Caretti Paolo, De Siervo Ugo, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, Giappichelli Editore, 2002, p. 87
Principio di sussidarietà art. 5 Tr. Maastricht dell’Ue, funzione di freno all’ampliamento dell’area degli interventi comunitari, a tutela delle competenze degli Stati membri
Tr. Amstram 1997 con ulteriore valorizzazione della cittadinanza europea rispetto ad Amsterdam
Tr. Nizza febbraio 2001
Dichiarazione di Laeken 15 dicembre 2001
Carta Europea dei diritti fondamentali del dicembre 2000 (proclamata a Nizza)
CEDU Roma 1950, con Protocolli, fino all’11 del 1 novembre 1998 , con radicake riforma della Convenzione e fusione dei due organi di controllo, Commissione e Corte Europea, in una Corte unica
Conforti Benedetto, Diritto internazionale, Napoli, Editoriale Scientifica, 2002, p. 176
Senza dubbio tra i principi del diritto comunitario […] ve ne sono alcuni che sono propri del vincolo federale, primo fra tutti il principio della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno. Ciò nonostante le comunità nel loro complesso restano, almeno allo stato attuale delle cose, delle organizzazioni internazionali sia pure altamente sofisticate, la sovranità degli Statimembri non potendo considerarsi degradata, neppure nelle materie di competenza comunitaria, ad autonomia. [il centro del potere decisionale comunitario allo stato attuale è ancora costituito dagli Esecutivi nazionali
Conforti Benedetto, Diritto internazionale, Napoli, Editoriale Scientifica, 2002, pp. 340-341
In una serie di sentenze assai note […] la Corte di Giustizia delle Comunità ha ritenuto che la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, ancorché non espressamente previsti dai Trattati CE, CECA ed EURATOM, non sia estranea al diritto comunitario, che quivi essa sia rilevabile per sintesi tenendo presenti le «tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri» nonchp le Convenzioni sui diritti umani vincolanti tali Stati […] e che siffatta sintesi debba proceder essa Corte nella funzione di controllo del rispetto del diritto comunitario. La prassi della Corte ha poi trovato esplicito riconoscimento nel Trattato di Maastricht il quale stabilisce ll’art. 6, par. 2 che l’Unione Europea «rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea… dei diritti dell’uomo…, firmata a Roma il 4.11.1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario». Un altro strumento al quale la Corte può oggi fare riferimento è la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, solennemente proclamata a aNizza nel dicembre 2000 dal Cnsiglio dell’Unione, ma priva di forza vincolante. La Carta, da considerare una sorta di Dichiarazione di principi a livello regionale [non autonoma fonte di norme internazionali generali] (ma c’è chi, più entusiasticamente, la considera il primo nucleo di una Costituzione degli Stati Uniti d’Europa), attinge ai trattati sui diritti umani preesistenti. C’è da prevedere che la Carta sarà largamente utilizzata dalla Corte nella sua funzione di ricostruzione della tutela dei diritti fondamentali in ambito comunitario […]
Conforti Benedetto, Diritto internazionale, Napoli, Editoriale Scientifica, 2002, pp. 166-167
Si discute sulla natura giuridica delle Comunità europee ed in particolare se si tratti di vere e proprie organizzazioni internazionali – ossia di organizzazioni fra Stati sovrani che traggono dal diritto internazionale, attraverso i rispettivi trattati istitutivi, i loro poteri – oppure di embrioni o frammenti di Stati federale, caratterizzati dalla erosione, nelle materie di competenza comunitaria, delle sovranità statali. Senza dubbio le comunità presentano elementi che non si riscontarno in alcuna organizzazione internazionale, come gli ampi poteri decisionali attribuiti ai loro organi, la loro sostituzione agli Stati membri nella disciplina di molti rapporti puramente interni a questi ultimi, l’esistenza di una Corte di giustizia destinata a controllare la conformità dei loro trattati istitutivi dei comportamenti degli organi e degli Stati membri, ecc. Senza dubbio tra i principi del diritto comunitario, così come delineati dai trattati istitutivi della Comunità ma ancor più così come essi si sono venuti affermando nella prassi sia comunitaria che interna agli Stati membri, ve ne sono alcuni che sono propri del vincolo federale, primo fra tutti il principio della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno. Ciò nonostante le Comunità nel loro complesso restano , almeno allo stato attuale delle cose, delle organizzazioni internazionali sia pure altamente sofisticate, la sovranità degli Stati membri non potendo considerarsi degradata, neppure nelle materie di competenza comunitaria, ad autonomia. Il fatto poi che nella più importante fra le Comunità, la CE, il centro del potere decisionale comunitario sia costituito ancora […] dagli Esecutivi nazionali (cosa che per l’appunto caratterizza le organizzazioni internazionali) rafforza l’opinione qui sostenuta.
Hooge Liesbet, Marks Gary, Multi-level Governance and European Integration, Oxford, Rowman&Littlefield, 2001, pp. 15-16
I gruppi di interesse si mobilitano intensamente nell’arena europe, ed è natrale che anche la Commissione prenda seriamente i loro input. Sono state mobilitate, presso Bruxelles, organizzazioni nazionali e regionali di ogni tipo, ed il loro numero crescente dimostra la loro trasversalità in Europa (secondo i dati della Commissione erano 3000 lobbies che davano lavoro a 10000 persone nel 1992). Queste non solo influenzano l’agenda setting europea, ma risultano influeneti nell’assegnazione delle responsabilità per particolari iniziative, soprattutto per ciò che attiene al mercato comune (come si vede, ad esempio, dall’influenza nell’Agenda 2000) […]
Hooge Liesbet, Marks Gary, Multi-level Governance and European Integration, Oxford, Rowman&Littlefield, 2001, pp. 78-81
Gli attori europei intensificano i contatti gli uni con gli altri creando associazioni transnazionali, stabilendosi direttamente a Bruxelles, chiedendo aggiornamenti rispetto alle iniziative europee, chiedendo canali formali per influenzare le rappresentanze dell’Unione. C’è una moltiplicazione di canali associativi che vanno al di là della concezione stato-centrica o euro-centrica, come fossero governi sotto-nazionali (come dimostrano anche le relazioni del Committee of Regions):
Hooge Liesbet, Marks Gary, Multi-level Governance and European Integration, Oxford, Rowman&Littlefield, 2001, pp. 133-135
I proponenti di un capitalismo regolato hanno fatto sì che si parlasse di cooperazione volontaria fra gruppi, in più gradi, fino ad arrvare ad un “dialogo sociale” ed una “social partnership” che proceda per interessi afferenti, comprenda compressi sociali, e coinvolga i partiti; il tutto all’interno di un espace organisé.
Hooge Liesbet, Marks Gary, Multi-level Governance and European Integration, Oxford, Rowman&Littlefield, 2001, pp. 156-158
Addirittura, l’esperienza transnazionale vanno oltre la sovranazionalità, pocihè si controllano più fattori e più variabili, nelle ambedue versioni inter e intranazionale, che sono anche fonti di informazioni extra-istituzionali (nazionali ed europee) di altà qualità.
Bache Ian, Flinders Matthew, Multi-level Governance, Oxford, Oxford University Press, 2004, pp. 17-30
Vi sono due tipi di multi-level: il Tipo I comprende il federalismo, con relazioni fra governo centrale e governi nazionali, con pochi livelli e basso grado di complessità; il Tipo II – in oggetto anche per la libertà d’associazione – ri-alloca, invece, il federalismo all’interno di un frastagliamento in scala, ad alta complessità sistemica, oltrechè flessibile [TERMODINAMICA]: questa assegna benefici e costi, include industrie e istituzioni, ma a livello di associazionismo – in una prospettiva di varietà di interessi e attori – include uan policentricità ed una forte eterogeneità di gruppi
Bache Ian, Flinders Matthew, Multi-level Governance, Oxford, Oxford University Press, 2004, pp. 71-79
Per l’UE si parla di metagovernance, comprendente conferenze intergovernative e “conversazioni” sovracostituzionali, che mette l’accento su un coordinamento complesso ed interdipendente, un framework sinergico che – anche per via del principio di sussidarietà – fa capo a Consiglio e Commissione; ma che si dinapa anche in network paralleli, autorità di regolamentazione [!!!], reti per l’innovazione tecnologica. Poiché la multi-level governance comprende una sussidarietà orizzontale e verticale, emerge di più un ordine negoziale piuttosto che legami legalistico-formali, come fossero un network familiare di idee, per una governance “domestica”. Essa non si riferisce a relazioni intergovernative come usualmente concepite, e, data la varietà degli attori non-pubblici, tende comunque a rimarcare la propria variabilità attraverso strutture gerarchiche simil-istituzionali: e, ad ogni modo, la diversità degli attori tende a creare collegamenti multipli fra processi di governance a differenti livelli. A livello locale, prevale l’idea di negoziare direttamente con le istituzioni locali influenti, mentre le associazioni transnazionali hanno la possibilità di decidere se negoziare ad un livello superiore o inferiore; l’evoluzione delle strutture della multi-level governance contribuisce a costruire condotti innovativi fra il pubblico e le istituzioni coinvolte nella rete. Per questo, bisogna riappropriarsi del significato di democrazia e il ruolo della rappresentatività, nel segno di una moltiplicazione degli attori in gioco che ridimensiona il potere della singola associazione, e che può aumentare la partecipazione proprio grazie alla complessità sistemica.
