, De Siervo Ugo, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, Giappichelli Editore, 2002, p. 87
25 Cartabia M.-Weiler J. H. H., L’Italia in Europa – Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 99-100
26 Ridola Paolo, Libertà e mercato nella Costituzione Europea, in Annuario 1999 – La costituzione europea – Atti del XIV Convegno Annuale, Perugia, 7-8-9 ottobre 1999, Padova, CEDAM, 2000, p. 328
27 Siclari Massimo, Contributi allo studio della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Torino, Giappichelli Editore, 2003, pp. 88-93
28 Sorace Domenico, Diritto delle amministrazioni pubbliche – una introduzione, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 35-36
29 Mengozzi Paolo, Istituzioni di diritto comunitario e dell’Unione Europea, Padova, CEDAM, 2003, pp. 80-83
30 Atripaldi Vincenzo-Miccù Roberto, L’omogeneità costituzionale nell’Unione Europea, Padova, CEDAM, 2003, pp. 122-125, pp. 435-436
31 Ridola Paolo, Libertà e mercato nella Costituzione Europea, in Annuario 1999 – La costituzione europea – Atti del XIV Convegno Annuale, Perugia, 7-8-9 ottobre 1999, Padova, CEDAM, 2000, p. 351
32 Zagrebelsky Gustavo-Portinaro Pier Paolo-Luther Jörg, Il futuro della Costituzione, Torino, Einaudi, 1996, p. 373
33 Cartabia M.-Weiler J. H. H., L’Italia in Europa – Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 238-240
34 Ridola Paolo, Libertà e mercato nella Costituzione Europea, in Annuario 1999 – La costituzione europea – Atti del XIV Convegno Annuale, Perugia, 7-8-9 ottobre 1999, Padova, CEDAM, 2000, pp. 548-549
35 Gerim Guido, Funzione e funzionamento dei comitati etici, Padova, CEDAM, 1991, p. 85
36 La Pergola Antonio, Costituzione e integrazione europea, in Studi in onore di Leopoldo Elia – Tomo I, Milano, Giuffrè Editore, 1999, pp. 822-845
37 Manzella Andrea, L’identità costituzionale dell’Unione europea, in Studi in onore di Leopoldo Elia – Tomo II, Milano, Giuffrè Editore, 1999, pp. 929-938
38 Manzella Andrea, L’identità costituzionale dell’Unione europea, in Studi in onore di Leopoldo Elia – Tomo II, Milano, Giuffrè Editore, 1999, pp. 929-938
39 Atripaldi Vincenzo-Miccù Roberto, L’omogeneità costituzionale nell’Unione Europea, Padova, CEDAM, 2003, pp. 122-125, pp. 430-432
40 Atripaldi Vincenzo-Miccù Roberto, L’omogeneità costituzionale nell’Unione Europea, Padova, CEDAM, 2003, pp. 57-84
41 Calvano Roberta, La Corte Costituzione e il nuovo orizzonte della tutela multilivello dei diritti fondamentali alla luce della riflessione di S. Panunzio, in http://www.associazionedeicostituzionalisti.it
42 Atripaldi Vincenzo-Miccù Roberto, L’omogeneità costituzionale nell’Unione Europea, Padova, CEDAM, 2003, pp. 57-84
43 Ferraro Angelo, Costituzione europea e diritti fondamentali dell’uomo, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, anno XLIII, n. 3, luglio-settembre 2004, Milano-Parma-Napoli, Editoriale Scientifica, pp. 446-447
44 De Salvia Michele, Lineamenti di diritto europeo dei diritti dell’uomo, CEDAM, 1991, pp. 44-48
45 De Salvia Michele, La Convenzione Europea dei diritti dell’uomo – Procedure e contenuti, Editoriale Scientifica, 1999, pp. 134-136
46 Mastronardi Francesco, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Napoli, Edizioni Simone, 2001
47 Bartole Sergio-Conforti Benedetto-Raimondi Guido, Commentario alla Convenzione Europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, CEDAM, 2001, pp. 359-363
48 Bartole Sergio-Conforti Benedetto-Raimondi Guido, Commentario alla Convenzione Europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, CEDAM, 2001, pp. 359-363
49 Andriantsimbazovina Joël, De la difficulté de construire un ius commune européen des droits del l’homme – Quelques considérations sur a jurisprudence de la Cour Européenne des Droits del l’Homme en 2004, in Cahiers de droit européen, anno 42, n. 1-2, Bruxelles, Bruylant, 2006, p. 253
50 De Salvia Michele, Lineamenti di diritto europeo dei diritti dell’uomo, CEDAM, 1991, pp. 210-213
51 Ridola Paolo, Libertà e mercato nella Costituzione Europea, in Annuario 1999 – La costituzione europea – Atti del XIV Convegno Annuale, Perugia, 7-8-9 ottobre 1999, Padova, CEDAM, 2000, pp. 336-337
52 Carlassare Lorenza, in Le libertà e i diritti nella prospettiva europea – Atti della giornata di studio in memoria di Paolo Barile, Padova, CEDAM, 2002, p. 94
