Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze, Norberto Bobbio

Romano Amerio e le variazioni della Chiesa cattolica. Un libro incompreso: è il sovrannaturale che prevale sul mondo sensibile.

Condividi
Per i culturi, il testo di Amerio si trova QUI.
Il Card. Hoyos tocca già nella prefazione quella che è l’essenza del libro di Amerio: “ciò che cambia sono adattamenti che non toccano le basi”. È quello che dice Amerio per il Vaticano II, che per quanto innovativo e radicale, non ha mutato quelli che sono i princìpi ultimi della Chiesa, la Tradizione, anche se la Chiesa cattolica è un’opera in continua costruzione.

Amerio non ha nessun desiderio del passato perché “tal desiderio implicherebbe un rigirare del divenire umano in sé stesso e dunque un compimento”.

Parla di variazione della Chiesa cattolica e non di crisi, proprio per dire che non c’è momento di rottura, non c’è il passaggio da un’essenza all’altra. Allo stesso tempo – puntualizza – non bisogna negare un certo smarrimento della Chiesa (che è anche un dissenso interno ad essa, sino ad intaccarne l’unità), anche se la cosa importante è rendersi conto che l’antagonismo che c’è fra una Chiesa ideale e la sua manifestazione nel mondo reale è solo un fatto accidentale.
Rileva anche come il periodo più profondo del Cristianesimo sia quello medievale, e anche qui i fatti negativi umani, non sono che effetti secondari.
La Chiesa contingentamente occupa anche la vita temporale e perciò è essa stessa influenzata da variazioni accidentali, ma ciò non vuol dire che l’essenza della Chiesa si deve conformare al mondo.
La Chiesa diviene ma non muta”: non può nascere qualcosa di nuovo.

La crisi in quanto tale, e nel senso di Amerio, non può generare, causare alcun bene. Se anche dei beni occasionali vi fossero, non sono che eventi disgiunti e non sono generati dal male. La linea di causalità è diversa: bene e male restano con la loro intrinseca essenza.
Nel caso della Chiesa buono è il sistema, non i mali entrati nel sistema.

Detto questo, Amerio individua momenti di forte variazione nella storia della Chiesa:

- il Concilio di Gerusalemme (50 d.C.): non solo perché avviene la separazione formale tra ebraismo e cristianesimo, ma anche perché separa il giudizio sui principi dal giudizio sull’applicazione dei principi. Insomma, anche qui non sono i principi ad essere messi in discussione, ma la forma storica che tali principi prendono. La storicità viene distinta pertanto dal principio.
Vorrei notare una cosa: Amerio tende ad una coincidenza fra le parole dogma e principio come sinonimi credendo i dogmi della Chiesa cattolica (credo, più che cristiana in generale) come facenti parte di quei principi invariabili.

- Nicea (325 d.C.), dove si separa il dogmatico dal filosofico e dove i cristianesimo viene considerata religione soprannaturale e del mistero, in particolare del mistero dell’Incarnazione.

- il Medioevo, con la corruzione del costume clericale e il conflitto con l’Impero: anche qui non viene intaccata l’essenza della Chiesa.

- la Riforma, che ha le radici nel Rinascimento inteso storicamente come riscoperta di un uomo naturale e mondano. Questo, fa capire Amerio, significa che si dà preminenza al mondano (e anche uomo misura di tutte le cose), dimenticandosi dell’insegnamento del Cristianesimo, di un uomo Dio restauratore il cui fine è la glorificazione di Dio; e dimenticandosi dei momenti ascetici medievali e rinascimentali che hanno relativizzato il mondano.
“Il cattolicesimo prepone il logico a ogni forma dello spirito e la sua larghezza abbraccia una pluralità di valori”, laddove con la Riforma si mette in discussione il principio fondamentale della Chiesa: la sua autorità; prevale quindi il sentimento e il pirronismo, e la fede diventa persuasione.
Puntualizzo: l’obiettivo di Lutero, non era questo, ma il suo intento originario prima della Riforma storica era di rimanere all’interno della Chiesa e correggerne i difetti contingenti.

Il principio del libero esame, dice Amerio, è eresia, perché dà forza a tutto quello che “sembra”. Se ci doveva essere una Riforma, ammonisce Amerio, doveva essere interna alla Chiesa.

- la casistica non è crisi perchè il suo principio, il fatto che la libertà può scegliere la legge su cui determinarsi (“purché abbia qualche grado di probabilità”) non fu mai formulato espressamente.

- anche la Rivoluzione francese ha minato l’autorità della Chiesa perché ha fatto sì che quei diritti giusti che sono stati proclamati, assurgessero a principi.
Un conto è parlare di diritti in una società civile, un conto è che quei diritti dati da uomini per uomini vadano a sostituire principi di un ordine sovrannaturale e quindi sacro.
Con questo fatto, ad essere minato è ancora il principio di autorità, a favore dell’instaurazione di valori indipendenti e sussistenti, giusti in quanto diritti dell’uomo, ma proprio in quanto “umani” non principi sacri. Quegli stessi principi infatti (libertà uguaglianza fratellanza) provenivano già, ma sacralizzati, dalla religione cristiana.
Da qui Amerio inizia a parlare del corpo mistico della Chiesa: la Chiesa per virtù di obbedienza e abnegazione coordina e toglie dall’isolamento l’individuo e fa sì che questo si inserisca nel corpo mistico della Chiesa. Tale corpo mistico, che è corpo sociale, è formato quindi dall’uomo-Dio che segue i principi della Chiesa: la dipendenza dal Cristo si riflette nella dipendenza della Chiesa, tagliando fuori ogni altro tipo di dipendenza.
E l’autorità della Chiesa è l’unica in grado di comunicare i dogmi della fede.

Per quanto riguarda il Sillabo di Pio IX (1864) esso riguarda non una denuncia dei fatti della Chiesa, ma dello stato della civiltà moderna e dello spirito del secolo. In particolare si condanna:
-         l’indipendenza della ragione che non si riferisce più a Dio
-         l’indipendenza della ragione dal Verbo increato
-         l’indipendenza della decisione etica di un individuo da una Regola soprannaturale
Ora, aggiunge Amerio, dapprima queste contraddizioni erano nella civiltà moderna ed esterne alla Chiesa, poi si sono sempre più internate anche in essa.
Ma allora lo spirito del secolo è compatibile con la religione cattolica? Lo “spirito” del secolo è ciò che riduce ad uno tutte le pluralità e le divisioni, e in quanto tale deve essere giudicato non con il criterio della storia ma con quello della religione.

Per quanto riguarda lo “spirito del secolo”, che Amerio intende come “essenza” della civiltà moderna - e quello in cui viviamo non ci si riferisce più a Dio, al Verbo o ad una Regola/Legge - non è sufficiente solo una sola religione particolare per una sua interpretazione, ma un ritorno al sacro che mantenga come punti fissi di riferimento i principi primi (e in base a questi vedere come questo spirito del secolo si sia differenziato e allontanato).

Nel Lamentabili di Pio X (1907) la crisi del mondo diventa anche crisi della chiesa: esso condanna uno spirito di indipendenza:
-         l’uomo sottopone al suo giudizio la verità rivelata: facendo ciò antepone la storia alla verità
-         l’uomo è indipendente dalla verità: questa non produce più nessuna obbligazione per lui
-         l’uomo è storicamente indipendente dalla sua “natura”, intendendo per natura la sua essenza immutabile
-         la ragione umana è indipendente dalla Ragione divina
-         l’uomo considera incompatibile il cattolicesimo con civiltà moderna, intendendo per questa la scienza moderna: è vero che il cattolicesimo è incompatibile con la civiltà moderna, ma questa non è scienza, quella Vera

Per la Humani generis di Pio XII (1950) l’errore è interno alla Chiesa e ne mina le fondamenta: nella società e nella Chiesa v’è pirronismo, una pretesa di distacco dai valori immutabili, uno storicismo che fa sì che ci si distacchi dall’essenza delle cose che porta a un mobilismo e ad un dissolversi dell’essere nel divenire, un umano sentimentalismo.
Ad essere intaccato non è solo dunque il principio di autorità, ma il principio di dipendenza dell’antropologico al divino.
È vero infatti che anche nella chiesa si possono alternare momenti di “memoria” a quelli di “oblio”, ma questo oblio non deve attaccare i principi.

L’esito del Concilio Vaticano II fu molto più ammodernante di quanto la stessa fase preparatoria aveva stabilito (che spiega anche la sua lunghezza 1962-65). Tali ammodernamenti in linea generale hanno riguardato la flessibilità della liturgia, l’assoluzione comunitaria a scapito della confessione individuale, l’ordinazione presbiteriale di uomini sposati, la rimozione di vescovi e presbiteri ad una certa età, l’educazione del clero, la riunione dei cristiani non cattolici che poggiava su una sostanziali parità fra cattolici, protestanti e ortodossi, l’elevazione della tecnica della civiltà moderna forza civilizzatrice, intesa come progresso.

In fase preparatoria il Sinodo Romano I di Giovanni XXIII voleva una restaurazione della Chiesa nel senso di un ritorno vero alla sua essenza originaria e ai suoi principi. In particolare per quanto riguardava l’educazione del clero: un’educazione ascetica e una vita sacrificata di un clero che è sacro, consacrato sovrannaturalmente a esercitare le operazioni del Cristo.
Poi liturgicamente: sull’uso del latino, sul battesimo, sul tabernacolo, altare non facciale, divieto dell’accesso delle donne nel presbiterio, divieto di profanità in chiesa.