Bovincini Gianni, Tosato Gian Luigi, Le relazioni internazionali dell’Unione europea dopo i Trattati di Amsterdam e Nizza, Torino, Giappichelli Editore, 2003, pp. 20-21
La coerenza d’azione risulta essere al contempo principio guida ed esigenza primaria del sistema posto dal Trattato sull’Unione europea. Varie sono, nn a caso, le disposizioni del TUE che fanno espicito riferimento a tale nozione. L’art. 1 delle disposizioni comuni afferma che l’Unione «ha il compito di organizare in modo coerente e solidale le relazioni tra gli Stati membri e i loro popoli».
Un aspetto problematico sottolineato dalla dottrina con riferimento alla nozione di “coerenza” nel sistema TUE trae origine da questioni linguistiche. Se nelle versioni tedesca, francese, italiana, spagnola, portoghese, oloandese e danese vengono utlizzati [termini assimilabili alla parola coherence-coerenza], nella versione inglese si fa utilizzo della parola consistency […]. In effetti, non si tratta di questione di poco conto, in quanto, in termini di teoria generale del diritto, i concetti di consistency e di coherence debbono essere tenuti distinti. Se i concetto di consistency è un concetto statico, che fa riferimento all’assenza di contraddizioni, quello di coherence è per contro un concetto dinamico, che fa riferimento all’esistenza di connessioni positive, ad esempio, tra due soluzioni normative o tra due politiche. In sostanza, due politiche possono essere più o meno coherent, ma non possono essere più o meno consistent – o lo sono o non lo sono. In un ambito quale quello dell’azione internazionale dell’Unione, il concetto di consistency risulta meno adatto rispetto a quello di coherence. […]
L’art. 3, primo paragrafo, afferma, come si è visto, che l’Unione «dispone di un quadro istituzionale unico che assicura la coerenza e la continuità delle azioni svolte» […]
La coerenza c.d. “verticale” deve essere raggiunta per mezzo dell’applicazione dinamica di due distinti principi di riferimento […] infatti, agiscono le clausole di salvaguardia del principio di sussidarietà (art. 2 TUE, ulrimo paragrafo) e dell’”identità nazionale” degli Stati membri (art. 6 TUE, terzo paragrafo) […] La coerenza “verticale” dell’Unione deve essere così perseguita all’insegna del delicato equlibrio tra l’affermazione dell’identità dell’Unione, da un lato, e la tutela delle identità degli Stati membri, dall’altro.
Gaja Giorgio, Introduzione al diritto comunitario, Bari, Editori laterza, 2007, pp. 9-10
Conformemente alla concezione dell’Europa funzionale, sono stati progressivamente attribuiti poteri alla Comunità senza tracciare un disegno complessivo dei rapporti fra Comunità e Stati membri; del resto il conferimento di nuove competenze alla Comunità presuppone la conclusione di ulteriori trattati, che richiedono ovviamente la ratifica da parte di tutti gli Stati membri. [è in questo vuoto che intercede la l.d.a] […]
Una sentenza della Corte Costituzionale tedesca (sent. 12 ottobre 1993, in «Neue Juristische Wochenschrift», 1993, p.3407) ha affermato che debbano comunque rimanere al parlamento tedesco funzioni e poteri di volore sostanziale. Tale tesi si basa sulla considerazione che un ruolo dei Parlamenti nazionali sia fondamentale per assicurare una legittimazione democratica all’Unione europea. Il ragionamento della Corte tedesca appare fondato più su di una concezione particolare di teoria politica che non su di una analisi delle norme del Trattato sull’Unione Europea. Nella medesima sentenza la Corte costituzionale tedesca ha considerato che gli Stati membri sono ancora «padroni dei trattati», nel senso che essi possano, esprimendo una volontà contraria all’atto di ratifica o di adesione ai Trattati istitutivi della Comunità e dell’Unione, far venir meno la loro partecipazione alla Comunità e all’Unione.
Gaja Giorgio, Introduzione al diritto comunitario, Bari, Editori laterza, 2007, p. 13
L’art. 22 del Trattato CE prevede una procedura per emanare «disposizioni intese a completare i diritti previsti» negli articoli precedenti [relativi al diritto di cittadinanza e affini]; occorre tuttavia, per tali disposizioni, «l’adozione da paret degtli Stati membri, conformemente alle loro rispettive norme costituzionali». Si prospetta così l’eventualità di un arricchimento dello status del cittadino dell’Unione senza ricorrere ad una modifica del Trattato.
Gaja Giorgio, Introduzione al diritto comunitario, Bari, Editori laterza, 2007, pp. 133-134
ha invece sindacato la leggedi esecuzione del Trattao CECA in quanto gli effetti interni dell’attività comunitaria «vanno determinati senza pregiudizio del diritto del singolo alla tutela giurisdizionale», considerando tale diritto tra «quelli inviolabili dell’uomo». Queste affermazioni sono state sviluppate nella sent. 27 dicembre 1973 n. 183 (in «Giur. Cost.», 1973, I, p. 2401) [anche se riferita alle limitazioni di sovranità] […]
Il limite posto all’applicazione delle norme comunitarie, così coem configurato nella sentenza del 1973, assume scarso rilievo. […] È certo che la tutela dei diritti fondamentali si è notevolmente sviluppata sul piano comunitario, riducendo così le ipotesi in cui non risultano tutelati diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. Tuttavia, come la stessa Corte costituzionale ha rilevato più tardi (sent. 21 aprile 1989 n. 232, in «Giur. Cost.», 1989, I, p. 1001), «quel che è sommamente improbabile è pur sempre possibile; inoltre, va tenuto conto che almeno in linea teorica generale non potrebbe affermarsi con certezza che tutti i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale si ritrovino fra i principi comuni agli ordinamenti degli Stati membri e quindi siano compresi nell’ordinamento comunitario»
[apuurato che la l.d.a. c’è sin dalla CEDU, la scorporazione della libertà di associazine da quella di riunione è un corollario ai diritti fonadamentali dell’individuo?]
Draetta Ugo, Elementi di diritto dell’Unione Europea – Parte istituzionale, Milano, Giuffrè Editore, 2004, p. 28
L’unico metodo che può consentire di affrontare con successo le sfide cui si trova di fronte l’Europa è il metodo federale [contro il deficit democratico, ma ciò è contrastato dall’stinto di conservazione degli Stati nazionali, così come contrsatta è la delega a livello sovranazionale del processo legislativo e/o la rinunzia a parti di sovranità]
Ed è anche vero che la dottrina si applica grandemente a spiegare che l’esperienza dell’Unione Europea ha superato la dicotomia Stato nazionale-Stato federale, realizzando una formula integrativa del tutto nuova ed originale. I contorni di tale nuova formula appaiono, però, fumosi, mentre i nodi cruciali dell’integrazione comunitaria restano, di revisione in revisione dei Trattati, irrisolti.
