Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze, Norberto Bobbio

Teilhard de Chardin e la divinizzazione delle attività umane

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LA DIVINIZZAZIONE DELLE ATTIVITA’ UMANE. Santificazione delle
attività umane. Come santificare le attività umane. Il mondo compiuto in Gesù
Cristo. L’impegno cristiano santificato e umanizzato.

Nell’esistenza degli esseri umani una parte a cui viene da sempre conferita
un’importanza fondamentale è indubbiamente la sfera delle attività, quindi il campo
in cui agiamo e ci sviluppiamo. Ed è quella parte della nostra vita e del nostro
quotidiano presa maggiormente in considerazione proprio perché grazie alle nostre
azioni crediamo di poter “dominare” ciò che ci circonda, le cose che abbiamo intorno,
e perché agendo costruiamo.
La vita è formata da una serie immensa di azioni, e non solo quelle specificatamente
“cristiane” come gli atti di carità o la preghiera, ma tutto ciò che l’uomo compie deve
e può essere santificato. La Chiesa ha sempre cercato nel corso della storia di
insegnare il modo di <
proprio stato, la ricerca della verità naturale, lo sviluppo dell’azione umana>>  ma
questo a volte agli occhi del credente non è apparso immediatamente coerente con la
stessa essenza cristiana, apportandogli delle difficoltà non piccole. Il cristiano grazie
al suo credo, pensa che la nostra vita sulla terra avrà un proseguimento dopo la morte
e che ciò che troveremo nell’altra vita, quella eterna, non è assolutamente
paragonabile a quello che viviamo nell’esistenza terrena, per questo egli potrebbe
tendere a perdere interesse per questo mondo, pensare che <
nel distacco>>  e il nostro mondo corrotto e sporco debba essere disprezzato.
Per
alcuni spiriti questa problematica è molto forte e sentita, poiché da un lato la vita
terrena va vissuta nel mondo, dove il gusto di vivere ha ragione di esistere, dall’altro
essi sentono il desiderio di amare Dio al di sopra di tutto e quindi temendo di non
poterlo fare poiché “distratti” da altro, potrebbero rischiare di cadere in un serio
errore. Le soluzioni che le persone spesso adottano finiscono per essere agli antipodi:
o amare Dio, o amare il mondo! Il conflitto interiore potrebbe portare il cristiano a
rifiutare qualsiasi interesse dalle cose terrestri oppure al contrario farlo rinunciare alla
fede per abbracciare esclusivamente una vita terrena, o ancora, potrebbe restare nel
mezzo, come forse accade nella maggior parte dei casi, abbandonando l’intento di
comprendere sia Dio sia la vita nel mondo fermandosi “a mezz’aria” o comunque
vivendo una vita su una sponda doppia ma incompleta.
Tutte queste situazioni per Teilhard erano da temere, in quanto potevano portare
l’uomo a non vivere in maniera giusta né il mondo in cui è inserito né il cristianesimo
stesso, dunque doveva e deve esistere una soluzione per risolvere questa
problematica, ed è quella di cercare di conciliare e allo stesso tempo di far alimentare
l’uno con l’altro il sentimento profondo per Dio e quello per il mondo,
“divinizzando” il nostro agire.