La Veterum Sapientia, anche se ha avuto insuccesso, è un’affermazione di continuità: continuità dal mondo greco e romano, anche perché le stesse lettere cristiane sono lettere in greco e in latino.
La cultura cristiana, e lo dice anche Amerio, è “preparata e aspettata” dalla sapienza antica, e con Sant’Agostino “già esisteva negli antichi e non mancò mai sin dagli inizi del genere umano”.
L’uso della lingua latina che è connaturato storicamente (non metafisicamente, puntualizza Amerio) alla chiesa cattolica, e per questo nell’enciclica si prevedeva una sua restaurazione nella liturgia e nella formazione del clero: ciò avrebbe unito le chiesa cattolica nel mondo in maniera universale con un linguaggio sacro (a differenza delle divisioni dei linguaggi nazionali, una sorta di Torre di babele).
La Chiesa nella sua essenza è immutabile, e il latino parteciperebbe a questa immutabilità. Soprattutto, Amerio: “la necessità per la Chiesa di custodire il dogma con una lingua che si mantenga fuori dalle passioni”, che sono principio di fluttuazione delle menti, di alterazione del vero, di divisione tra gli uomini.
Il linguaggio è l’idea medesima e variare il linguaggio, come appare dallo sviluppo omogeneo o eterogeneo del dogma, significa identicamente variar dottrina”, e per questo il latino instaura (e non toglie) la comunicazione tra gli uomini.
Invece, anche per quelle poche cose rimaste in latino, la traduzione nella lingua volgare differisce molto dal testo originario.
Ad esempio la traduzione di “Milizie Celesti” in “Cori”; “qui provobis et pro multis effundetur”, “versato per voi e per molti” e non “tutti” (una selettività scansata da democraticità a parole); “virtute largiris et praemia”: se la virtù si considera infusa e non data, viene meno il dominio del divino sull’umano; “domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum”: far entrare il signore nella propria dimora, nel proprio intimo, è ben diverso dal partecipare alla mensa; nel Credo francese si parla della “meme nature” di Padre e Figlio, ma questi non sono della stessa natura, bensì della stessa sostanza.

L’unità di una lingua conferisce anche unità ad un corpo collettivo. Se la chiesa è nella sua essenza immutabile, anche la sua lingua sacra (nel caso della chiesa cattolica, il latino) lo deve essere. La preghiera liturgica, dunque, va fatta in latino; ciò che può essere fatto in lingua volgare è la parola didattica, cioè la rilettura del testo in lingua volgare e la sua spiegazione (attraverso l’omelia ad esempio).

Da quando si è iniziato a usare lo strumento conciliare, lo scopo di questo era la causa fidei: nella fede rientravano anche la causa unionis e quella reformationis, in seguito distinte per la sempre maggiore presenza di posizioni scismatiche e di corruzione all’interno della chiesa stessa.
Nel Vaticano I alla causa fidei furono ricondannati gli stessi errori del Sillabo, a quella unionis una riunione delle confessioni acattoliche all’interno della Chiesa cattolica, a quella reformationis la dipendenza alla legge divina della chiesa, espressa dall’infallibilità papale.

Le stesse tre cause si riconoscono nel Vaticano II, dove vengono espresse nell’idea di pastoralità.
Stando al discorso di apertura di Paolo VI, al rinnovamento interno della chiesa fa capo una sua presa di coscienza per approdare un una riforma vera in conformità al modello divino; fatto sta che la Chiesa cattolica deve essere il punto di riferimento, cui anche le altre confessioni devono rifarsi; inoltre si parla di vocazione missionaria della Chiesa e di evangelizzazione dell’umanità.
In base a quanto detto da Paolo VI, Amerio fa notare come il suo discorso si basi su un ottimismo e una speranza che non hanno una causa soprannaturale, ma è più una congettura e una previsione basata sul sentimento.
Anche il fatto storico che il Vaticano II sia stato ad ampia partecipazione e con una organizzazione immensa non vuol dire che i valori che porta siano stati alta e l’unità effettiva, anzi, tanto che Amerio lo chiama “fenomeno di opinione”.

E per questo un Concilio, prima di essere pastorale deve essere dogmatico: infatti l’esposizione e lo stabilire la dottrina immutabile viene prima della pastoralità che è una condizione storica e non dogmatica. Nel Vaticano II, invece, non c’è dogmaticità, ma solo pastoralità.
La Chiesa come un lievito deve montare la massa, e non da questa farsi impregnare.
Ed è questo il cardine del pensiero di Amerio, cioè che la Chiesa, nonostante la “variazione” del Vaticano II è rimasta se stessa nel nocciolo, perché in nessun caso si può parlare di “nuova” Chiesa: la nascita di qualcosa di nuovo, presuppone sempre la morte del vecchio, e questo non è il caso della Chiesa cattolica.
Senza il dogma, la sola pastoralità (fatto Amerio ritiene essere stato nel Concilio Vaticano II) non ha ragion d’essere perchè riguarda l’aspetto contingente, come presunto rinnovamento, presunta evangelizzazione, presunto colloquio col mondo moderno.
Insomma, dapprima è giusto stabilire l’indirizzo dogmatico, che riguarda l’essenza, poi al caso e in un secondo momento spostarsi nell’ambito dell’azione più concreta, e non come Paolo VI che diceva che il dogmatismo esigente e qualificante della chiesa cattolica è un principio di divisione.

Già nel discorso inaugurale del Concilio, Giovanni XXIII parla delle contraddizioni della Chiesa, del fatto che gli uomini devono tendere ai bene celesti individualmente sia “socialmente uniti” (come società, il Papa parla dell’obbligazione religiosa dello Stato).
E interviene anche un fatto storico: l’invio di osservatori dal Patriarcato di Mosca purché non fosse condannato, come non lo è stato, il comunismo.

Giovanni XXIII riconosce una molteplicità di espressione delle verità, il cui senso però deve rimanere lo stesso nelle diverse espressioni.
L’imposizione non piace più oggi”: su questa espressione si basa la novità che riguarda la correzione dell’errore, che non deve avvenire più per imposizione e severità ma per misericordia.
Ma, dice Amerio, la misericordia dell’errore è qualcosa in meno rispetto alla condanna dell’errore: la condanna infatti agisce sia nei confronti dell’errore (che non deve essere) sia nei confronti dell’errante (verso il quale si agisce in ogni caso con misericordia).
Se si agisce solo con misericordia verso l’errante, manca la fase di confutazione dell’errore, e questo non si può riparare da sé.
Da qui, traspone Amerio, gli errori possono divenire palesi, come divorzio e aborto.

Comunque, chi ha remato contro i lavori preparatori del Concilio, intessendo vene di ammodernamento al Concilio stesso sono i padri francesi, tedeschi, canadesi e olandesi. Gli influssi senz’altro appartengono alla struttura conciliare, ma questi non devono intendersi come “ricchezza” bensì come pluralità da ricondursi all’unità.
Lo stesso Paolo VI, benché vicino all’ammodernamento proposto dai vescovi, ha dovuto fare vedere la sua autorità su punti fondamentali, con la “Nota Praevia”:
-         collegialità: le cose di fede e di morale sono irriformabili dal Collegio; la potestà suprema per ogni altra questione rimane al Collegio tutto; questa potestà può essere esercitata autonomamente dal Papa, ma non autonomamente dal Collegio senza il Papa
-         Vergine Madre della Chiesa in quanto madre vera del Cristo;
-         la procreazione è elemento primario del matrimonio e i mezzi contraccettivi sono illeciti;

Del rapporto della Chiesa col mondo, Amerio pensa che lungi dall’essere Dio a dover avvicinarsi all’uomo, è questo che a Lui si deve accostare con Carità, per il trionfo di Dio e non per l’adorazione dell’uomo dall’uomo.

Gli effetti postconciliari in sostanza si notano nella Messa, in una democratizzazione, e in una nascita di dottrine extra-cattoliche.
La variazione della Chiesa è stata grande: non solo si è modificato quello che viene percepito dai cinque sensi (Messa, strumenti, etc.) ma sino a provare ad intaccare anche ciò che riguarda la mente, cioè Fede, Speranza e Carità, tentando di staccarle dalla loro dimensione sovrannaturale ed assurgerle a quella umana. Ma allontanarsi dal principio non significa perderlo.
Se l’essenza della Chiesa è intoccabile, la sostanza che è fatta da “accidenti”, cioè da atti intellettivi e volitivi, si trasforma.
In realtà le sole e Vere novità in grado di innovare l’umanità sono:
1)      la Caduta dell’uomo che per colpa primordiale perde il suo stato di integrità
2)      la grazia del Cristo che ripara lo stato originario
3)      alla fine dei secoli l’Uomo è beatificato, glorificato e reintegrato
L’Uomo nuovo non può nascere che per grazia del Cristo, e da nessun altra variazione oltre che questa.
Anche per questo qualsiasi novità in senso ameriano si intenta imputare al Concilio, essa non è vera novità, poiché cangiamento di essenza non vi può essere. La Chiesa è una nello spazio e nel tempo.