[ancora vuoto da colmare col multi-level] [il principio di sussidarietà ha una dimensione interistituzionale ed è legato al problema del deficit democratico]
Pocar Fausto, Diritto dell’Unione e delle Comunità Europee, Milano, Giuffrè Editore, 2006, pp. 101-102
[l’art. 6 (ex art. F) del trattato UE dichiara che «l’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri».] Benchè una dichiarazione di questo genere si trovi nei testi comunitari solo nel Trattato UE, il rispetto dei diritti fondamentali era stato consuderato un elemento essenziale della costruzione comunitaria fin dal suo inizio, come dimostarno numerose sentenze della Corte di giustizia che, nel rilevare i principi di diritto comuni agli Stati membri e le regole relative all’applicazione dei Trattati, vi avevano incluso la protezione dei diritti umani […]. L’impegno a tutelarli era stato successivamente affermato dalla dichiarazione comune adottata dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione il 5 aprile 1977 sui diritti fondamentali […]. Osservando che il diritto su cui si fondano i trattati istitutivi comprende anche i diritti fondamentali, le tre istituzioni avevano infatti formalmente sottolineato «l’importanza essenziale che esse attribuiscono al rispetto dei diritti fondamentali, quali risultano in particolare dalle costituzioni degli Stati membri nocnhè dalla convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali», e affermato che «nell’esercizio dei loro poteri e perseguendo gli obiettivi delle Comunità europee, essi rispettano e continueranno a rispettare tali diritti». Benchè il rispetto dei diritti umani già potesse ritenersi insito nelle regole relative all’applicazione dei trattati, l’impegno formale assunto dalle istituzioni con la dichirazione del 1977 rafforzava tuttavia questo punto di vista, pocihè le istituzioni stesse affermavano di voler rispettare i diritti umani e conferivano così efficacia vincolante al loro atto, ammettendo di conseguenza la possibilità di un annullamento per illegittimità dei loro atti successivi che non vi si adeguassero […]. Il Trattato UE riprende la dichiarazione del 1977, affermando, enl paragrafo 2 dell’art. 6 (ex. art. F). che l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla convenzione europea sui diritti umani firmata a Roma il 4 novembre 1950, nonché dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto «principi generali del diritto comunitario».
[e considerato che la CGCE dalla sent. del 12 novembre 1969 caso Stauder, è passata a ritener che i diritti fondamentali sono tutelati nella Comunità come parte integrante del diritto comunitario in quanto principi generali di diritto, come riaffermato anche nel caso 11/70 Internationale Handelsgesellscahft del 17 dicembre 1970 dove si parla delle tradizioni constituzinali comuni degli Stati membri, e del caso 4/73 Nold del 14 maggio 1974, richiamando in sostanza il principio secondo cui i diritti dell’uomo previsti nei trattati internazionali non possono non essere considerati nel diritto comunitario, sino ad arrivare alla sednt. 44/79 caso Hauer del 13 dicembre 1979, in cui si parla di coordinamento fra tutela dei diritti fondamentali e il raggiungimento degli obiettivi comunitari
Mengozzi Paolo, Istituzioni di diritto comunitario e dell’Unione Europea, Padova, CEDAM, 2003, pp. 279-280
Pocar Fausto, Diritto dell’Unione e delle Comunità Europee, Milano, Giuffrè Editore, 2006, pp. 104-107
[la CDFUE è stata proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 da parte del Parlemaneto Europeo, Consiglio e Commissione, e si ispira a criteri parzialmente diversi dalla maggior parte degli strumenti internazionali elaborati successivamente alla DUDU 1948; è stata elaborata da una commissione mista istituita dal Consigliio Europeo di Colonia nel giugno 1999, denominata “convenzione”, e formata non solo da membri di istituzioni europee, ma anche da parlamentari nazionali degli Stati membri; non segue la tradizionale suddivisione dei diritti nelle categorie indivisuate nel 1966 dei due Patti internazionali delle Nazionu Unite (diritti civili-politici e diritti economici-sociali-culturali) – in relazione al tipo di diritti garantiti – ma in relazione all’oggetto o ai settori della protezione. Lungi dall’essere dovuta alla divisione del mondo in due blocchi di Stati – quelli occidentali, ispirati in materia dalle grandi dichiarazioni del settecento essenzialmente riferite a diritti civili e politici, e quelli socialisti, più attenti ai diritti economici e sociali – la distinzione fa riferimento a quel riconoscimento di una immediata applicabilità dei diritti (civili e politici) contro taluni non direttamente invocabili in giudizio secondo una non-azionabilità diretta (economici, sociali e culturali), ma in maniera diversa: nella Carta sono stati inseriti, in base alle scelte della convenzione, sono i diritti applicabili, anche se molte disposizioni non sono direttamente attuabili, ma vanno considerate nell’ambito della legislazione comunitaria la cui applicabilità è affidata agli Stati membri – vedi il suo art. 51 che può essere assimilato a livello di obbligatorietà all’art. 249 del trattato CE]
Zagrebelsky Gustavo-Portinaro Pier Paolo-Luther Jörg, Il futuro della Costituzione, Torino, Einaudi, 1996, pp. 340-341
La Comunità resta nondimeno un’istituzione sovranazionale e i pilastri, che l’affiancano e cohe cn essa formano l’Unione, della politica di sicurezza ed estera comune e della cooperazione nell’ambito della giustizia e degli affari interni non supeano il piano di una mera cooperazione intergovernativa. Qui non ha avuto luogo un trasferimento di diritti di sovranità come è avvenuto per la Comunità.
Zagrebelsky Gustavo-Portinaro Pier Paolo-Luther Jörg, Il futuro della Costituzione, Torino, Einaudi, 1996, pp. 351-353
I trattati sono privi di un catalogo dei diritt fondamentali che ponga sotto i principi guida di libertà ed eguaglianza i rapporti tra la Comunità e le persone giuridiche e morali ad essa subordinata. […] Ad ogni modo, i diritti fondamentali sono una componente tradizionale ma non indispensabile della costituzione e la ricchezza di particolari non incide minimamente sul fatto che i trattati formano il fondamento e la cornice di numerosi atti con cui la Comunità produce, applica o implementa il diritto comunitario secondario. […]
Una costituzione nel senso pieno del termine deve necessariamente risalire a un atto del popolo o quantomeno attribuito al popolo, mediante cui questo può autoconferirsi la capacità di agire politicamente. Una fonte analoga manca completamente al diritto comunitario primario: diritto che non risale a un popolo europeo ma a singoli stati membri e che dipende da questo anche per quanto riguarda la sua entrata in vigore. Mentre le nazioni si danno una costtuzione da sé, all’Unione europea viene data una costituzione da terzi. Di conseguenza essa non può neppure disporre del proprio ordinamento fondamentale. «Signori dei trattati» […] restano piuttosto gli stati membri che certo non si risolvono nell’Unione. [i trattati non sono l’espressione della autodeterminazione della società]
Zagrebelsky Gustavo-Portinaro Pier Paolo-Luther Jörg, Il futuro della Costituzione, Torino, Einaudi, 1996, pp. 357-359
Identificare la democrazia con il parlamentarismo è inammissibile. Certo, data la grende estensione degli stati territoriali e la costante necessità di decisioni, la democrazia sarebbe inimmaginabile senza un Parlamento liberamente eletto. Ma la seplice attività parlamentare non garantisce di per sé alcuna struttura democratica. Da una parte, le preferenze individuali degli elettori non trovano più espressione adeguata in decisioni elettoriali ad alta generalizzazione e tra partiti dal profilo debole. Per far valere le sue opinione e i suoi interessi, il singolo è costrettoa ricorrere a organizzazioni e a canali di influenza suppletivi. Dall’altra, anche il Parlamento reclutato dalla politica dei partiti non è più in grado di rispecchiare ed elaborare sufficientemente la pluralità di interessi ed opinioni sociali. Piuttosto, il processo parlamentare si fonda sul processo sociale di mediazione degli interessi e di management dei conflitti che l’atività decisionale del Parlamento in parte esonera e in parte prestruttura. In tal modo, il nesso tra i singoli, le loro associazioni e gli organi statali viene garantito soprattutto dai mezzi di comunicazione che producono quell’opinione pubblica indispensabile per la formazioen di un’opinione generale e per la partecipazione democratica. È perciò una «semplificazione statalistica» assumere che la mediazione degli interessi e delle opinioni, il processo decisionale e la formazione della volontà, l’assciurazione della stabilit e della legittimità che alimentano l’integrazione sociale siano il prodotto esclusivo degli organi statali. Tali organi sono invece rinviati alle molteplici strutture intermediarie interne alla società che, pur riferendosi alle istituzioni statali, non possoni essere da queste né garantite né rimpiazzate. […]
Sul contenuto democratico di un sistema politico l’esistenza di un Parlamento, oggi peraltro garantita quasi ovunque, dice assai meno di pluralità, rappresentatività interna, liberalità e capacità di compromesso della’mbito di intermediazione costituito da partiti, gruppi, associazioni, movimenti dei cittadini e mezzi di comunicazione. Laddove un Parlamento non si fonda su una tale struttura capace di assicurare l’interazione costante tra popolo e Stato, vi sono solo le forme ma non la sostanza della democrazia. È noto che gà a livello degli stati nazionali il prceso di mediazione necessario alla democrazia non si svolge in modo soddisfacente, in parte per la crescente autoreferenzialità dei partiti politici, in parte per le asimmetrie all’interno delle rappresentanze parlamentari, in parte per i deficit nel sistema di comunicazione molto meno orinetato alo scopo della formazione dell’opinione che non a imperativi economici. Ma a livello europeo non vi sono neppure i presupposti. Qui le strutture intermediarie si formano ancora a fatica. Un sistema europeo dei partiti non esiste, vi sono soltanto gruppi parlamentari europei a Starsburgo e per il resto non vi è altro che una teue cooperazione di partiti dai programmi affini che neppure durante le elezioni europee producono un’integraazione della popolazione europea. Altrettanto esigua è la nascita di gruppi e movimenti civili europei, nonostante che la cooperazione delle associazioni nazionali sia andata molto più in là di quella tra i partiti. Del tutto vana, infine, è stata la ricerca di media europei nella’mbito dell’editoria e della radiodiffusione. Ma in tal modo, l’Unione europea rappresenta un passo indietro non solo rispetto agli ideali di una democrazia funzionante in modo esemplare, ma anche rispetto alla realtà,a sua volta deficitaria, degli stati membri.