Il primo passo per cercare di divinizzare le nostre azioni può esser quello di
conferirgli il giusto intento, l’atto umano è valevole grazie all’intenzione con cui
viene compiuto. Ma anche se un proponimento benevolo può infondere alle azioni un
qualcosa di prezioso <>
che invece è ciò in cui dobbiamo nutrire speranza per avere la completa felicità. Se
amiamo Dio le nostre attività interiori non andranno mai perse, così come, anche le
nostre opere, i nostri risultati saranno salvati poiché nessuna persona compirebbe un
lavoro se non avesse la convinzione che quello che sta compiendo è per Dio e che i
nostri risultati in qualche modo saranno salvati <
fedeli come, in un senso reale e pieno, “le loro opere li seguono” nel tuo regno.>>

La soluzione definitiva a questo argomento è spiegata da Teilhard grazie ad un
sillogismo. Ogni anima è per Dio, tra noi e il verbo incarnato avvertiamo una
relazione precisa, una dipendenza, un <>, l’anima umana è
completamente rivolta e votata a Cristo, grazie all’incarnazione del Verbo il nostro
spirito è centrato su di Lui. Così come in ognuno di noi, tutta la storia del mondo si
riflette attraverso la materia, il mondo circostante ci avvolge delle sue bellezze, nella
sua ricchezza, ed è proprio nei suoi giorni e nella sua vita terrena che l’uomo compie
la sua anima, poiché essa è inseparabile dall’universo in cui è sorta, e intanto
collabora al compimento del mondo. In ogni anima Dio salva il mondo e lo ama, e
tutto il mondo costituito da un ordine di anime subisce una certa ontogenesi e grazie
all’impegno di spiritualizzazione di ognuno pian piano raccoglierà partendo dalla
materia <
nuova.>>
Quindi, se le anime passano in modo intimo in Dio e in Cristo e il
mondo sensibile passa a sua volta nelle nostre anime ci sarà quella unità che ci fornirà
la soluzione per risolvere il problema di come divinizzare il nostro operare. La luce di
Dio non irradia soltanto la parte del mondo più elevata in cui si svolgono le attività
umane in forma grandiosamente lodevole ma irradia anche la materia. Esiste un
legame tra materia, anima e Cristo e in virtù di questo, qualunque cosa noi ci
adoperiamo a fare portiamo a Dio <
ogni nostra opera, noi lavoriamo, in modo infinitesimo ma reale, a realizzare il
Pleroma, cioè offriamo a Cristo un po’ di compimento.>>  A conclusione possiamo
esplicare tutto il sillogismo usato da Teilhard: se ogni anima è in Dio e ogni realtà
che abbiamo intorno, ogni opera, è per la nostra anima, allora ognuna delle cose che
ci attorniano è mediante la nostra anima in Cristo e per Cristo. Ecco le nostre attività
divinizzate: il mondo si compie in Gesù Cristo grazie al nostro impegno.
Dio attraversa le nostre energie grazie all’Incarnazione sempre in atto e per
incontrarlo, avere un contatto ed entrare in Comunione con Lui le nostre azioni e il
nostro agire rappresentano lo scenario migliore. Il contatto che si crea è duraturo
poiché noi agiamo continuamente, e ciò permette un’assimilazione con e in Dio
sempre più intima. Incontriamo Dio nella gioia del generare le nostre opere, <
accrescimento che procuro a me stesso, o alle cose, si commisura a un qualche
aumento della mia capacità d’amare e a un qualche progresso della benefica presa di
possesso dell’Universo da parte del Cristo>>, grazie al nostro lavoro non solo
abbiamo il sostentamento per vivere e compiamo il nostro dovere ma realizziamo e
portiamo a compimento l’unione in Dio: <
nostra funzione umana, noi possiamo, se siamo cristiani, precipitarci verso l’oggetto
del nostro lavoro come ad un varco aperto verso il supremo completamento dei nostri
esseri.>>
Mediante il nostro agire e operare quindi si compie l’unione di Dio e del mondo, ed
Egli diviene per noi raggiungibile poiché ci è sempre accanto e ci attende in ogni
attimo di ciò che compiamo, con l’effetto grandioso di santificare l’impegno umano e
umanizzare la vita cristiana.
Santificare i nostri sforzi, come si è già visto, adempiendo al nostro lavoro e sapendo
che nulla di ciò che si compie è profano ma è illuminato da Dio, <
riconoscerete la correlazione, anche fisica, che collega il vostro lavoro
all’edificazione del Regno Celeste, vedete lo stesso Cielo che vi sorride e vi attrae
attraverso le vostre opere; e, nel lasciar la Chiesa per la città rumorosa, non avrete
altro che la sensazione di continuare ad immergervi in Dio.>>
Umanizzare poiché,
il cristiano secondo Teilhard, incorre spesso nel pericolo di essere pensato da chi non
è credente come “al di fuori” del mondo, disinteressato alle attività che svolge o
ancor peggio non partecipe alle ansie e alle problematiche del mondo terreno, ma
pensare di chi ha fede una cosa del genere significa non aver compreso minimamente
la religione stessa e i suoi valori, in quanto come si è spiegato fino ad ora, proprio in
nome della fede i cristiani hanno il dovere e il diritto di provare interesse e
sentimento per le cose della terra, <
talvolta lo si pratica, un sovraccarico di pratiche e obblighi che appesantiscono,
aumentano l’onere già così gravoso o moltiplicano i vincoli, già così paralizzanti,
della vita sociale. Esso è, in verità, un’anima potente, che conferisce significato,
fascino e nuova scioltezza a quanto già facevamo.>>
E’ pur vero che, nonostante sia giustamente immerso nelle opere e nelle attenzioni al
mondo il cristiano viva anche intimamente una sorta di “distacco”, in quanto deve
certo adoperarsi ed essere industrioso ma non cadere nell’errore di restare fermo nel
godimento e nel possesso delle sue opere, il <>  a cui
si riferisce Teilhard non è semplicemente il sostituire un’opera o una creazione con
un’altra successiva ma spingere l’azione umana da un ideale all’altro, verso oggetti
sempre più universali e consistenti per arrivare al compimento totale. Il cristiano è
per cui la persona più convinta del valore che è in ogni piccolo successo terreno, ma
allo stesso tempo consapevole di quanto ogni risultato ottenuto solo per elevarsi sia
nullo ed inutile al di fuori di Dio. Attraverso il mondo e la realtà egli cerca Dio,
l’interesse che ha per le cose è davvero per esse ma subordinato alla presenza del
Signore. Per questo motivo i cristiani sono le persone più inclini ma allo stesso tempo
anche “distaccate” dal nostro agire e dai risultati che da esso provengono.