D’altronde, altro errore è considerare la Chiesa primitiva come perfetta: anche essa era fatta di influenze e da una massa composita di movimenti ed eresie.
Amerio cita “abusi dell’agape, fazioni tra i fedeli, defezioni morali”. Senz’altro poi anche le apostasie che c’era per paura delle persecuzioni.
Parla anche di ben 87 forme di eresie e scismi, fra cui arianesimo e manicheismo. Io preferisco invece riferirmi al tuo quaderno, e direi marcionismo (con i suo Dio buono e Dio cattivo), il montanismo (ancora un’eresia messianica), e il pelagianesimo.

Mi sembra comunque che il pensiero di Amerio abbia influenzato molto anche Benedetto XVI, come per la Caritas in Veritate. Non solo infatti il Pontefice vede attraverso un’ermeneutica della continuità il Vaticano II, e ha aperto ad alcune posizione dei tradizionalisti come per la messa tridentina, ma fa lo stesso discorso frequente in Amerio di anteporre la verità alla carità.

È dogma di fede che la Chiesa è santa, ed è santa perché è il corpo mistico di un uomo-Dio, perché possiede l’eucarestia che è santificante per eccellenza, perché possiede la verità rivelata.
Per questo gli uomini della chiesa non insegnano niente di nuovo ma re-insegnano la dottrina insegnata all’Uomo-Dio, dottrina che è Verbo.
L’eucarestia è il vero mistero, quello della presenza reale del Cristo; gli altri sacramenti non sono che preparatori a questo. Amerio la identifica come consumazione della potenza divina, della sapienza e dell’amore divino.
Nel mistero della transustanziazione deve accompagnarsi da parte del fedele un atto adorante verso un ente personale che è il Cristo. Tale adorazione deve essere accompagnata da sentimenti di amore, fede, ma anche timore, timore che faceva prendere coscienza della dimensione del peccato umano, inconciliabile con la transustanziazione in quanto presenza reale del Cristo.

E la Chiesa resta sempre santa, nonostante i periodi di corruzione storici.

Amerio parla anche del principio dell’autorità gerarchica, che deve essere sempre presente: anche in momenti collegiali non si può prescindere dalla supremazia dell’autorità papale, che è rispecchiata anche dal dogma della sua infallibilità.
Esso non può essere messo in discussione, come invece è successo per la Humanae Vitae (1968): anche se non è stato un vero e proprio rifiuto dei vescovi all’autorità papale, lo è stato per gli atti concreti di quell’autorità (in particolare da parte di vescovi francesi e olandesi).
Il rifiuto dell’autorità costituirebbe scisma. L’autorità è infatti una funzione necessaria ad unificare, non nel senso di riduzione ad unum del tutto, ma come coordinamento di tutte le libertà in un’unione “intenzionale”. Con questa parola intenzionale, Amerio fa capire che l’individualità persiste, ma non più in quanto tale ma in quanto unificata o ri-unificata al corpo mistico della chiesa.
L’autorità ha anche poi un aspetto pratico, che è il governare: esso deve essere fatto da precetti, che danno un’obbligazione, piuttosto che da direttive che non annettono obbligazione.
Questo governare è altrettanto importante rispetto all’aspetto dottrinale: anche in Chiesa bisogna “guerreggiare”, cosa che ad esempio Pio IX non ha fatto, poiché era più arroccato su posizioni dottrinali.

Autorità significa anche punire. L’errore va rimosso (confutandolo e dimostrando che non conclude), così come l’errante.
Su questo punto Giovanni Paolo II ha operato meglio di Paolo VI.

Un’apparente contraddizione può nascere dal fatto che l’autorità gerarchicamente suprema è anche il servo servorum Dei, cioè il più servo dei servi di Dio.
In realtà l’impasse può essere superata con l’argomentazione che più l’autorità è gerarchicamente superiore, più le sue responsabilità sono importanti: ciò vuol dire anche che più è in alto più deve conformarsi alla volontà dell’autorità a lei stessa superiore, sino al massimo grado, Dio.

In questo discorso vi rientra anche la fortezza, la virtù speciale per S. Tommaso, perchè forma generale di tutte le virtù, considerato che corrisponde alla fermezza d’animo.
In base alla fortezza, la Chiesa non deve riflettere le variazioni che intervengono nel mondo, ed anzi deve continuare nella sua opera di porre obbligazioni vere (precetti conformi a verità), in quanto lex dubia non obligat.

In merito ad altre questioni, Amerio parla dell’importanza della successione della Penitenza alla prima Comunione, e del prendere l’Eucarestia nella bocca e non nella mano.
Inoltre è contro la riforma dell’Indice (Integrae Servandae, 1964), in quanto era un index librorum prohibitorum e non auctorum prohibitorum: non condannava l’autore in sé ma il significato di un’opera in base al linguaggio in cui era scritto e che talvolta poteva anche essere o apparire diverso dal pensiero dell’autore (Platone docet). Il libro risponde di sé medesimo, non dell’autore.

Anche la riforma della Propaganda fide (propaganda verso in-fedeli) non è vista di buon occhio rispetto alla Evangelizzazione dei popoli (nome con intento pastorale).

Amerio parla anche di cultura difettosa della Chiesa cattolica.
Si riferisce in particolare a:

- quando si inizia a parlare della Messa non più come atto sacrificale compiuto dal prete in persona Christi, ma come Assemblea. Essa non è né un’assemblea né un far memoria a Cristo, ma una serie di operazioni sacre. Si fa, durante la Messa, quello che Cristo stesso ha fatto, e per questo è un’azione reale;

- ne consegue che il prete per difetto di cultura diventa un primus inter pares, cioè alla pari di tutti gli altri, tanto che alcune celebrazioni anomale hanno visto la celebrazione della Messa fatta da laici;

- si concentra poi su talune affermazioni papali, confutandole.

In particolare:

- non è la libertà che fa somigliare l’uomo a Dio, ma l’uomo è simile a Dio perché l’ordine del mondo è una idea del divino intelletto impressa nella creazione;
- la carità rende operante la fede e non l’opposto (Sant’Agostino docet). In merito alla fede dice anche che questa riconosce come rovina ciò che il genere umano attuale considera perfezionamento e progresso. Questo perchè tale perfezionamento e progresso fanno sì che ci sia un’alienazione e allontanamento da Dio;

- la Chiesa è costruttiva è non demolitrice o autodemolitrice

Amerio parla poi, di una altro difetto, quello della condiscendenza con gli Stati, come dimostra la revisione del Concordato. Oltre al discorso del divorzio, che vede il ritiro lo status di coniuge da parte dello Stato, cosa che per la Chiesa non è possibile (legittimando così il sacramento del matrimonio), parla dell’importanza della religione cattolica in quanto tale e non solo in quanto storicamente importante.
Il fatto che non si riconosce più il cattolicesimo come religione di Stato né è materia di insegnamento obbligatoria nelle scuole, dice, significa che anche se se ne riconoscesse la storicità, può essere considerata al pari di tutte le altri religioni.
In realtà su questo punto c’è da obiettare: a scuola è più giusto insegnare una storia delle religioni, e vedo l’affermazione di Amerio un po’ faziosa. D’altro canto, però, se come dice Amerio ciò permetterebbe a qualsiasi cosa (es.: movimenti new age, o cose di questo tipo) di entrare nella mentalità comune come “religione”, allora è meno peggio dare la priorità ad una.

L’ateismo è un fenomeno nuovissimo. Uno non ci pensa mai forse, ma i popoli nel passato sono sempre stati credenti in qualcosa, a partire dalle tribù selvagge sino ai giorni nostri. In India, ad esempio, l’ateismo non esiste.


C’è poi una frase interessante: “se è vero che il substrato della Chiesa è un principio invisibile che opera azioni per sé invisibili nel fondo della coscienza, è altresì vero che quell’invisibile essendo nella storia, apparisce nell’ordine dei fatti”. Questo mi sembra lampante ed esplicativo del mondo della manifestazione. La forma, dice anche Amerio, è l’apparire della sostanza.

In merito alla crisi del sacerdozio, Amerio parla delle defezioni dei preti non per difetto del loro costume e abbandono del celibato (che c’era anche in passato), ma come rifiuto delle essenze. Ogni pensiero di riforma del sacerdozio ha alla base il rifiuto delle essenze e il pensiero che si possa avere maggiore libertà, intesa anche come facoltà di autodeterminazione.
Ma come può avvenire questa autodeterminazione e questa libertà se non facciamo riferimento al sacro, poiché è dal divino che veniamo?
La rottura del sacerdozio unilaterale, da parte del singolo, non è affatto nuova; invece dal Vaticano II erano aumentate in modo incredibile le dispense della Santa Sede, ridotte drasticamente da Giovanni Paolo II. Tali dispense pro gratia hanno legalizzato un fenomeno che anche prima era numeroso, ma ora anche considerato legittimo.
Esse sono gravissime in quanto rendono inattivo il carattere indelebile ricevuto con l’ordinazione.