Zagrebelsky Gustavo-Portinaro Pier Paolo-Luther Jörg, Il futuro della Costituzione, Torino, Einaudi, 1996, p. 373
La cittadinanza democratica (citizenship) fonda una solidarietà tra estranei relativamente astratta e comunque giuridicamente mediata. Si tratta di una forma di integrazione sociale formatasi a partire dallo stato nazionale, e che si realizza come un contesto di comunicazione coinvolgente in sé la socializzazione politica. […] Ciò che lega insieme una nazione di cittadini – a differenza di una nazione di connazionali in senso etnico (Volks-nation) – non è una qualche forma di sostrato primordiale, bensì il contesto intersoggettivamente condiviso di un’intesa possibile. […]
Lo stato costituzionale ha assunto l’obbligo di garantire all’occorrenza l’integrazione sociale nelle forme giuridicamente astratte della partecipazione politica e di uno status di cittadinanza costruito per via democratica.[…+
Perciò, da un punto di vista normativo, nessuno stato federale europeo potrà mai fregiarsi del nome di «Europa democratica» se, nell’mbito di una cultura politica condivisa, nn si sarà formata una sfera pubblica integrata su scala europea, una società civile con i propri gruppi di interesse, organizzazioni non governative, movimenti civili, ecc., nonché un sistema di partiti adeguato all’arena europea. Inosmma, se non si sarà prima formato un «contesto di comunicazione» trascendente i limiti delle sfere pubbliche finora circoscritte in senso nazionale.
Carlassare Lorenza, in Le libertà e i diritti nella prospettiva europea – Atti della giornata di studio in memoria di Paolo Barile, Padova, CEDAM, 2002, p. 94
Le libertà garantite espressamente alle persone sono strumetali agli scopi dei Trattati istitutivi ed hanno tutela nella misura in cui servono a realizzare il mercato comune e riguardano l’uomo solo in questa prospettiva […] L’evoluzione dell’ordinamento comunitario è ormai nel senso di un allargamento di prospettiva che lo porta ad includere settori diversi da quelli previsti nei Trattati istitutivi e ad indirizzarsi non solo agli Stati e agli individui in quanto operatori economic, ma anche a questi ultimi in una loro più completa dimensione. Nel tempo, l’assenza di riferimenti ai diritti fondamentali è stata avvertita sempre più come una lacuna grave e pericolosa […] La stessa evoluzione normativa e istituzionale rese »problematica l’assenza di specifiche forme di garanzia dei diritti fondamentali», la cui protezione divenne «un imperativo al contempo giuridico e politico»: così, in mancanza di qualsiasi riferimento ai diritti fondamentali, la Corte di giustizia elaborò un sistema di principii fondamentali non scritti, ricavandoli dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri e da alcuni trattati internazionali, in primo luogo dalla [CEDU].
Barbera Augusto, in Le libertà e i diritti nella prospettiva europea – Atti della giornata di studio in memoria di Paolo Barile, Padova, CEDAM, 2002, p. 122
Il carattere talvolta generico della Carta dei diritti, che secondo alcuni commentatori costituisce un punto di debolezza, può essere il suo punto di forza: proprio in ragione del fatto che la Carta è stata concepita come documento di trascrizione e di consolidamento dei diritti fondamentali già presenti nell’ordinamento comunitario, essa può favorire quel processo osmotico fra i due livelli ordinamentali, europeo e nazionale, quel «dialogo fra le Corti», quella intermediazione fra i vari attori costituzionali, quella «sussidarietà reciproca bidirezionale», che è stata finora l’arma vincente nello sviluppo dell’ordinamento comunitario e che potrebbe portare alla costruzione di una «Costituzione a doppio livello».
Mazella Andrea, in Le libertà e i diritti nella prospettiva europea – Atti della giornata di studio in memoria di Paolo Barile, Padova, CEDAM, 2002, pp. 166-167
La Carta [di Nizza] più che uno statico punti di arrivo deve essere considerata la dichiarazione fondativa del processo di costituzionalizzzione dell’Unione […] un processo di costruzione di equilibrio tra la sovranità pubblica sovranazionale e la «sovranità individuale» dei diritti per la instaurazione di una governance costituzionale […] Il principio di differenza è un principio di diritto positivo contenuto nei Trattati; il governo delle differenze è la questione costituzionale centrale nell’assetto dell’Unione […] la Carta è chiamata ad assolvere la funzione di raccordo unitario. Raccordo più effiace, per la sua trasversalità interna ai vari orini e livelli giuridici, di quel «quadro costituzioanle unico» che l’art. 3 del TUE indica come fondamentale strumento di garanzia dell’unità nella diversità.
Cheli Enzo, in Le libertà e i diritti nella prospettiva europea – Atti della giornata di studio in memoria di Paolo Barile, Padova, CEDAM, 2002, pp. 192-193
Manca un richiamo ai diritti delle formazioni sociali
La Pergola Antonio, Costituzione e integrazione europea, in Studi in onore di Leopoldo Elia – Tomo I, Milano, Giuffrè Editore, 1999, pp. 822-845
La Corte ragiona come se il trattato fosse una costituzione federale che fa primeggiare la legge centrale sula legge del cantone. Il fatto è ,però, che la Comnunità non è un sistema né, tanto meno, uno Stato, federale. […] Più in generale, comincia a delinearsi uan tendenza nel diritto costituzionale degli Stati membri, volta a regolare l’appartenenza alle comunità e all’Unione come partecipazione al processo di unificazione in corso […]
L’odierna UE, sebbene ancora caratterizzata nel suo funzionamento come un sistema di dipomazia multilaterale, si fonda sulel comunità preesistenti e le ricomprende nel qaudro d’insieme, in cui il trattato colloca le diverse forme di disciplina del processo integrativo. Alle basi dell’Unione troviamo, dunque, l’ordinamento del mercato unico, il sistema giuridico da cui,introdotta la cittadinanza comune, scompare, ogni giorno di più, la discriminazione degli individui secondo la cittadinanza nazionale […] è l’albore di un fedeeralismo emergente alle radici della società, appunto perché essa si forma dove vi è già una sfera di cofruizione transnazionale di diritti individuali: diritti fondamentali della persona umana, del suo nuovo status di cittadino europeo
Manzella Andrea, L’identità costituzionale dell’Unione europea, in Studi in onore di Leopoldo Elia – Tomo II, Milano, Giuffrè Editore, 1999, pp. 929-938
La necessità del coinvolgimento delle realtà sub-statali non può «saltare» la dimensione istituzionale e i procedimenti di coordinamento dello Stato nazionale [MA E’ VER??????]. L’espressione «Europa delle regioni» di per sé positiva per sottolineare il moto di »prossimità» che si è andato propagando nella governance dell’Unione […] può celare dunque una pericolosa ambiguità. Essa può significare, infatti, estremi scompaginamenti e radicali retrocessioni […]
L’organizzazione sovranazionale tende a favorire la massima omogeneità di condotta tra le sue componenti, secondo standards spesso sagomati sulla normalità dei membri più forti, ma anche a creare anche asimmetrie, cerchi concentrici, nuclei duri [è per questo che serve il coordinamento dello stato nazionale? Secondo l’auotre si; Sen’aaltro quello delle formaizoni sociali si…] […]
La prima cosa è la «nazionalizzazione» della questione europea. Con elezioni, referendum, politiche di bilancio, partiti, comunità culturali, lobbies che, in tutti gli Stati europei, dentro e fuori dell’Unione, hanno per fuoco principale i problemi dell’integrazione continentale […]
Secondo Dahrendorf «non si può produrre l’unità politica dell’Europa senza che i cittadini se ne accorgano» […]
C’è una mancata utilizzazione da parte dei meccanismi di governo dell’Unione di quel potenziale civico che si è costituito proprio con la «politicizzazione» di istituti, procedure e categorie del diritto comunitario divenuto, da diritto sezionale, diritto generale.