1.4.2 LA DIVINIZZAZIONE DELLE PASSIVITA’. Diversità delle passività umane.
Passività di crescita e passività di diminuzione. Dio lotta contro il male. Grazie alla
diminuzione la comunione in Dio
La seconda sfera che costituisce l’altra parte dell’esistenza umana è quella
determinata dalle passività; dopo aver trattato della comunione in Dio mediante le
attività il cristiano deve iniziare a concepire e desiderare anche l’altro aspetto della
sua vita complementare e fondamentale alla sua unione in Dio: quella in cui si
abbandona completamente a Lui.
Delle due suddivisioni della vita sicuramente ai nostri occhi quella attiva ritrae la
parte “migliore” poiché rappresenta tutto ciò che è agire, mentre l’altra quella
passiva, tutto ciò che è subire, per questo l’uomo potrebbe desiderare che la maggior
parte della sua esistenza sia occupata nella sfera delle attività, ma in realtà è il
contrario: perché anche se essa è la più gradita è quella delle nostre passività ad
essere la più estesa e profonda.
Le passività guidano di continuo le nostre operazioni consapevoli, <
che orientano, sorreggono od ostacolano i nostri sforzi.>> e per questo
necessariamente sottendono l’intera sfera delle nostre attività, e ci dimostrano come
noi in realtà ci dirigiamo e ci conosciamo in maniera molto ristretta, e tutto ciò che è
al di fuori della piccola conoscenza che abbiamo di noi è immenso e buio, <
notte impenetrabile, eppure ricolma di presenze, la notte di tutto ciò che è in noi e
attorno a noi, senza di noi e nostro malgrado.>>
Un’oscurità in cui noi non restiamo fermi ma reagiamo proprio perché subiamo, e questo reagire che avviene
fuori del nostro controllo fa parte ancora delle nostre passività, queste tenebre, questo
buio, il cristiano dovrà illuminarlo con la luce e la Presenza del Signore. In questa
notte buia e piena di energie per l’essere umano si determinano due tipi di forze che
interferiscono nella sua vita: quelle favorevoli, chiamate da Teilhard “passività di
crescita” che sostengono i nostri sforzi e ci aiutano e le “passività di diminuzione”
che rappresentano le energie e le forze avverse che apparentemente ostacolano e
gravano il nostro cammino e sviluppo. Le passività di crescita dunque sono forze che
sì subiamo ma che ci sostengono e cercano di dirigerci verso un accrescimento del
nostro essere, ma a noi, l’origine del nostro essere e il nostro slancio vitale sfugge,
non proviene da noi, Chi lo regola e lo proporziona scendendo nella nostra vita è Dio.
Anche tutte le influenze che subiamo ci sfuggono e oltre all’origine del nostro essere
ritroviamo Dio anche nelle cause seconde che assicurano la nostra riuscita. Noi,
scorgiamo la Presenza Divina e le Mani di Dio con la sua Provvidenza in tutto:
esterne che ci animano e permettono il nostro sviluppo, <
passività di crescita e ad esse ci uniamo in comunione con la nostra fedeltà di agire.