L’impegno sacerdotale dà una totalità e perpetuità che piace all’anima umana. E poi:
- è in grado di alzare la libertà a virtù, perchè legata a qualcosa di assoluto
- viene rafforzata la fede stessa
Anche se “il prete soffre di dover predicare parole che sono più alte della sua vita e che lo condannano”, è anche vero che nessun uomo in quanto tale e imperfetto può raggiungere l’ordine ideale. Ciò però non vuol dire che non si deve predicare l’ordine ideale e vi si deve tendere.
Già questa tensione, la missione del prete stesso e il suo convincimento sono molto.
“La conseguenza che se ne deve tratte è l’umiltà, e non l’angoscia della superbia”.

Secondo il cattolicesimo, il sacerdozio universale è il battesimo e quello sacramentale il sacerdozio in sé.
Con il primo l’uomo viene aggregato al corpo mistico di Cristo, con il secondo il prete è capace di atti in persona Christi, in particolare l’atto che produce la presenza eucaristica, e quello della remissione dei peccati.

Il clero è il fermento che fa la pasta ma non si fa pasta: sia il clero secolare che regolare sono nel mondo ma non sono del mondo. 
A dimostrazione che sono nel mondo, il fatto che i regolari, che sembrano più distaccati, sono quelli che hanno contribuito alla preservazione della cultura.

Per quanto riguarda la gioventù, essa nella storia è vista come un’età di imperfezione naturale e morale, e questa minorità richiede un maestro. Il fine dell’educazione è la perfezione dell’essere come soggetto.
Siccome il fine è la perfezione, l’educazione non limita ma amplia la libertà.
Per questo l’azione educativa è una imitazione della causalità divina.
L’uomo è debole, ma anche guasto, e incline al male.
Qui il discorso è lungo e complicato, e si entrarebbe nel campo della Dualità fisica e metafisica…

Seguire la pendenza è facile, più aspro è modellare il proprio io verso la perfezione, perchè l’umana vita è combattimento e fatica: se al giovane la vita viene presentata come gioia e felicità si dimentica della sua durezza, e ad un certo punto non sarà più in grado di sopportarla.
L’io vero non vuole che il giovane si “realizzi”, ma diventi altro da sé. L’autenticità in questo senso non è porsi come si è, ma farsi come si deve essere, nell’umiltà.
Anche l’insofferenza verso la mediocrità è contro la povertà di spirito.
La gioventù è uno stato di virtualità, perfezione in potenza se si vuole, ma non va divinizzata: tale “divinizzazione” farebbe crescere il desiderio di perpetuarsi, cosa che non si può, e che invece oggi è molto presente.

In merito alla donna, questa non la si può eguagliare all’uomo in tutto, e in special modo nel sacerdozio, poiché il sacerdote opera in persona Christi, e Cristo si è incarnato in uno uomo, e non un una donna.

A parte la questione del sacerdozio, Amerio dice però che la Chiesa, pur riconoscendo dogmaticamente le differenze tra donna e uomo, è quella che storicamente l’ha emancipata, attraverso:
- la parità sovrannaturale tra uomo e donna, a livello di essenza
- esaltando verginità e matrimonio
- esaltando la Madre di Dio
- rifiutando il cattolicesimo ogni dipendenza da uomo a uomo.
E dice anche che le grandi donne d’Oriente e d’Occidente furono nel passato tanto più riconosciute quanto più la religione era forte.
È piuttosto con il perdere vigore della religione e l’avvento dell’economia che la donna perde posizioni, a cominciare da quelle politiche.

Il femminismo odierno imita il mascolino, mentre l’uguaglianza naturale dei sesso non toglie la peculiarità della donna.
Questa imitazione del mascolinismo per esempio fa sì che prenda piede il libertinaggio. In passato ciò c’era, ma solo in ceti ristretti e non si ostentava.
La dualità della natura fa si che i due diseguali possano ritrovarsi nell’unità: ad esempio, dice Amerio, se la donna fisiologicamente è subordinata all’uomo, su questo è sovraordinata psicologicamente perchè è lei che getta il polline della seduzione.
Ancor di più, lo è nella famiglia.
La donna è secondaria all’uomo in linea di creazione, ma il fine di entrambi, uomo e donna, è a loro sovraordinato: la servitù dovuta a Dio.
Gli uomini, in sostanza, sono uno strumento di Dio.

In merito alla Madonna dice che oggi se ne parla con nozione di dignità e immacolatezza, mentre la nozione dei padri della Chiesa era diversa e imperfetta.
Nei primissimi secoli non veniva data eccessiva importanza alla Madonna e quasi tutto si accentrava sulla figura del Cristo.
Un esempio su tutti è quello di Paolo che praticamente ha ignorato questa figura. Essa è andata progressivamente aumentando a partire dal medioevo.
Per quanto riguarda la sua verginità, anche se essa era pacificamente accettata, è stata dichiarata un dogma solo a tempi di Pio XII.

Il pudore è un fenomeno che tocca la base metafisica: appartiene alla vergogna, che a sua volta accompagna la percezione di un difetto. La natura, avvertendo il difetto, si vergogna.
Il difetto, è un difetto di Caduta.
Anche la natura si vergogna del proprio difetto, per mezzo dell’individuo.
Anche l’uomo si vergogna per la vecchiaia, la malattia o la mortalità. Riconosce, insomma, che la sua natura non è perfetta, in sostanza metafisicamente si vergogna della sua colpa originaria.
La libido è la più estesa disobbedienza e anche se non è un peccato essenziale è sintomo dello stato presente dell’uomo, e fa sì che l’uomo dimentichi per dei momenti la parte razionale a favore di quella concupiscente.

Per quanto riguarda il culto della corporeità, dice che il problema non è l’esercizio fisico in sé, ma la sua celebrazione e la celebrazione del corpo. Lo sport non equilibra o perfeziona la persona, e non affraterna gli animi.
Perfino il motto di Giovenale per intero dice “Bisogna pregare gli dei affinché ci diano una mente sana in corpo sano”.
Lo sport contiene in sé il rischio dell’azione senza fine, cioè che l’uomo agisca senza più uno scopo. Tutte le attività a buon grado possono rientrare nel perfezionamento dell’uomo, ma non da sole, e senza un fine.
Il problema non è poi lo sport in sé, osserva Amerio, ma la tendenza dei discorsi della Chiesa post Vaticano II di mettere lo sport in contatto con la religione, come fosse un’attività spirituale.
Ciò che serve, anche a beneficio del corpo, sono invece le “penitenze”, intese da Amerio come digiuni, che si ascrivono nella mortificazione a causa della corruzione originale.
Per prendere l’eucarestia, ad esempio, il digiuno doveva essere sin dalla mezzanotte.
L’uomo corrotto deve essere mortificato affinché possa essere vivificato come nuova creatura: la penitenza esteriore è il modo di subire la penitenza interiore. Ancora, come ho detto sopra, perchè i fatti del corpo esprimono gli atti dell’anima.
Le opere della giustizia per Cristo sono “solo” queste: orazione, elemosina, digiuno.
Anche essi devono essere capiti ed avere un fine, con la “compunzione del cuore”. La sola penitenza spirituale è impossibile (“non si possono amputare i desideri della superbia senza umiliarsi esteriormente, quelli del senso senza reprimere gli atti del senso, quelli della gola senza tagliare nella lautizie”).
Oggi, dice Amerio, la Chiesa lascia alla libera coscienza dell’uomo se digiunare e quando: ma ciò perde di valore, e va contro il principio di obbedienza verso i precetti.

Se il fine dell’attuale società è divenuta la ricerca di utilità e la produzione, per mezzo della tecnica e del dominio sulla natura, allora si è perduto il fine originario cui deve guardare l’uomo: Dio.
Se storicamente nel passato e dopo l’avvento dei partiti ve ne era uno che voleva aver separate vita civile e religiosa, e l’altro voleva la religione come necessità connaturata alla vita sociale, oggi non è più così.
Ovviamente Amerio si riferisce in particolare ai partiti cattolici, che hanno perduto, in particolare dopo il Vaticano II, l’attaccamento alla religione che significa in sostanza attaccamento al sovrannaturale per continuare ad avere solo connotati politici.
Il criterio da adottare sarebbe quello dell’intervento della Chiesa nelle materie spirituali ma anche miste (che coinvolgono cioè sia la spiritualità che la temporalità) perchè anche queste ultime hanno a che fare con il sacro.
Su queste materie la Chiesa deve intervenire attraverso i suoi membri cattolici che sono tenuti, se realmente credono nel Magistero della Chiesa e non hanno perduto la Fede, a conformarsi ai dettami di questa anche per mezzo dei loro diritti politici.
È così che in passato la Chiesa ha potuto annullare leggi dello Stato.

Quello del criterio di differenziazione tra Sacri Scritture e Magistero della Chiesa è un punto molto forte in Amerio: l’errore del protestantesimo (anzi, lui parla di luteranesimo), fa capire Amerio, è stato quello di peccare di superbia quando ha creduto di poter interpretare, criticare, analizzare le Sacre Scritture in base ai lumi o alla coscienza individuale, senza farsi guidare da una Tradizione o da una dottrina di Fede.

È giusta la separazione fra materie civili e materie religiose (in cui rientrano anche quelle di competenza mista), ma su queste non si può far affidamento sulla coscienza individuale dell’uomo, altrimenti si avrebbe un pirronismo relativizzante.
Il criterio è quello che all’uomo spetta libertà di scelta, ma questa deve essere coerente con la fede religiosa.