Pinelli Cesare, «Mercati globali», in Studi in onore di Leopoldo Elia – Tomo II, Milano, Giuffrè Editore, 1999, pp. 1286-1291
Le grandi burocrazie statali e i grandi monopoli privati, si osserva sulla scia del filone comunitario della filosofia politica americana, avrebbero eclissato la società civile di Tcqueville, con i suoi valori di spontanea adesione alle associazioni e alla sfera civica indispensabili alla democrazia. […] In questa prospettiva, occorre liberare le virtù del terzo settore, espresse da una società civile inascoltata […] [con] un nuovo sviluppo delle libertà fondato sulla partecipazione attiva dei cittadini nelle manifestazioni di sovranità, e una sintesi della libertà degli antichi con quella dei moderni, che immunizzerebbe altresì i cittadini dai rischi di manipolazione delle loro opinioni. […] Su questo presupposto affine, la metafora dell’«antisovrano» mira a designare un qualcosa di contrapposto al sovrano in quanto indefinibile con le categorie della tradizione scientifica del diritto pubblico: una pluaralità indeterminata di soggetti che pretendono di ordinare non un popolo ma la totalità dei gruppi sociali [in un’ottica di rovesciamento dei rapporti stato-società civile]. […]
Anche secondo la concezione di democrazia cosmopolita, si farebbe appello non tanto alal mancanza di iastituzioni rappresentative, quanto alla carenza di tutela dei diritti fondamentali e alla tutela del principio di autonomia, sino ad arrivare all’utopia di un diritto democratico cosmpolita di matrice kantiana. […]
Nell’arco di ottanta anni, la nascita di nuove associazioni, anche a livello internazionale, lascia sperare nella crescita di partecipazione delle associazioni ai processi decisionali in questi sistema reticolare, con l’affermazione di circuiti di responsabilità: il restingimento delle chances a livello di formazione delle decisioni, le vede allargare e specificare negli ambiti stessi della dislocazione dei poteri pubblici e privati
Atripaldi Vincenzo-Miccù Roberto, L’omogeneità costituzionale nell’Unione Europea, Padova, CEDAM, 2003, pp. 57-84
Non può negarsi che attraverso il “metodo” della Convenzione si sia concretizzato nello spazio giuridico europeo una nuova forma di coinvolgimento dei Parlamenti nazionali ad un livello superiore rispetto a quello della formazione degli atti comunitari di diritto derivato, interpretabile anche come una prima risposta “strutturale” all’esigenza di aprire una fase costituente interparlamentare in Europa che […] contribuisca a delineare un modello di organizzazione e di legittimazione multi-ivello delle politiche istituzionali dell’Unione, corrispondente ai diversi livelli di rappresentzanza e di governo all’interno del sistema costituzionale europeo. […]
[in vista di una UE accresciuta come “comunità di valori”, anche attraverso il principio di omogeneità, significativamente presente in tutti i processi di federalizzazione – anche se c’è da vedere se di questo si tratta, e fatta salva la possibilità di una instaurazione del principio federativo senza uno Stato federale (come sostiene il Miccù) – e tipico delle costituzioni di comunità politiche organizzate su più livelli di governo, siano o meno identificabili in uno Stato. […] si può parlare di tal principio quando l’armonia tra una pluralità di ordinamenti conduce regolarmente sa determinate conseguenze nel rapporto reciproco tra le diverse unità che lo compongono. E la clausola dell’ordinamento composito e multi-livello europeo, suo emblema, è contenuto nella sentenza-Maastricht della Corte Costituzionale tedesca]
Di estrema importanza è anche la funzione di integrazione della comunità politica federale, quella intesa a ‘costruire’ il senso di appartenenza, quel comune “sense of belonging” in cui si sostanzia l’identità complessiva di una comunità. A questo riguardo [vi rientrano le] toerizzazioni smendiane sulla integrazione come processo continuo che caratterizza la vita di una comunità politica, un processo che si realizza attraverso la combinazione di vari elementi, da quello personale, a quello funzionale, a quello materiale. […]
Il criterio di riferimento per l’individuazione del principio di omogeneità è piuttosto l’esistenza di una pluralità di unità associative che stanno in rapporto fra loro [da ciò si può trarre la conclusione che non è necessaria una trasformazione dell’UE in uno Stato federale]
Atripaldi Vincenzo-Miccù Roberto, L’omogeneità costituzionale nell’Unione Europea, Padova, CEDAM, 2003, pp. 122-125
Il riconoscimento e la garaznai di uno standard minimo di omogeneità costituzionale vigente nell’ordinamento europeo, tanto nei rapporti orizzontali tra gli Stati membri, quanto in quelli verticali tra l’Unione e gli Stati, porta necessariamente ad onterrogarsi sulle conseguenze complessive di detto riconoscimento per gli ordinamento costituzionali nazionali. La premessa e la conseguenza di questo discorso va ricercata nella presa d’atto delle trasformazioni della sovranità nazionale e dell’idea stessa di sovranità derivanti dall’adesione degli Stati ad un sistema costituzionale sovranazionale composito e multilivello qual è l’Unione Europea. Nel linguaggio del federalismo e del costituzionalismo contemporaneo ciò significa porre il problema del significato e della portata e dell’autonomia costituzionale dei singoli Stati membri in rapporto all’autonomia costituzionale dell’Unione. […]
Occorrerebbe allora innanzitutto precisare le modalità in cui si articola il raporto di reciproca delimitazione e influenza tra ordinamenti nazionali e ordinamento europeo secondo un duplice movimento: a) il primo, teso a verificare la relazione dialettica interna allo stesso articolo 6 TUE, tra il primo comma e il terzo comma ove si afferma il rispetto della identità nazionale dei singoli Stati membri come limite all’estensione delle competenze dell’Unione Europea; il seocndo, volto a collocare la clausola di omogeneità (art. 6 e 7 TUE) all’interno del sistema costituzionale complessivo scaturito dai Trattati europei, allo scopo di individuare il limite all’auotonomia degli Stati membri. […] È noto come questa disposizione [comma 3 dell’art. 6 TUE] sia nata dalla paura er uan progressiva destatalizzazione ed erosione delle prerogative dello Stato nazionale nel qaudro dell’Unione Europea, così come dal tentativo degli Stati membri di rafforzare il loro significato sia rispetto alla Comunità Europea, sia rispetto alle Regioni (le comunità e i livelli di governo sub-nazionali). […]
In realtà, né il Trattato né lo stesso articolo 6 TUE, chiariscono il significato del concetto di identità. In generale potremmo definirla come l’autocomprensione di una comunità così come si è sviluppata nella sua specificità politica, sociale e culturale. Tale identità ha anche un risvolto psicologico relativo al contenuto ideale con il quale una persona o una nazione identificano la propria concezione di sé. […] Come è stato scritto, si tratta di un concetto multireferenziale, poliedrico e stratiforme che si collega ad un comune “sense of belonging”. [Così facendo, non solo si ricollega all’art. 10 TCE che, secondo la CGCE, impone alle istituzioni comunitarie obblighi reciproci di leale collaborazione con gli Stati membri, o all’art. 151 comma 1 TCE che prevede la tutela della molteplicità nazionale e regionale delle culture degli Stati membri, ma anche la specificità dei singoli popoli, estesa ai principi di sussidarietà e proporzionalità, e ad un contemperamento tra le identità nazionali e quella europea, anche attraverso la libertà di associazione] [nazione profondamente radicata nel «mondo-di-vita» luhmanniano]
Atripaldi Vincenzo-Miccù Roberto, L’omogeneità costituzionale nell’Unione Europea, Padova, CEDAM, 2003, pp. 122-125, pp. 430-432
Non si può immaginare che gli individui compiano l’azione di mettersi in società e, prima di essere in società, siano degli individui razionali, in grado di “valutare il bene e il male” [esistendo prima della società]. […] In realtà gli uomini sono da sempre socializzatie non si può immaginare il passaggio di un ipotetico stato di natura ad uno stato civile. […] La vera garanzia dei diritti è il modo concreto di essere della soceità, non la pura e semplice enunciazione di “principi astratti”. […] Non si può concepire l’autonomia degli individuii se non c’è l’autonomia collettiva, se non c’è il principio dell’autogoverno sociale. […]
---citazione?