53 Cheli Enzo, in Le libertà e i diritti nella prospettiva europea – Atti della giornata di studio in memoria di Paolo Barile, Padova, CEDAM, 2002, pp. 192-193
54 Atripaldi Vincenzo-Miccù Roberto, L’omogeneità costituzionale nell’Unione Europea, Padova, CEDAM, 2003, pp. 122-125
55 Bovincini Gianni, Tosato Gian Luigi, Le relazioni internazionali dell’Unione europea dopo i Trattati di Amsterdam e Nizza, Torino, Giappichelli Editore, 2003, pp. 20-21
56 Gaja Giorgio, Introduzione al diritto comunitario, Bari, Editori laterza, 2007, pp. 9-10
57 Pocar Fausto, Diritto dell’Unione e delle Comunità Europee, Milano, Giuffrè Editore, 2006, pp. 101-102
58 Mengozzi Paolo, Istituzioni di diritto comunitario e dell’Unione Europea, Padova, CEDAM, 2003, pp. 279-280
59 Nascimbene Bruno, Condinanzi Massimo, Giurisprudenza di diritto comunitario – Casi scelti, Milano, Giuffrè Editore, 2007, pp. 4-5
60 Pocar Fausto, Diritto dell’Unione e delle Comunità Europee, Milano, Giuffrè Editore, 2006, pp. 104-107
61 Mazella Andrea, in Le libertà e i diritti nella prospettiva europea – Atti della giornata di studio in memoria di Paolo Barile, Padova, CEDAM, 2002, pp. 166-167
62 La Carta ha il merito di aver tentato di valorizzare al massimo non solo il summenzionato principio dell’indivisibilità, ma anche quello dell’universalità dei diritti fondamentali, conferendo i diritti in essa contemplati ad ogni individuo, a prescindere dalla sua cittadinanza o dal suo luogo di residenza. È questa forse la più importante peculiarità del testo di Nizza, che ha permesso a molti autori di definirlo un documento “antropocentrico”. Un documento che riesce cioè a coniugare ed equilibrare in modo apprezzabile le due fondamentali modalità assiologiche dell’agire giuridicamente rilevante della persona umana: quella della libertà (ossia del diritto, in senso soggettivo, nella sua massima espressione e potenza) e quella della solidarietà (ossia del dovere in tutte le sue forme ed esperienze). Considerazioni espresse da Ferraro Angelo, Costituzione europea e diritti fondamentali dell’uomo, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, anno XLIII, n. 3, luglio-settembre 2004, Milano-Parma-Napoli, Editoriale Scientifica, pp. 472-473
63 Micheletti Matteo, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: interpretazione per principi generali e pluralismo giuridico, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, anno XLII, n. 2, aprile-giugno 2003, Milano-Parma-Napoli, Editoriale Scientifica, pp. 298-301
64 Micheletti Matteo, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: interpretazione per principi generali e pluralismo giuridico, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, anno XLII, n. 2, aprile-giugno 2003, Milano-Parma-Napoli, Editoriale Scientifica, pp. 298-301
65 Barbera Augusto, in Le libertà e i diritti nella prospettiva europea – Atti della giornata di studio in memoria di Paolo Barile, Padova, CEDAM, 2002, p. 122
66 Zagrebelsky Gustavo-Portinaro Pier Paolo-Luther Jörg, Il futuro della Costituzione, Torino, Einaudi, 1996, pp. 340-341
67 Mastronardi Francesco, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Napoli, Edizioni Simone, 2001, pp.43-44; Bifulco Raffaele-Cartabia Marta-Celotto Alfonso, L’Europa dei diritti – Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 106-115; e Siclari Massimo, Contributi allo studio della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Torino, Giappichelli Editore, 2003, p. 53
68 Rivosecchi Guido, La Carta dei diritti fondamentali, in Rassegna di diritto pubblico europeo, anno I, numero 1-2, gennaio-dicembre 2002, pp. 102-107
69 Zagrebelsky Gustavo-Portinaro Pier Paolo-Luther Jörg, Il futuro della Costituzione, Torino, Einaudi, 1996, pp. 351-353
70 Siclari Massimo, Contributi allo studio della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Torino, Giappichelli Editore, 2003, pp. 88-93
71 Vigliar Emilia, Il modello dell’Unione europea nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, anno XLIV, n. 1, gennaio-marzo 2005, Milano-Parma-Napoli, Editoriale Scientifica, pp. 158-159
72 Zagrebelsky Gustavo-Portinaro Pier Paolo-Luther Jörg, Il futuro della Costituzione, Torino, Einaudi, 1996, pp. 357-359