Per quanto riguarda tutto il discorso sul comunismo, i punti fondamentali secondo me sono:
- esso è da avversare non tanto in quanto movimento politico, ma in quanto movimento politico che professa l’ateismo e che quindi rende nullo ogni valore spirituale e ogni riferimento al sovrannaturale;
- ciò lascia quindi che sia l’uomo misura di tutte le cose “differentemente a seconda dell’ambiente di riferimento”. Questo vuol dire anche che si è perduto il riconoscimento di una Verità unica e dell’esistenza di un essere immutabile;
- l’utilizzo della lotta di classe come “metodo per fare giustizia”, che porta ad inasprire non solo una situazione di guerra nel mondo (guerra non solo fisica, ma anche degli animi) e odio. Se si sviluppa odio tutta l’azione sociale è corrotta: l’abbiamo detto più volte, l’intenzione e il fine sono quelli che contano.
Questo è il punto interessante che potrebbe interessare Valerio, perchè si parla di comunismo,

Il comunismo non si rende conto che l’ingiustizia sociale che combatte non c’è solo nella differenza tra ricchi e poveri, ma anche all’interno di una stessa classe (che si chiami operaia, borghese, etc.) poiché è dovuta da un disordine morale che taglia trasversalmente tutte le classi.

La Pacem in Terris di Giovanni XXIII parla propriamente della finalità ultramondana dell’uomo, ma non spiega bene il concetto di fissità della dottrina e mobilità del movimento. Quello che Amerio vuol dire è che qualsiasi cosa che storicamente e socialmente accade non può non rifarsi al pensiero che la precede, e questo pensiero tradizionalmente deve essere la dottrina.
Se l’atto si rifà ad un altro tipo di “pensiero” che lo muove viene a mancare il riferimento al sovrannaturale.

Un’idea di socialismo cristiano alla Toniolo o alla Curci, intesa come ricomposizione organica delle classi e loro armonia è buona, perchè si parla di pareggiamento proporzionale del corpo sociale.
Se però l’interpretazione è diversa (come quella intesa dalla teologia della liberazione), e cioè se si pensa che la perfezione e la liberazione spirituale devono avvenire prima in terra come liberazione temporale, e poi come liberazione spirituale, questa non ha nemmeno più senso.

È lo spirituale che comanda il temporale, che è solo una forma.
E, in particolare, le operazione che sono assegnate dalla Chiesa sono insegnare la verità di Fede, santificare coi sacramenti, governare, pascere.

Qui c’è uno spostamento sul terreno dell’insegnamento e della catechesi.
Il rispetto dei convincimenti di chi apprende e la libertà di insegnamento non sono che ombre, perchè l’educazione in materia di prescinde dai convincimenti personale che siano quelli dell’insegnante o di chi impara. Infatti l’insegnamento, sia esso a scuola in generale che come catechesi in particolare, si basa su due punti saldi:
- l’autorità di chi insegna, cioè la superiorità di chi sa su chi non sa, che deriva dal conoscere la verità
- la trasmissione della Verità come conoscenza e non come esperienza. Questo è un punto molto importante. La conoscenza della verità, anche se è vero che influenza il mondo tramite le esperienze individuali, non va insegnata come esperienza ma come conoscenza. Solo uno che la conosce la fa propria e con questa ne conforma la esperienza.

Questo perchè la Verità c’è sempre ed è sempre esistita: non va prodotta, ma va scoperta. Qui c’è molto di Platone. Un conto è produrre la verità tramite esperienza, un altro discorso è ricordarsi di essa e farla propria e poi conformarvicisi.
L’insegnante non trasfonde in lui la Verità, ma lo fa partire, fa nascere in lui quello che già possiede potenzialmente.
Questo significa che l’essere umano non crea, ma attua le sue potenzialità.

L’esperienza infatti, lo sperimentare, è ben diverso rispetto al conoscere. E’ giusta infatti la conoscenza dei vizi e del male mediante la dottrina, tutt’altra cosa è la loro sperimentazione. “Certe cose si conoscono meglio non trovandocisi dentro”.
Conoscere la Verità non significa nemmeno “ricercare” la Verità.

Alcune obiezioni dicono anche che se il fine resta la religione, questa confessionalizza la scienza. Ma essere organico non significa essere servo: la scienza può restare scienza con i suoi metodi e le sue caratteristiche, è solo il fine, il sovrannaturale, che deve essere religioso.

Per quanto riguarda in maniera particolare la catechesi, questa è dottrina perchè vi sono contenuti sovrannaturali.
I suoi obiettivi devono essere:
- la riunione dei catechismi particolari in un catechismo universale mediante formule di fede. Questo significa anche che la catechesi non deve mutare a seconda delle culture;
- la memorizzazione, intesa come “possedere durevolmente nella memoria le parole di Cristo, i principali testi biblici, le formule di fede, il decalogo, le preghiere comuni, i testi liturgici”.
E Amerio parla a tal proposito proprio di forma amebea, di domanda e risposta, che è praticamente la dialettica socratica.

Per quanto riguarda gli ordini religiosi, Amerio dice varie cose importanti, tra cui il fatto che la riforma del Vaticano II è contraria alle riforme precedenti che hanno coinvolto i vari ordini. Prima, infatti, tutte le riforme sono nate dalla mollificazione della disciplina e dal maggiore desiderio di spiritualità. Col Vaticano II è accaduto il contrario, sino ad arrivare al disprezzo dell’abito ecclesiastico e liturgico.
L’importanza di un ordine religioso nasce dal fatto che rappresenta un momento fisso cui il flusso della vita si deve adeguare.
Questo momento fisso è basato sul servizio di Dio il cui fine è raggiunto tramite la salvezza dell’anima propria.
Gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola sono ad esempio un mezzo per la propria santificazione.
Tutte le virtù sono connesse, ed anzi sono un’unica virtù.
La regola degli ordini si basa su tre capisaldi:
- la castità;
- la temperanza, intesa sia come povertà che, più in particolare, come vitto mortificante rispetto al vitto comune. La temperanza è intesa quindi come il sottrarsi alla smisuratezza del moto che fa delle cose superflue come se fossero necessarie;
- la sottomissione all’autorità del superiore, che non significa obbedienza assoluta che è propria del dispotismo, perchè si può disobbedire a chi comanda opera illecita. Obbedienza significa “abdicare liberamente la volontà propria nella volontà del superiore e quindi rinunciare all’esame del comando”.
Cioè, nel fatto dell’obbedienza c’è già un esame ragionato su quello che si comanda in quanto è un superiore legittimato a comandare che ci dice di fare una determinata cosa. Questo significa che non si discute nel merito della cosa comandata in quanto si ritiene razionalmente che chi l’ha comandata lo ha fatto per un bene superiore.
Ciò a prescindere che soggettivamente si ritenga quella cosa buona o cattiva, perchè non si avrebbe la giusta capacità di giudizio: in questo la cecità dell’obbedienza è la stessa della fede.
Se mancasse obbedienza vi sarebbe indebolimento dello spirito di comunità.

Le pagine di Amerio su fede, speranza e carità sono bellissime.

La Fede come certezza, indiscutibile, che non è contro Ragione, ma va a completare la Ragione dove questa si ferma e ha il suo limite: se il mondo oggi si basasse sulla fede, cioè sul fatto che per certe essenze non vi è bisogno di dimostrazione ed anzi questa troppo in alto non può arrivare e sarebbe anche inutile, sono sicuro che uno potrebbe attuare tutte le potenzialità che ha, e renderle realtà per atto di Fede. Mi piace fare questa eguaglianza Fede = realtà.
Il motivo della Fede come finitezza dell’intelletto, e suo completamento sovrannaturale, questo è bellissimo. Significa non solo che alla Fede che è certezza ascende la Speranza che è tendenza, e ascende perchè è spinta, ma allo stesso tempo la Fede ridiscende attraverso la volontà che è Carità. E allora come non si può dire che Fede non sia Verità e dunque realtà?

Una cosa come la Fede che non fa mettere in discussione nulla ma è perchè è, ed anche per questo può avere autorità su ogni cosa, perchè all’apice. Ed è anche Conoscenza, proprio perchè con la solo Ragione, finita, non si arriva a Conoscere completamente, ma con la Fede ascendendo attraverso la Speranza che fa aumentare fino all’infinito il grado di certezza del sovrannaturale e ridiscendendo alla Carità, allora ogni aspetto naturale e sovrannaturale è coperto. Ecco allora che se la Fede copre tutto, dalla Fede si deve autoritariamente dipendere, per forza di cose.
Solo con questa si può aderire alla volontà divina e alla Giustizia, e solo con la Fede questa giustizia è completa, si può andare non contro le Leggi, ma facendo proprie le Leggi.
La Legge deve essere superata? La Liberazione che è un superamento della Legge: in realtà ripensando in un ottica fideista la Liberazione è un far proprie le Leggi, talmente proprie e con un’aderenza così completa che sembra che si travalichino e invece si “usano” al 100%, vi si è dentro.
Perchè anche le Leggi sono sovrannaturali, e il passaggio dal fatto che la Legge sembri imposta fino a farla propria è importantissimo: qualcuno può vederci della grazia. Il fatto è che la Legge non è cancellata, è sempre lì, ma ora siamo noi, è il nostro essere che si è fatto Legge.