Non è un caso, del resto, che proprio in questi settori alla cosiddetta crisi dello Stato sociale si stia ancora confusamente rispondendo attraverso la costituzione di comunità volontarie per l’accoglienza e l’assistenza di associazioni per il controllo dei poteri pubblici, e che il volontariato e le sue organizzazioni stanno dando vita al più interessanet fenomeno di rifondazione di una sfera sociale dei rapporti interpersonali e di solidarietà, sottratti alla logica perversa della istituzionalizzazione dei bisogni umani.
Atripaldi Vincenzo-Miccù Roberto, L’omogeneità costituzionale nell’Unione Europea, Padova, CEDAM, 2003, pp. 122-125, pp. 435-436
L’identità dell’Europa è il suo nn avere un’identità rigida, il suo essere a partire dalla storia del Mediterraneo un’identità di accoglienza, coè una identità in cui una volta l’Europa e l’Asia erano due “sorelle”. Nei Persiani, la msdre di Serse, sogna le due donne, la donna dorica e la donna asiatica, che rappresentano due mondi: il mondo della libertà e quello del vincolo. Questa eredità, che è stata espressa dai classici, noi la possiamo capire più di un americano e di un anglosassone, perché la cultura europea è essenzialmente mediterranea, allora, lo spazio europeo, da cui siamo partiti, può essere pensato come lo spazio di una cultura aperta, non chiusa, non legata a una rigidità territoriale […]
Dahrendorf ha scritto che la carta dei diritti non è mobilitante, perché è arretrata rispetto alle Costituzioni nazionali.
De Salvia Michele, Lineamenti di diritto europeo dei diritti dell’uomo, CEDAM, 1991, pp. 44-48
[Le restrizioni previste per la CEDU non circoscrivono il contenuto di un diritto, bensì l’esercizio stesso del diritto]
con un potere più ampio di intervento delle pubbliche autorità nel godimento di diritti e libertà il cui esercizio, se non circoscritto (anche per prevenirne gli abusi) condurrebbe a conseguenze negative ai fini dell’espletamento di essenziali prerogative statuali [per esempio nei presupposti della facoltà di deroga ex art. 15 CEDU, che permette di derogare alle circostanze previste dalla CEDU: caso di guerra, pericolo pubblico,..; o, ancora, secondo requisiti di legalità, di finalità (come da paragrafo 2 dell’art. 8: sicurezza nazionale, ordine pubblico benessere economico del paese, prevenzione dei reati, protezione della salute e della morale, protezione dei diritti e delle libertà altrui; o, infine, in una condizione di necessità, cioè in vista del rispetto della democraticità della società, come anche riaffermato nell’articolo 17]
Si può affermare che è inerente alla struttura stessa del sistema di protezione un equilibrio fra gli interessi legittimi dell’individuo e quelli altrettanto legittimi della collettività
De Salvia Michele, Lineamenti di diritto europeo dei diritti dell’uomo, CEDAM, 1991, pp. 210-213
Costringere un individuo ad aderire ad una associazione, contrariamente alle sue convinzioni e facendo pressione su di lui, incide sulla sostanza stessa del diritto garantito […]. È ovvio che i rapporti di forza esistenti, soprattutto nel mondo del lavoro, possono giustificare, a volte, il ricorso a misure coercitive circa le adesioni a gruppi di difesa professionali, quali i sindacati. Ciò, in via di massima, può non essere contrario alla Convenzione (sent. Young, James e Webster: il licenziamento dei ferrovieri era un pregiudizio troppo forte rispetto allo scopo legittimo i favorire le relzioni datori di lavoro-lavoratori previsto con la costrizione di aderenza al sindacato) a condizione che tuttavia venga rispettato un certo equilibrio
Ridola Paolo, Libertà e mercato nella Costituzione Europea, in Annuario 1999 – La costituzione europea – Atti del XIV Convegno Annuale, Perugia, 7-8-9 ottobre 1999, Padova, CEDAM, 2000, p. 328
Nella prospettiva dei diritti, lo stesso principio di sussidarietà ha potenzialità che travalicano esigenze di decentramento e di armonizzazione (artt. 1 TUE e 5 TCE), e che esso può essere strumento per sviluppare sinergie nella risposta alle sfide delle società plurali contemporanee.
Ridola Paolo, Libertà e mercato nella Costituzione Europea, in Annuario 1999 – La costituzione europea – Atti del XIV Convegno Annuale, Perugia, 7-8-9 ottobre 1999, Padova, CEDAM, 2000, pp. 336-337
La vicenda dei rapporti fra la CEDU e l’ordinamento comunitario appare, sotto questo profilo, emblematica. Un raporto non privo di tensioni, che affondano le radici nella storia e nella configurazione differenti dei due ordinamenti: con aspirazioni a dar vita ad un sistema complessivo di protezione di una «coscienza europea» dei diritti fondamentali, quello della CEDU; con una spiccata accentuazione funzionale quello comunitario. L’uno formatisi sul tronco di organizzazioni non governative, l’altro attraverso trasferimenti di sovranità da parte degli stati.
Ridola Paolo, Libertà e mercato nella Costituzione Europea, in Annuario 1999 – La costituzione europea – Atti del XIV Convegno Annuale, Perugia, 7-8-9 ottobre 1999, Padova, CEDAM, 2000, p. 351
Da queste premesse teoriche è derivato un indubbio ampliamento di prospettiva nella considerazione del fenomeno del mercato, anzitutto per quel che riguarda la «socialità» di esso. La società aperta esige insieme, è stato osservato, libertà del mercato e libertà di associazione. Nelle moderne società liberali, infatti, il mercato non è solo il luogo della liberazione dell’individuo da ostacoli e pastoie di ogni osrta, ma anche quello delle «libere associazioni», della scoperta di forme di cooperazione, che si traducono non solo nelle libertà dei privati di cooperare con altri soggetti per il perseguimen to dei propri interessi, ma latresì di corrispondenti diritti, istituszioni, strumenti di azione regolati.
Ridola Paolo, Libertà e mercato nella Costituzione Europea, in Annuario 1999 – La costituzione europea – Atti del XIV Convegno Annuale, Perugia, 7-8-9 ottobre 1999, Padova, CEDAM, 2000, pp. 548-549
È esatto, dunque, rilevare che «la cittadinanza europea si presenta in definitva come una cittadinanza satellite di quella nazionale», tanto che il regime della cittadinanza dell’Unione, a parte alcune peculiarità non decisive, coincide con quello tipico del diritto internazionale, che riserva appunto agli Stati la parola definitiva nella decisione su chi e come sia da considerare cittadino.
Gerim Guido, Funzione e funzionamento dei comitati etici, Padova, CEDAM, 1991, p. 85
Dinanzi alla constatata inadeguatezza delle risposte di tipo politico e dei normali meccanismi del pluralismo democratico, affiora l’esigenza di nuovi istituti – quali i Comitati etici- che rendano operanti le condizioni di una comunicazione sociale. Innanzitutto, una comunicazione di tipo orizzontale tra i cittadini, che consenta il confronto dialogico tra diverse opinioni e, in secondo luogo, una comunicazione di tipo verticale tra cittadini e legislatori, che registri le richieste e i pareri del corpo sociale […] I Comitati rappresentano bene […] la realtà della situazione etica vissuta e sono insieme un meccanismo di responsabilizzazione degli attori sociali coinvolti. Le questioni etiche fondamentali dividono infatti, per così dire, trasversalmente classi, partiti, organizzazioni professionali al cui interno emergono tensioni e fratture che si collocano al di là dei confini ideologici classici.