73 Zagrebelsky Gustavo-Portinaro Pier Paolo-Luther Jörg, Il futuro della Costituzione, Torino, Einaudi, 1996, pp. 357-359
74 Zagrebelsky Gustavo-Portinaro Pier Paolo-Luther Jörg, Il futuro della Costituzione, Torino, Einaudi, 1996, pp. 357-359
75 Valli Vittorio, Politica economica europea, Roma, Carocci, 2002, pp.43-46
76 Valli Vittorio, Politica economica europea, Roma, Carocci, 2002, pp.83-84
77 Leonardi R., Coesione, convergenza e integrazione nell’Unione Europea, Bologna, Il mulino, 1998, pp. 247-48
78 Valli Vittorio, Politica economica europea, Roma, Carocci, 2002, pp.87-89
79 Sapir André, Aghion Philippe, Bertola Giuseppe, Hellwig Martin, Pisani-Ferry Jean, Rosati Dariusz, Vinals José, Wallace Helen, Europa, un’agenda per la crescita, Bologna, Il Mulino , 2004, pp. 141-159
80 Sapir André, Aghion Philippe, Bertola Giuseppe, Hellwig Martin, Pisani-Ferry Jean, Rosati Dariusz, Vinals José, Wallace Helen, Europa, un’agenda per la crescita, Bologna, Il Mulino , 2004, pp. 167-168
81 Sapir André, Aghion Philippe, Bertola Giuseppe, Hellwig Martin, Pisani-Ferry Jean, Rosati Dariusz, Vinals José, Wallace Helen, Europa, un’agenda per la crescita, Bologna, Il Mulino , 2004, p. 208
82 Sapir André, Aghion Philippe, Bertola Giuseppe, Hellwig Martin, Pisani-Ferry Jean, Rosati Dariusz, Vinals José, Wallace Helen, Europa, un’agenda per la crescita, Bologna, Il Mulino , 2004, p. 211 e p. 281
83 Sapir André, Aghion Philippe, Bertola Giuseppe, Hellwig Martin, Pisani-Ferry Jean, Rosati Dariusz, Vinals José, Wallace Helen, Europa, un’agenda per la crescita, Bologna, Il Mulino , 2004, p. 284-287
84 Caiola Antonio, Una sentenza controversa in tema di rapporti fra diritto interno ed ordinamento comunitario con riferimento ai diritti fondamentali, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, anno XXXI, n. 1-2, gennaio-giugno 1991, Milano-Parma-Napoli, Editoriale Scientifica, pp. 121-123
85 Ridola Paolo, Libertà e diritti nello sviluppo storico del costituzionalismo
86 compenetrazione discorsiva, fatta attraverso il richiamo a concetti espressi durante la lezione del Prof. Francesco Clementi del 17 ottobre 2007, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Perugia, Italy
87 Jachtenfuchs Markus, The Governance Approach to European Integration, in Journal of Common Market Studies, Vol.no.39, No.2, 2001, pp.245-264;
Jachtenfuchs Markus and Beate Kohler-Koch, Governance and Istitutional Development, in Antje Wiener and Thomas Dietz (eds.), European Integration Theory, Oxford, Oxford University Press, 2004, pp. 97-116;
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88 Jachtenfuchs Markus, The Governance Approach to European Integration, in Journal of Common Market Studies, Vol.no.39, No.2, 2001, pp.245-264;
Jachtenfuchs Markus and Beate Kohler-Koch, Governance and Istitutional Development, in Antje Wiener and Thomas Dietz (eds.), European Integration Theory, Oxford, Oxford University Press, 2004, pp. 97-116;
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Kohler-Koch, Beate, Thomas Conzelmann and Michèle Knodt, Europäische Integration – Europäisches Regieren, Lehbruch, Wiesbaden, Verlag für Sozialwissenschaften, 2004
89 Hériter Adrienne, New modes of governance in Europe: Increasing Political Capacity and Policy Effectiveness?, in Tanija Börzel and Rachel A. Cichowski (eds.), The State of European Union, Vol.no.6, Law, Politics and Society, Oxford, Oxford University Press, 2003, pp. 105-126
90 Jachtenfuchs Markus, The Governance Approach to European Integration, in Journal of Common Market Studies, Vol.no.39, No.2, 2001, pp.245-264;
Jachtenfuchs Markus and Beate Kohler-Koch, Governance and Istitutional Development, in Antje Wiener and Thomas Dietz (eds.), European Integration Theory, Oxford, Oxford University Press, 2004, pp. 97-116;
Kohler-Koch, Beate, The evolution and transformation of European governance, in Beate Kohler-Koch and Rainer Eising (eds.), The Transformation of Governance in the European Union, London and New York, Routledge, 1999, pp.14-35;
Kohler-Koch, Beate, Thomas Conzelmann and Michèle Knodt, Europäische Integration – Europäisches Regieren, Lehbruch, Wiesbaden, Verlag für Sozialwissenschaften, 2004
91 Guzzetta Giovanni, Il diritto costituzionale di associarsi, Milano, Giuffrè Editore, 2003, pp. 32-33, nota (106)
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