La Legge è sovrannaturale e quindi agisce sul quel piano, ma non solo: la legge agisce ovunque, quindi anche sul nostro piano, anche se noi da mortali la percepiamo in maniera distorta. Ma la Legge, che si chiami karma o come si vuole, è ordine dell’essere e non disordine: la Legge ci dice deontologicamente che fare anche sul piano pratico nel rispetto dei principi. È anche questo il significato di Legge per Platone.

Se poi la Fede tutto permea ed è la massima autorità, e agisce attraverso la Carità che è Amore, allora non ha senso parlare di creazione in senso materiale: è già tutto stabilito nei princìpi e l’uomo, o un’intelligenza quando crea, utilizza già ciò che c’è, sempre c’è stato e sempre ci sarà (una sorta di deposito nel nostro cuore?). Un po’ come si dice nel Timeo. Tramite l’utilizzo della volontà questo processo sembra di creazione “naturale”, invece, per usare le parole di Amerio è solo un processo per cui c’è un soggetto si sposta verso l’oggetto della volontà, ma è anche vero che lo stesso processo (ma inverso) può essere fatto con l’intelletto: si porta un oggetto all’interno del soggetto, proprio con questo Intelletto.

“Se raggiunto Dio c’è Speranza e veduto Dio c’è Fede, la Carità continua” dice Amerio: questo è significativo! Se con la Speranza si ascende verso la Fede e di tutti e tutto si fa dialetticamente Uno, poi come nella caverna non solo si continua in alto con la carità, ma la carità permette anche di ridiscendere.
Ma allora possiamo anche cambiare i termini, che in realtà anche se con un altro nome sono gli stessi? Se dall’Essere nasce l’Intellegire-Conoscenza e da questo l’Amore, e con l’Intelligere-Conoscenza si sale verso l’Essere, è con l’Amore che si sta nell’Essere e anche si ridiscende? Se dal Padre nasce il Figlio e da questo lo Spirito Santo, e con il Figlio si sale verso il Padre, è con lo Spirito Santo che si sta nel Padre e anche si ridiscende?

Che cos’è l’Amore, nel senso come si fa a perseguire la Carità? L’Amore non è di certo soggettivo, cioè non corrisponde alla massima utilità di un soggetto in dato momento storico e secondo le sue opinioni, ma è qualcosa di più e di più ampie vedute, ma che cosa? E’ facile dire che qualunque azione che si faccia con amore è buona, ma che significa?

Quando Amerio parla di pirronismo ed individua la crisi della Chiesa come un fenomeno che non è più isolato, Parla anche di “dislocazione della Monotriade”. In sostanza dice che è errore anteporre la dinamica della vita all’intellegibile: “quanto più la mente è incapace di apprendere e concepire il reale, tanto più sviluppa da sé stessa la propria operazione producendo pure escogitazioni”.
Come i sofisti di Platone e il linea con l’idea dell’uomo misura di tutte le cose.

Quando Agostino dice che bisogna cercare per trovare e trovare per cercare ancora significa che quello che si è cercato prima non è lo stesso di quello che si cerca dopo aver trovato una presunta verità. In realtà è proprio questa presunta verità che bisogna far crollare, dice Agostino: sin tanto che la mente si fossilizza sulle proprie e non vere convinzioni non si progredisce.

Anche il dialogo viene visto da Amerio in senso socratico: dialogo di confutazione e non “di ricerca”. Il fatto fondamentale è che è impossibile che tutti dialoghino e anche Socrate diceva che l’autorità promana da chi è esperto nel proprio campo.
Qui è palese: chi non conosce non può dialogare.
E’ interessante vedere che Amerio al dialogo contrappone e propone una più utile “via dell’ignoranza utile”: piuttosto che colmare le aporie dell’intelletto con false verità a cui si resta ancorati, e’ meglio restare ancorati alle verità fondamentali cui si crede per fede e perchè il dogma e l’autorità della chiesa ci dice essere vere.

Ancor prima del vizio del pirronismo (che riguarda il Conoscere) vi è il vizio del mobilismo, che riguarda l’Essere. Questo mobilismo è la mentalità che considera più importante il divenire rispetto all’essere, che è anche il primato dell’azione rispetto al fine.
Invece no: ben più importante è l’essere e il fine, e, se si vuole, il dinamismo inteso come perfezionamento.
En passant parla, Amerio parla di Verbo in questi termini, come “l’esistenza eterna in Dio delle forme delle cose create e creabili”.

Vorrei infine chiosare su una frase di Radaelli che parla dell’adaequatio: aristotelicamente, dice, è “l’intima adesione alla realtà e compiuta in pienezza dalla Natura divina presente in Cristo”, è “sacra obbedienza all’esserci del reale”.
Il reale che è dipendente e derivante dall’essere che gli è autoritativamente superiore.

Egli specifica che questo criterio dell’adequatio governa anche la Trinità, e dice che il Figlio-Intelletto-Logos raffigura la Mente del Padre da cui è generato, ed è natura sua.
Il Figlio è anche “lo Specchio, l’Imago del Padre”.
Il Figlio sarebbe speculare al Padre perché è la sua manifestazione nella realtà.

- parlando del divorzio parla anche del dolore: la religione non promette l’esenzione dal dolore mondano (e il divorzio non è una “scappatoia” per alleviare il dolore fra coniugi). Ogni male umano dipende originariamente da una colpa e non da un’ingiustizia divina; l’ingiustizia è solo umana, e né questa né il dolore inferto dalla natura pregiudicano la salvezza eterna e il fine sovramondano dell’uomo;
- allo stesso modo i sentimenti ed i giudizi “umani” non esistono: vi sono solo sentimenti giusti e ingiusti, e giudizi veri o falsi;

- per quanto riguarda il divorzio in sé, Amerio focalizza l’attenzione sul fatto che il matrimonio è un sacramento indissolubile, una donazione totale di persona a persona, e che fa sì che si realizzi anche una unione morale;

- la perfetta unione matrimoniale non è però congiunzione carnale, che anzi è momento di divisione, perchè l’amplesso fa sì che si perda coscienza di sé e dell’altro

- la procreazione è l’effetto naturale del matrimonio perchè l’uomo ama e la natura genera, e questo fine procreativo fa sì che ci sia un altro fine che è quello di mutuo perfezionamento. La generazione è dunque fine della natura e quello di mutuo perfezionamento fine della persona, che si consegue attraverso il primo. Una generazione che è rimedio (anche platonicamente) alla mortalità.
Nel Simposio si dice che l’Amore è in tutte le forme, anche se ha nomi diversi o le attività sono composite: ma in tutto c’è Amore.

Il capitolo sulla sodomia, sull’aborto, e sulla pena di morte sono i più controversi. Di certo ognuno si deve fare un’analisi di coscienza e decidere in merito.

Sull’aborto, dal canto mio, credo, come Amerio, che la vita dell’uomo sia innocente e inviolabile.
Amerio dice che non è questione se la razionalità si acquista o meno dopo la nascita, perchè il dogma dell’Immacolata concezione ci insegna che si è uomini sin dal concepimento. Per questo l’aborto è delittuoso ad ogni stadio.
Corollario è che la decisione dei genitori, e in particolare della madre, non deve prevalere egoisticamente su quella del nascituro. Infatti l’uomo è assiologicamente uguale: si hanno più o meno doni di natura o si è più o meno virtuosi, ma non si è più o meno uomini. L’uomo nato è causa del concepito, ma questo è sotto la legge della propria natura e non di altri uomini.
Si può dire dunque che è uomo anche se “non esercita le operazioni umane”; e l’aborto tronca non solo il diritto alla vita, ma anche il diritto alla sua vita soprannaturale.

- il suicidio è invece difetto di fortezza morale e ingiustizia, poiché ci si dà giustizia da sé, e questa non è vera giustizia;

- la pena di morte rientra per Amerio in un diritto alla difesa contro il diritto, una necessità che condiziona la legittimità della pena (che può essere diversa a seconda del momento storico).
Per Amerio, ciò non è in contrasto con quanto diceva sull’aborto, perchè si parlava di togliere la vita ad un uomo innocente.

Le domande che mi faccio sono però le seguenti: come si può avere un raddrizzamento della volontà alla legge morale con la pena di morte?
E siamo sicuri che le pene comminate dagli uomini riguardino i delitti che veramente sono considerati tali dalla legge di natura?
Certo anche Amerio pone le riserve di una pena barbara di una società sreligionata e senza riferimenti alla legge morale, ma anche se la società si riferisse sempre a tale legge, siamo sicuri che la pena sarebbe proporzionata al delitto?
Ed è valida la frase di S. Tommaso “la morta inflitta come pena per i delitti leva tutta la pena dovuta per i delitti nell’altra vita, o per lo meno parte della pena in proporzione della colpa, del patimento e della contrizione. La morte naturale invece non la leva”?

- la idea della necessità e presenza della guerra muta storicamente, ma mai si può condannare in quanto tale: ed essa è anche connaturata all’umana natura. Da condannare è la guerra totale, non quella per legittima difesa dichiarata da chi ne ha l’autorità, per riparare un diritto violato, se condotta con moderazione (ragion sufficiente). Essa può essere giusta solo se l’attaccante è ingiusto.
Il male fisico del prossimo non si deve mai volere, ed è lecito solo come mezzo per l’altrui bene morale.