Facchin Roberto, L’interpretazione giudiziaria della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, Padova, CEDAM, 1990, pp. 321-326
[vedere art. 11 CEDU]
caso Plattform «Ärzte für das Leben» contro Austria del 21 giugno 1988 [riunione]
Cartabia M.-Weiler J. H. H., L’Italia in Europa – Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 99-100
[Il principio di sussidarietà, che muove dal presupposto che le decisioni debbano essere assunte al livello più vicino possibile ai destinatari, ricomprende anche una impostazione essenzialista, oltre che funzionale:] la delimitazione delle competenze è considerata espressione di valori «inviolabili». Possiamo distinguere questa impostazione […] come quella dei «confini fondamentali». Ma i confini fondamentali sono come i diritti fondamentali: tutti sono loro favorevoli, tranne quando contraddicono i loro progetti. [tali confini esprimono una visione dell’umanità che attribuisce un profondo valore alla esistenza di distinte comunità minori all’interno delle comunità politiche di più ampie dimensioni. L’obiettivo fondamentale della divisione delle competenze è quello di preservare le singole comunità, in modo tale da non subire oppressione da parte dei gruppi sociali più forti, oltre che prevenire la concentrazione del potere in un solo livello di governo, tanto che questa non concentrazione è considerato un valore in sé]
Cartabia M.-Weiler J. H. H., L’Italia in Europa – Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 110
In un certo senso il linguaggio della Corte fa pensare ad una semplice applicazione del principio del primato del diritto comunitario, ma in realtà, in relazione a problemi di competenza, il principio del primato può significare soltanto che ciascun livello di governo detiene il primato stesso nei campi ad esso riservati
Cartabia M.-Weiler J. H. H., L’Italia in Europa – Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 199
Se, infatti, per molti aspetti l’ordinamento comunitario ha acquisito connotati peculiari che gli hanno meritato la qualifica di organizzazione sovranazionale, in relazione, invece, al ruolo delle Regioni la Comunità europea mostra tutt’ora il suo volto di «associazione di Stati», mentre «l’Europa delle Regioni» - da più parti auspicata sia in sede dottrinale, sia in sede istituzionale e politica – si presenta tutt’ora come una meta, collocata in un futuro incerto
Cartabia M.-Weiler J. H. H., L’Italia in Europa – Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 238-240
[Il riferimento al demoi multiplo si estrinseca in tre visioni, ovverosia nell’approccio a cerchi concentrici, con un senso di identità che deriva dalla medesima fonte, uno stesso sentimento di appartenenza anche se con livelli diversi di intensità, talvolta obbligati (italiano ed europeo ad esempio, dove in caso di conflitto prevarrà il più forte); a due demoi di matrice organico-culturale diversa (ad esempio italiano-europeo e cattolico); il demoi a geometria variabile, dove oltre alla prospettiva organico-culturale volontaristica compare una dimensione civilizzatrice che lascia «aperta» la categoria, sino a ricomprende demos sempre più distanti dal Sé in un’ottica globalizzante]
Siclari Massimo, Contributi allo studio della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Torino, Giappichelli Editore, 2003, p. 53
[nell’art. 12 della Carta di Nizza] la libertà di associazione e quella di riunione a tutti i livelli, e segnatamente in campo politico, oltre che sindacale e civico, vengono congiuntamente previste in un’unica ed incondizionata disciplina, che implica, fra l’altro, il diritto di fondare sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi; persino il diritto di proprietà non risulta, come ormai tradizionalmente avviene, condizionato in senso sociale nella configurazione della sua esistenza e del suo godimento, ma soltanto può conoscere limiti di tipo esterno all’uso dei beni, imposti dall’interesse generale
Siclari Massimo, Contributi allo studio della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Torino, Giappichelli Editore, 2003, pp. 88-93
Esiste, eprò, anche un ordine di riflessioni che si è spinto oltre il paradigma della formazione di una nuova Costituzione europea: sono le tesi di chi ritiene, sulla scia delle teorie costituzionali di Peter Häberle, che l’Europa ha giò una Costituzione, e che tale Costituzione coincide con un sistema costituzionale a più livelli. […] Cade, così, il dogma dell’unicità della Costituzione e il sistema costituzionale multi-level, inteso come processo attraverso il quale l’uomo sa farsi cittadino – processo che oprende le mosse dall’esigenza di assicurare la pace in Europa, ponendo ostacoli al conflitto attraverso l’intreccio economico fra stati, e che si svolge ancora attorno al alcuni valori fondamentali di tutela dei diritti e della dignità umana e di rispetto dei grandi principi dello stato costituzionale europeo, nella continuità con le tradizioni culturaki che li hanno espressi – diventa la chiave che può davvero aprire le porte della cittadinanza europea: quest’ultima, insomma, si ocstituisce , si rafforza ulteriormente con il consolidarsi del sistema costituzionale europeo multi-level e coincide con il complesso di prerogative costituzionali e di impegni civici che tale sistema mette a disposizione. Lo stesso Häberle, tuttavia, sa bene che, nei sistemi pluralisti contemporanei, «la democrazia si sviluppa …anche nelle forme “più sottili”, intermedie, del processo pubblico pluralista della politica e della prassi quotidiana, in particolare con riguardo alla realizzazione dei diritti fondamentali».
[…]
il discorso democratico e l’impegno sui diritti presuppongono un’opinione pubblica attiva, impegnata in molteplici dinamiche discorsive; ma questo scenario, che può rappresentarsi solo sullo sfondo di un landscape disegnato da una cultura politica diffusa, sembra smentito da un quadro in cui i soggetti politici tradizionali hanno ormai cessato – o comunque faticano moltissimo a farlo – di interpretare il ruolo di operatori simbolici, non sono cioè più capaci di orientare l’immaginario collettivo, nemmeno per quel segmento che più direttamente attiene al discorso politico. Queste difficoltà riguardano anche la possibilità di costituzione di una sfera pubblica, di un’opinione pubblica europea. […] In primo luogo, merita una certa attenzione il tentativo di rendere percepibile la tendenza verso un governo sensibile ed attento alle esigenze dei cittadini enfatizzando il richiamo al principio di sussidarietà. […] La sussidarietà dovrebbe costituire un criterio capace di affrontare nel modo migliore la sfida della integrazione di molteplici strati costituzionali, del raccordo fra livelli di governo di ampiezza differente.[…]
[c’è una moltiplicazione, di per sé confortante, delle istanze dei soggetti che possono contribuire alla costituzione di una sfera pubblica condivisa]
D’altra parte, tali forme stentano visibimente a costituirsi attraverso il paradigma democratico-pluralista […] esistono problemi che investiscono […] la stessa possibilità della costituzione di un’efficace sfera pubblica: il rischio che si profila è allora che, invece di accrescere gli sforzi verso i valori della democrazia pluralista, i percorsi della cittadinanza europea si indirizzino piuttosto a convalidare forma di dislocazione del potere centrare su una legittimazione tecnocratica ed oligarchica.
De Salvia Michele, La Convenzione Europea dei diritti dell’uomo – Procedure e contenuti, Editoriale Scientifica, 1999, pp. 134-136
La protezione delle opinioni personali offerta dagli articoli 9 e 10 CEDU sotto la forma della libertà di pensiero, di coscienza e di religione e della libertà di espressione rientra anche tra gli obiettivi della garanzia della libertà di associazione. Nella CEDU, la libertà sindcale è presentata come una forma o un aspetto particolare della libertà di associazione. L’articolo 11 CEDU prevede pertanto il diritto di costituire sindacati e di associarsi ad essi per la difesa degli interessi di natura professionale. Il diritto di fondare sindcati e di iscriversi costituisce dunque un aspetto particolare della libertà di associazione. La difesa degli interessi professionali degli aderenti ad un sindcato deve potersi attuare attraverso l’azione collettiva, azione di cui gli Stati contraneti debbono rendere possibile lo svolgimento e lo sviluppo. Ne consegue che, per difendere i loro interessi, i membri di un sindacato hanno diritto ad essere sentiti. È evidente che la CEDU ha inteso lascire ad ogni Stato la scelta dei mezzi di usare a tal fine; la consultazione ne costituisce uno, ma ve ne sono altri. Ciò che esige la disposizione in oggetto è che la legislazione nazionale conssenta ai sindacati, secondo modalità non contrarie al testo convenzionale, di lottare per la difesa degli interessi dei loro membri. […] Peraltro, secondo la giurisprudenza di Strasburgo la CEDU non consacra esplicitamente, in quanto tale, il diritto di sciopero dato che esso non è ritenuto essenziale per la difesa di tali interessi. […]
L’articolo 11 CEDU ha innovato per quanto riguarda il diritto di associazione detto negativo. Intacca la sostanza stessa di questo articolo l’esercizio di pressioni tendenti a forzare qualcuno ad aderire ad una associazione contrariamente alle sue convinzioni. Ciò vale anche per l’appartenenza sindacale obbligatoria prevista, ad esempio, per quanto riguarda il sistema detto del monopolio di assunzione. […] Pronunciandosi nel merito la Corte ha ritenuto che l’articolo 11 deve essere interpretato nel senso che non autorizza licenziamenti consecutivi al rifiuto di aderire ad un sindacato.