In tal modo siamo ricondotti, mediante il desiderio di subire Dio, all’amabile dovere
di crescere.>>
Le nostre vere passività cioè la parte più negativa del nostro vivere, sono le potenze o
le forze di diminuzione, esse sono innumerevoli e continue e possono essere
suddivise in quelle esterne e quelle interne. Quelle esterne sono determinate dalle
ingerenze spiacevoli tra noi e le altre cose del mondo, sono incidenti e accidenti,
mentre quelle interne si riferiscono a ciò che fa parte di noi dalla nascita, quindi una
menomazione o un difetto intellettivo o fisico che può limitare il nostro agire e le
nostre attività. La diminuzione più dolorosa e tragica per l’uomo e sintesi di tutte le
altre è sicuramente identificata nella morte, essa è <
fisico, per quanto essa è organicamente prodotta dalla pluralità materiale in cui siamo
immersi, ma anche male morale, poiché tale pluralità disordinata, fonte di ogni urto e
di ogni corruzione, è generata, nella società e in noi stessi, dal cattivo uso della nostra
libertà.>>
Dio si può raggiungere in ogni vita e attraverso ogni esistenza ma è
possibile incontrarlo anche attraverso la morte: superandola, Lo troveremo anche in
questo luogo ultimo. I nostri decadimenti devono essere trasfigurati, per comprendere
come essi <
nell’attuazione, attorno a noi, del Regno dei Cieli e dell’Ambiente divino.>>
Noi tutti dobbiamo lottare contro il male, evitare o ridurre la sofferenza sia fisica che
morale è ciò che dobbiamo compiere per avvicinarci a Dio Padre, come anche Egli
lotta, <<è proprio Lui ad animare, persino nei più miscredenti, la ricerca di tutto ciò
che allevia e di tutto ciò che guarisce>>  quando le diminuzioni si avvicinano o
arrivano a noi, dobbiamo respingerle per aderire all’azione di Dio. Nonostante la
nostra dura lotta, l’essere umano non può non essere colto dal dolore né tanto meno
può sottrarsi alla morte quando essa giunge, anche se il Signore combatte al nostro
fianco quando le nostre energie di vita saranno sopraffatte dalle forze negative
apparentemente potrebbe sembrare di essere sconfitti, ma Dio non è e non sarà mai
vinto da questa nostra apparente disfatta, perché, attraverso le nostre morti il mondo
in cui rivivremo, quello eterno, trionferà.
Egli essendo perfetto non può andare contro la natura delle cose e nel nostro mondo
non ultimato e in via di sviluppo e perfezionamento, (per cui con la prerogativa di
essere ancora disordinato) Dio non può evitare le cadute e le diminuzioni, ma, se
decidiamo di affidarci a Lui, senza eludere le nostre morti che necessariamente fanno
parte della vita, esse verranno trasformate e trasfigurate, in qualcosa di migliore.
Molte volte può accadere che un fallimento o un decadimento conduca a qualche cosa
di buono se da esso si trae una morale, ma esistono rovine e diminuzioni che nulla
potrebbe compensare, come incidenti terribili o scomparse premature o appunto la
morte stessa, in cui l’uomo resta danneggiato irrimediabilmente, proprio in queste
invece vedremo che la Provvidenza può agire nel modo più efficace. Come abbiamo
già osservato <
percettibile, lo strumento che taglia, scolpisce, leviga in noi, la pietra destinata ad
occupare un posto preciso nella Gerusalemme celeste>>  e grazie alla Sua
onnipotenza gli eventi della nostra vita come anche gli scarti, saranno ciò che
parteciperà ad unirci a Lui, quindi a <
amato.>>
La morte è la sintesi di tutte le diminuzioni, ed è ciò che più temiamo, contro cui
lottiamo comunque pur sapendo che non potremo evitarla, ed è proprio in essa che
vedremo il Signore trasformare questa diminuzione finale in un fattore vivificante.
Per entrare dentro di noi, il Creatore ha necessità di avere spazio, proprio la morte
aprirà quel varco che a sua volta ci schiuderà a Dio. La morte <
organico richiesto perché si precipiti su di noi il Fuoco divino>>  così il suo
operare nefasto sarà tramutato in una iniziativa di vita. Un altro modo per essere in
Comunione con Dio quindi oltre che dall’azione è dato dalla diminuzione.
Riconosceremo il nostro Padre eterno anche sotto le spoglie di una forza “nemica”
<
cuore della mia sostanza e per rapirmi in Te>>  e giungeremo alla vera
rassegnazione cristiana. Senza scappare davanti al male ma combattendolo con tutte
le forze, quando lo sforzo terminerà e giungerà la morte essa sarà accettata come una
nuova possibilità, come uno slancio di immensa fiducia in Dio, non una debole
sottomissione. Se <
attraverso il Male, al di là del Male; io mi stringo a Lui; e in quel momento,
L’optimum della mia “comunione di rassegnazione” viene a coincidere
necessariamente (per costruzione) con il massimo della mia fedeltà al dovere
umano.>>

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