Nella parte centrale del libro, Amerio parla sempre del fatto che dio deve essere misura, analizzando vari aspetti. Lo stesso fa analizzando l’antropocentrismo e la questione lavoro/contemplazione.

- l’antropocentrismo non ha ragione d’essere di fronte all’infinito;
- “le cose finite non sono create da Dio perchè amabili, ma amabili perchè volute da Dio”. Aggiungo una considerazione sull’Amore: l’Amore è in tutte le cose create perchè il creato stesso è atto d’amore. E non riconoscere questo è egoismo;
- l’ordine creato è autonomo e perfettibile ma mai indipendente. Lo stesso vale per i valori umani, che sono dipendenti alla Legge;
- il sacrificio di Cristo ha solo come secondo fine la salvezza dell’uomo. Il primo fine è soddisfare la giustizia divina per l’offesa fattale dall’uomo poi caduto. La liturgia cattolica ce lo dimostra: essa non è cristocentrica né tanto meno antropocentrica, ma sempre riferita al Padre.

- Il lavoro è fatica, ma non va glorificato: non serve a perfezionare la creazione, perchè l’uomo non crea ma utilizza forme esistenti. Nel Timeo si dice proprio che nei vari livelli di creazione si guarda sempre ai principi immutabili e da quelli si tragga. Nel mondo della manifestazione, ad un livello molto inferiore, vale lo stesso principio.
Il lavoro non è nemmeno autorealizzazione: l’uomo deve guardare piuttosto alla abnegazione, che è conformazione alla Legge.
Se si guarda alla trasformazione del creato tramite il lavoro, la vita contemplativa perde di significato.
La contemplazione, che è attività interna, è superiore, per
1) il fatto che si usa l’intelletto che è incorporeo e immortale
2) per il fatto che la contemplazione continua nell’eternità.

Si può dire che la regola benedettina sia una conciliazione fra vita contemplativa e le esigenze di attività esterne.

- Amerio oppone due civiltà: quella che intende perfezionare la natura dell’uomo e quella che vuole perfezionare la persona. E’ il principio personale quello che conta, però: se infatti si vuole perfezionare la natura dell’uomo, di questa (essendo molto complessa) se ne possono perfezionare delle parti; invece, perfezionare la persona significa andare ad agire su intelletto e volontà, sviluppando così direttamente il principio morale.
Parlando di questo, parla anche dei figli del secolo e figli della luce del Vangelo, e della città teotropica e antropica di Sant’Agostino. Per inciso, il santo riconosceva nella città antropica (cioè la civiltà dove si inneggiava l’uomo a sfavore di Dio) due diverse configurazioni: la civitas diabolis, fondata su un palese ateismo, e un’ancor (a mio giudizio) più pericolosa civitas homini, che non rigetta direttamente il fine celeste ma transla questo fine ad un fine mondano tutto umano.

- La religione ha senz’altro per effetto la civiltà, l’incivilimento, ma non è il suo scopo primario, essendo uno scopo terreno.
È chiaro che invece il senso che l’800, il razionalismo, l’illuminismo e la Rivoluzione francese abbiano voluto dare alla religione sia proprio questo: una faccia terrena alla religione in generale e al cristianesimo in particolare (“cristianesimo secondario” lo chiama Amerio).
L’esempio della Rivoluzione francese è palese: essa propone formule staccate ai suoi principi: non sono più un riferimento a Dio. L’uguaglianza è principio se si riferisce all’umana natura e alla possibilità di redenzione, non al solo uomo; la libertà riguarda la scelta dell’uomo di rifiutare tutto ciò che non ha a che fare con la divinità, e non un mero libero arbitrio; la fraternità è imperativo evangelico e non semplice fratellanza.

- Il criterio per giudicare la religione non è la sua utilità civile, ed anzi nel Vangelo non c’è una armonizzazione tra cielo e terra, ma una sua contrapposizione: la Chiesa è per santificare e non per incivilire
- Gli stessi Gesuiti, vitali e fondamentali nella storia della Chiesa, hanno avuto tendenze spesso marcate alla benevolenza per far la religione amica dell’uomo, piuttosto che contrapporre l’umana natura al mondo celeste.

- La democrazia vuole che si dia il diritto di comandare, governare e legiferare a tutti i membri della società. Il problema è antico come il mondo, ed oggi democrazia è venuta ad assumere il significato (essendo impossibile far governare tutti) di rappresentatività. Ma anche Platone diceva: al governo i sapienti, che sono competenti, come lo è l’addestratore di cavalli di cose cavalline.
Infatti maggior partecipazione non significa maggior sapienza, ed anzi è principio di divisione (si veda il sistema partitico, ad esempio); poi, per impossibilità dell’unanimità, democrazia significa volontà della maggior parte, ma certamente non di tutti.

- Altro problema: si deve operare secondo la volontà del popolo o per il bene del popolo? Fare il bene del popolo può voler significare non fare la sua volontà, anzi...

- Che nella Chiesa abbia operato da sempre un potente influsso delle masse e del popolo non si può negare, ma mai è stato intaccato il suo principio gerarchico. Invece con il Vaticano II, si è voluta introdurre anche in essa una democratizzazione: soprattutto con la creazione di organi rappresentativi che sono stati principio di divisione e di messa in discussione dell’autorità papale, “organi del dissenso”.
La cosa importante da dire è che questi organi stravolgono la struttura della Chiesa: la Chiesa è creata dal Cristo indipendente e posta sovraordinata, dato il suo principio soprannaturale, rispetto ai suoi fedeli. Quando invece i fedeli vogliono entrare in questa struttura portando principi come quello della rappresentanza popolare al suo interno, o il dissenso rispetto all’autorità, ne stravolgono l’originario disegno.
È una questione anche di responsabilità: questa deve essere sempre personale (cioè legata alla persona, che compone la Chiesa) e riconoscibile, non ci deve essere una responsabilità diffusa, cioè distribuita all’interno di un organo terreno creato ad hoc, che annulla il senso di responsabilità e fa sì che la chiesa diventi un corpo policentrico.

- L’importanza della filosofia nella religione cattolica è un principio: la religione è una rivelazione di verità, e ab initio c’è il Verbo, il logos, la mente.
Questa filosofia non può prescindere dalla tomistica. Si deve sempre considerare che “la filosofia è un organismo logico sviluppatesi da un principio”, un principio soprannaturale, divino.

- Il pluralismo non deve essere inteso come mobilismo e pirronismo.
La ricerca verso l’oggetto da Conoscere viene fatta per forza da una forma soggettiva (intelletto di un uomo, che è di per sé soggetto), ma la forma soggettiva non deve alterare ciò che si sta per conoscere o il già conosciuto, altrimenti si forma una mera opinione e non si è nel campo del vero/della scienza.
Se il pluralismo è inteso in questo senso, allora è inerente alla ricerca delle verità, e questo perchè il soggetto che vuole conoscere è finito e limitato e quindi non può cogliere tutte le implicazioni che una Verità sottintende.

- Amerio propone il seguente sillogismo per Le Verità che diventano certezze:
il Verbo vocale si adegua al Verbo Mentale > il Verbo mentale si adegua all’essere della cosa pensata.
Quindi l’intellegibile comunica dapprima con l’intelletto e questo con la parola.
Per questo la formula dogmatica non è una “traduzione in parole dell’esperienza”, perchè si partirebbe dal fatto che il principio è l’esperienza, ma invece i dogmi sono espressioni dei misteri di fede in termini veri e invariabili.
Sono enunciati di verità ricevute.
Pertanto il dogma della Chiesa è parola rivelata di una mente che ha conosciuto la Verità.

- Per quanto riguarda l’ecumenismo, Amerio fa dei discorsi ben precisi.
C’è un punto nel quale Amerio difetta, per via del suo essere un teorico specificamente cattolico: egli riconduce tutto alla religione cattolica. Sarebbe interesserebbe capire invece le sue posizioni (e fare un confronto) tra il cattolicesimo e l’ortodossia, e il cattolicesimo e le altre religioni, perchè non si può liquidare il tutto dicendo che il cattolicesimo è l’unico sistema che permetta di trovare il soprannaturale.
Detto questo, che sia un sistema valido e completo, che la Chiesa cattolica abbia un valore autosufficiente, Amerio lo fa capire bene:
1) la Chiesa cattolica possiede la pienezza del Cristo e non deve perfezionarla ad opere delle altre confessioni;
2) l’unione cattolica non deve avvenire per assimilazione delle altre confessioni o per accomodamento del dogma;
3) l’unica vera unione si può fare con il ritorno dei fratelli separati alla Chiesa di Dio. Anche qui, non è da mettere in dubbio il “ritorno” che è necessario, ma l’uguaglianza Chiesa di Dio = Chiesa cattolica
4) i fratelli separati che si ricongiungono alla Chiesa cattolica non perdono nulla di sostanziale di quanto appartiene alla loro professione, ma lo ritrovano identico in una dimensione completa e perfetta.

nel sistema cattolico la predestinazione è l’apice della teodicea”. In larga approssimazione, questa predestinazione si potrebbe assimilare al karma indù, tanto per fare un confronto.