Mucchi Faina Angelica, L’influenza sociale, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 109
Nelle situazioni che consentono alle persone di interagire, il processo di influenza a più direzioni è la norma più che l’eccezione: quando un gruppo è impegnato in un determinato compito è facile che il risultato collettivo scaturisca da
un gioco di reciproche influenze.
Sorace Domenico, Diritto delle amministrazioni pubbliche – una introduzione, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 32
Ai Trattati [delle Comunità Europee] dovrebbe in verità riconoscersi una natura giuridica diversa da quella di una Costituzione, innanzitutto proprio per il loro esser tali, giacchè ne deriva che la loro stessa esistenza e la loro permanenza dipendono dall’accordo degli Stati contraenti. Tuttavia, la Corte di Giustizia ha sviluppato una giurisprudenza diretta a riconoscere loro la natura di una vera e pripria Costituzione e li ha definiti «la carta costituzionale di una comunità di diritto» (parere n. 1/1991). Del resto, i Trattati comunitari, guardato dal punto di vista dell’ordinamento di uno Stato membro della C.E. […] hanno una “forza” che può ben apparire simile a quella di una Costituzione, visto che possono prevalere su quest’ultima e costituiscono il parametro di legittimità di una serie di altri atti comunitari che, a loro volta, possono prevalere sulle fonti del diritto del nostro ordinamento. Si può anche aggiungere che in essi, insieme a norme più tipicamente pattizie, si rinvengono altre norme dal contenuto tipicamente costituzionale. È comprensibile dunque come sia divenuta comune per essi la denominazione di “Trattati-Costituzione”
Sorace Domenico, Diritto delle amministrazioni pubbliche – una introduzione, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 35-36
[bisogna tener persente la portata pratica del principio di sussidarietà è ancora incerta, tanto che – seppur l’area definita dalle materie attribuite alle competenze degli apparati comunitari enumerate dai Trattati è estremamente ampia – si prevede più che atro una sussidarietà “verticale”-istituzionale, rispetto ad una “orizzontale”, poiché la Comunità] «agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obbiettivi che le sono assegnati dal… Trattato»; la sua azione non può andare «al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obbiettiv del… Trattato»; infine essa interviene «nei settori che non sono di sua esclusiva competenza…, secondo il principio di sussidarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obbiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni e degli effetti delle azioni in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario» (art. 5 Tr.CE)
[art. 5 che è destinato a trovare applicazione in senso bidirezionale, come modulatore di contenimento o di una estensione delle competenze di tutte le istituzioni, di ciascuna rispetto alle altre, di quella agente a livello più prossimo rispetto a quelle agenti a livello meno prossimo ai cittadini, in funzione dell’esigenza che sia reso il miglior servizio possibile alla società. Si precisa che «nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, seocndo il principio della sussidarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono, dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario», anche in funzione della comptenza concorrente]
Al riguardo può essere utile richiamare ancora una volta la comunicazione che la Commissione ha adottato in materia. In essa si legge che l’applicazione dell’art. 5 CE implica due test: 1) una “prova di efficacia comparata” volta a verificare “l’esistenza di mezzi a disposizione degli Stati membri”, anche sul piano finanziario, per raggiungere gli obiettivi 2) una “prova del valore aggiunto” volta a giudicare “l’efficacia dell’azione comunitaria” ecc.
Mengozzi Paolo, Istituzioni di diritto comunitario e dell’Unione Europea, Padova, CEDAM, 2003, pp. 80-83
Sorace Domenico, Diritto delle amministrazioni pubbliche – una introduzione, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 19-20
in sistemi sociali come il nostro, fondati sul “principio di libertà”, ciascuna persona deve essere libera di stabilire quali sono i propri interessi e, tendenzialmente, di soddisfarli nel modo che ritiene il migliore. Tuttavia raggiungere questo obbiettivo è possibile soltanto in parte, in primo luogo perché ci sono degli interessi che non possono essere soddisfatti da ciascuno individualemente, dal momento che, come è evidente, possono essere necessari a tal fine mezzi dei quali non tutti concretamente dispongono o, sempre più spesso, dei quali nessuna persona individualmente , neppure in accordo con altri individui, è pensabile che potrebbe disporre […]. Inoltre, ci sono interessi la cui soddisfazione presuppone necessariamente l’appartenenza ad un gruppo sociale con un certo tipo di composizione […]. Appare poi evidente che la soddisfazione degli interessi di alcuni può essere inconciliabile con la soddisfazione degli interessi di altri, sotto il profilo oggettivo (perché le risorse sono insufficiente a soddisfare gli interessi di tutti) o sotto il profilo soggettivo (gli interessi di alcuni possono essere incompatibili con quelli di altri […]). Perché il gruppo sociale, al società, possa sopravvivere sarà naturalmente necessario che il diritto di ciascuno di individuare e curare liberamente i propri interessi si accompagni al “dovere di solidarietà” nei confronti degli altri. Ma sarà anche indispensabile, da un lato, che il gruppo sociale nel suo complesso si dia delle apposite “organizzazioni” che, per un verso, operino per consentire, nella misura massima possibile, la autonoma realizzazione dei propri interessi da parte di ciascuna persona […] e, per altro verso, mettano a disposizione di ciascuno, perché li usi il più liberamente possibile, strumenti che individualmente non sarebbero disponibili. D’altro lato, quando, o per limitatezza oggettiva delle risorse […], o per incompatibilità soggettiva, nn tutti gli interessi possono coumunque essere soddisfatti, occorrerà che si facciano preliminarmente delle scelte per stabilire quali siano da preferire.
Guzzetta Giovanni, Il diritto costituzionale di associarsi, Milano, Giuffrè Editore, 2003, pp. 32-33, nota (106)
N. B. – ARANGIO RUIZ: nel acmpo della libertà di associazione si apre uno spazio che non può essere interamente regolato dal Diritto, ma deve essere lasciato al libero gioco della Politica, eterna antinomia di tutte le questioni costituzionali nelle quali è sempre difficile coordinare la teoria alla pratica
Nascimbene Bruno, Condinanzi Massimo, Giurisprudenza di diritto comunitario – Casi scelti, Milano, Giuffrè Editore, 2007, pp. 4-5
12 novembre 1969, Eric Stauder c. città di Ulm – Sozialamt, causa 29/69, Racc. 419
La decisione della Comissione n. 69/71 , al fne di favorire nel mercato comune le eccedenze di burro, autorizzava tutti gli Stati membri a porre a disposizione di alcune categorie di consumatori, beneficiari di determinate forme di assistenza sociale, del burro a un prezzo inferiore al normale. L’art. 4 di tale decisione, per evitare che il prodotto immesso sul mercato fosse sviato dala sua destinazione, subordinava la fornitura di burro a prezzo ridotto alla presentazione di un “buono individualizzato”, risulatndo però, nella versione tedesca della normatva comunitaria, che dovesse trattarsi di un “buono indicante il nome” del beneficiario […]. Il signor Stauder, titolare del diritto in parola in quanto invalido di guerra, ritenendosi pregiudicato dal fatto di poter usufruire di burro a prezzo ridotto solo dichiarando il proprio nome al venditore, citava in giudizio, dinanzi al tribunale amministrativo di Stoccarda, la città di Ulm, chiedendo un provvidemento provvisorio di abolizione del menzionato obbligo; [iul suddetto giudice interrogava in via pregiudiziale la CGCE. Quest’ultima ha affermato per la prima volta che l’ordinamento comunitario assicurava la tutela dei diritti fondamentali.
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