- il battesimo è segno di salute eterna perchè provvede alla rigenerazione mediante incorporazione al Cristo. Non è necessario che ci sia coscienza o consapevolezza, ma l’effetto si produce a prescindere. La grazia battesimale è infatti indipendente dal soggetto/individuo.
In ogni caso, anche l’elemento soggettivo è presente, ed è dato da un’adesione soggettiva alla Chiesa, che nel caso degli infanti è data dalla famiglia i cui membri a sua volta sono unificati nella Chiesa dallo Spirito Santo.
Parlando del battesimo, Amerio parla anche dei sacramenti abramitici, materiali ed inefficaci, e di quelli del Nuovo Patto che sono invece spirituali ed efficaci.

- La liturgia è l’azione sacerdotale del Cristo e del suo corpo mistico (la Chiesa), da cui risulta il culto a Dio Padre. Questo significa che è il sacramento del sacerdozio che attua l’eucarestia in persona Christi a compiere l’atto sacro. La presenza o meno dei fedeli non inficia l’azione sacra, come anche non c’è azione sacra senza sacerdote.
“Si porge all’uomo il divino e non si stimola il senso del divino all’uomo”, dice giustamente Amerio. La sostanza è sempre quella: al centro vi è Dio, non l’uomo. Da qui anche il discorso che facevamo l’altra volta: il sacerdote deve fare il sacerdote e non il teatrino, esso “deve perdersi nell’oggettività” (Max Picard). Gesti e parole non vanno creati al di fuori della liturgia.

- In merito alla Bibbia, Amerio scrive che la Chiesa cattolica possiede le Sacre Scritture (e a differenza di quella ebraica) il senso di tali Sacri Scritture.
Qui attenzione! Un conto è dire che nella Bibbia ci sono delle parti da divulgare attraverso il sacerdote e altri parti da tener riservate, un altro conto è accaparrarsi un senso.
Il vero significato delle Scritture non può essere aperto a tutti, le persone non possono dargli una “libera interpretazione” perché non ne conoscono il significato
Però da qui a dire che la Chiesa cattolica sia la depositaria dell’unica interpretazione valida, come fa Amerio, ce ne corre.

- Luoghi della Messa: altare massiccio e in alto a simboleggiare il sacrificio, stabilità ed eternità di Dio (da adorare e gerarchicamente superiore); il Tabernacolo centrale e sopra l’altare. Il sacerdote nel dire la Messa deve dare le spalle al popolo ed così essere rivolto a Dio.
Lo spazio sacro, come sappiamo, coinvolge una dimensione metafisica.

- Il rapporto con la Chiesa tra soprannaturale e mondo sensibile rientra nella dottrina della causalità divina, secondo cui ogni azione sia simultaneamente azione della causa creata e della causa increata.
Il principio della creazione in questo senso è principio primo del Cristianesimo perchè tutto l’essere del mondo è effetto della causalità di Dio. Gli atti dell’uomo sono causa dei loro effetti ma l’influsso su quegli atti è dato dall’agente universale.
Poiché la causa divina dà a tutti gli enti sia l’essere che l’operare, si può pregare sia per i beni morali sia per quelli materiali, ma i primi non devono mai essere subordinati ai secondi.

- Perchè il male si riversa non solo sul non innocente ma anche sull’innocente? Il finito intelletto umano non può conoscere l’infinito intelletto divino, ma anche l’Uomo Dio Cristo era innocente e tuttavia sofferente. Ora Cristo prende su di sé il peso delle grandi sofferenze che i peccati dell’uomo avrebbero loro dati.
L’effetto, cioè il male di natura, la sofferenza non è personale e temporalmente definito, cioè ogni male morale personale e soggettivo non corrisponde una specifica e susseguente sofferenza personale e soggettiva: il piano è diverso sia dal punto soggettivo che temporale. Qui vi rientra perciò anche la sofferenza degli innocenti, o degli infanti.
Escatologicamente, la giustizia divina non ha tempo; solo se il giusto fosse in eterno sofferente la Provvidenza sarebbe manchevole.

- La morte è il supremo atto dell’uomo e momento decretorio dove si opera la giustizia divina. Per questo la vita è il momento di preparazione alla morte (questo per me è molto importante). E’ un atto non sperimentabile, ma predisponibile nel pensiero. La morte non è il sommo male per l’uomo, perchè sommo male e bene per lui stanno altrove. Lo può essere per l’animale che non ha il principio materiale e immortale dell’intelletto.
Ora, per l’uomo il giudizio divino significa anche speranza in una giustizia perfetta: la speranza, a differenza della fede, contiene incertezza. Incertezza sul fatto di come la giustizia divina si accordi con la misericordia divina e incertezza sulle sorti soggettive personali: e anzi Amerio dice che questa incertezza dello stato morale dell’uomo è verità di fede.
Consultare la propria coscienza non significa affatto conoscere il proprio stato morale, tutt’altro; ciò che conta è la profondità dell’anima, e la radice delle cose.

- Dunque, la morte intesa come giudizio porta con sé almeno l’idea di eletti, perchè non a tutti è concessa la salvezza eterna, e i tre novissimi: inferno, purgatorio (purificazione, cui segue la seconda morte) e il paradiso.

- Alla morte così intesa, sul piano fisico è da intendersi anche il prendersi cura dei corpi, che almeno richiama al ricordo e alla preghiera i parenti dei defunti. Se nella religione tutto è segno, dice Amerio, la cremazione è un antisegno perchè ci fa dimenticare l’oggetto di pura fede assoluto: quello della resurrezione dei corpi, tipico ed esclusivo della religione cristiana.

- Nel Giudizio, insieme all’eternità della beatitudine va di pari passo l’eternità della pena: l’Inferno è opera di amore e fa parte del disegno divino, che, preso nel suo insieme è un “composto ottimo”. “La finitudine e l’intreccio delle cose fa che nella relazione con le altre una cosa possa riuscire buona o mala”, dice Amerio, insistendo sul fatto che il male è una relazione ed è conseguenza della finitezza delle cose.
In Dio, che è infinito, non c’è male.
Soffrire le pene dell’inferno non esclude la misericordia divina, poiché anche il dannato fa parte dell’ordine dell’universo e ha un suo ruolo (come le ombre in pittura).
E la pena, comminata dalla giustizia divina, ristabilisce l’ordine. L’eternità della dannazione è pertanto assiologicamente uguale all’eternità della beatitudine, ed entrambe prevedono l’infinità dell’ossequio e della perfezione della vita morale.
Il valore fisiologico è anche quello dell’atto, cioè un peccato grave è vero che è finito, ma il fatto che sia grave presuppone una pena che in termini divini diventa infinita: infatti il peccato è finito nel tempo nel mondo materiale, ma la sua portata peccatoria non si può cancellare ed è ultraterrena.
In tal caso si può parlare anche di decremento infinito nella pena dell’inferno, cioè una pena che anche se diminuisce d’intensità mai scompare, e di incremento infinito nella beatitudine in paradiso.
Questo perchè l’obiettivo di Dio è il progresso dell’essere nell’Universo, e quindi l’ordine divino perfeziona e promuove l’essere.

- Lo spirito soggettivo può esercitarsi sulle verità di fede, nel senso che può farle proprie e scoprirle in una maniera profonda. E’ questo il senso, dice Amerio, che dell’ascetica e della mistica cristiana
Ciò significa anche che l’essenza di un’idea si amplifica dentro se stessa: l’essenza è intoccabile, quello che muta sono le forme in cui questa idea si esprime. Per questo Amerio dice anche che non c’è sviluppo senza conservazione: la “crescita” viene effettuata dal seme e nel seme.
- Per la Chiesa cattolica Amerio afferma quello che Ratzinger ha detto per i cortili dei gentili: la Chiesa cattolica ha la sua specificità ed una sua propria validità, e non si può cum-fondere che tutte le altre vere, verosimili o presunte Chiese. Io vorrei ampliare il discorso, dicendo che a prescindere questa con-fusione non va fatta, ma vanno distinte le fedi in base alla loro essenza e attaccamento alla Verità.

- I valori laici sono nati e tipici dell’evo moderno: anche questo è interessante, prima della rivoluzione francese e dell’illuminismo e razionalismo non mi pare che si parlasse di laicismo.

- Tanto più le cose cessano di essere nel mondo reale, tanto più passano in quello verbale: il fenomeno, la parola, l’apparire dell’ente prende il posto soggettivamente di quello che l’ente deve essere nell’intellegibile. Mi sembra che spieghi bene anche il significato del silenzio.

- Lo stato del mondo è un composto di memoria e di oblio, e l’oblio è quanto mai necessario: esso serve a far sì che la memoria si concentri, se ben educato, al ricordo delle sostanze e permette invece la dimenticanza delle forme. Per questo dice Amerio che è il “costitutivo della storia”.

- credo che l’unum di cui Amerio parla esclusivamente per la Chiesa cattolica, possa essere valido invece per la Tradizione: essa ora è nell’oblio, moltiplicata e sfaccettata, dispersa, dimenticata e incompresa, mentre ab origine era unum. Solo con un processo dialettico potrà tornare, al momento del Giudizio divino, ad essere unum

Insomma, in tutto il discorso, Amerio dice che l’essenza è inalterabile, “il Verbo divino entra nella storia”, sembra subirne i cangiamenti, ma in realtà nulla intacca la sua divinità, nemmeno l’oblio, che appunto presuppone una reminescenza, e quindi non è annullamento.
“Non sono da leggere i segni di tempi, ma i segni dell’eterna volontà”.

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...