Il testo di Capra cerca di mettere a sistema fisica e misticismo, riconoscendo alla prima un valore razionale, specialistico, contigente e materialistico (in senso di “strumento” necessario all’esistenza terrena), mentre al secondo un valore intuitivo, universale e spirituale.
A suo modo, Capra li mette sullo stesso piano.
Il fisico, allo stesso modo del mistico, non deve però dimenticarsi che se vuol portare la fisica su un piano spirituale, non può andare sempre più a fondo nella ricerca del “mattone” della materia e specializzarsi sullo studio di questo presunto mattone: deve piuttosto elevarsi e astrarsi dallo studio specialistico e settoriale per arrivare ad avere, da osservatore qual è, una visione onnicomprensiva che consideri l’Universo come un Tutto e manifestazione di un principio immobile ed immutabile, che non è un Dio punitore e direttore dall’alto ma che è interno ad ogni cosa.
Grande pecca e danno è invece il procedimento induttivo che parte dall’osservazione esclusiva della realtà: da sola questa forma, incompleta, non sarà mai sufficiente. D’altronde è l’intuizione che fa gridare eureka agli scienziati per una nuova scoperta, e non solo studiare razionalmente quanto precedentemente da altri scritto.
Nelle prime pagine Capra parla di sviluppo intellettuale delle prime filosofie mistiche greche e loro progressivo allontanamento dalle concezioni orientali, per poi, negli ultimi decenni e anche grazie alla fisica moderna, di un progressivo riavvicinamento che coniuga l’intuizione mistica con lo sperimentalismo scientifico.
Capra è un fisico, ma da un altro punto di vista questo riavvicinamento può essere snaturato dalla specializzazione e dalla perdita del punto di vista fondamentale: lo studio della manifestazione non sarà mai completo fin quando sarà fatto non tenendo conto della manifestazione in quanto semplice forma, e non tenendo conto che i modelli matematici, le teorie, e gli esperimenti sono per forza di cose (anche perché umanamente condotti) sempre approssimativi.
Gli atomisti greci, quando parlano di essere indivisibile e di costante mutare della manifestazione si rivolgono allo spirituale, e non parlano in modo meccanicistico come Cartesio o Newton.
L’uomo non è la mente cartesiana ma è molto di più e la concezione di individuo deve essere abbattuta per far sì che il vero essere riscopra la propria natura e la propria appartenenza al tutto.
“Quando la mente è turbata, si produce il molteplice, ma il molteplice scompare quando la mente si acquieta”.
Nella meditazione profonda, la mente è totalmente vigile.
Sembra che nella fisica la natura duale della manifestazione si ripercuota nelle cosiddette interferenze della luce o delle onde elettromagnetiche, che conducono al fatto che la somma di due onde provenienti da diverse sorgenti non sia uguale, ma sempre maggiore o minore alle due intensità separate. Questo può essere dimostrato scientificamente, ma per percepire il principio che sta dietro alle cose bisogna afferrare tutto l’essere e non solo la manifestazione: solo capendo che il fenomeno indagato è solo una conseguenza di una causa di altra natura, si può tentare di andare oltre la fisica e il linguaggio ordinario.
Caduta la concezione newtoniana classica di uno spazio tridimensionale immobile e di un tempo assoluto lineare, dove intergisce una forza di gravitazione di debole entità rispetto alle forze atomiche o subatomiche (mai spiegata sino in fondo neppure oggi, perché la teoria della relatività generale non è dimostrata) e attrattiva delle particelle in quello stesso spazio tridimensionale in base ad un movimento meccanico, si è in parte sfaldata (ma in misura ancora non sufficiente) la concezione dell’individualità della materia (e filosoficamente anche dell’uomo), come entità separata.
Qui è sempre il discorso dell’uomo misura di tutte le cose o no: egli stesso come individuo, non può essere considerato “materia” a parte, e fine a se stesso, ma le interconnessioni con gli altri esseri, sono dinamici, fatti di energia, vibrazione, e facenti parte di un Tutto unico.
Anche il passaggio sa un’unica forza a un campo di forze è indicativo: non si studia più la materia, in sé, che fa massa, ma ciò che “crea” la materia. Il punto è che questa ricerca del principio primo sia ottima, lo sbaglio è pensare che esso sia confinato proprio nella stessa fisicità.
Einstein, che compie una ricerca di “armonia universale” a suo modo, esautora la concezione di vuoto: il vuoto non esiste, il non-essere non esiste, ma tutto è interconnesso in una dimensione dove spazio e tempo sono relativi rispetto a quello che è l’osservatore. Più la vibrazione e l’energia è alta (mi sembra questo il concetto di “velocità), più la concezione del tempo sarà diversa e interconnessa a quella stessa velocità.
Dio, che è infinito, avrà anche un’energia infinita, tanto che per Lui il tempo non esiste, ma è in grado di “conoscere” nel medesimo istante passato, presente e futuro.
Mi viene da pensare che alla base del libero arbitrio umano vi sia proprio questo: sebbene l’infinito già conosca quale è il nostro futuro, e come agiremo per quello che noi è il futuro, la scelta ultima rimane a noi. Sembra una visione di predestinazione, ma al contrario sono le nostre azioni che in questo tempo dobbiamo ancora compiere, ma che al tempo di Dio abbiamo già compiuto, che mostreranno nel nostro futuro, le loro conseguenze (conseguenze che, al tempo di Dio, sono già compiute).
Se la massa è una forma di energia, allora essa non è altro che un tipo di energia cristalizzata per questo mondo, ma che è molto più “volatile” in un tempo e uno spazio diversi.
A livello subatomico la materia non si trova ma ha una tendenza a trovarsi e gli eventi non accadono ma hanno una tendenza ad accadere: solo questo fa capire che lo stato della materia in sé, e ancora prima dell’energia è potenziale, e si “muove” solo a seguito di una causa scatenante, diversa ogni volta perché le interconnessioni fra particelle sono infinite, che produrrà una conseguenza.
E la guerra degli opposti, della natura duale della fisicità si ritrova anche nella fisica atomica, laddove l’atomo è caratterizzato da ue forze in guerra: quella attrattiva elettrica dell’elettrone, e quella repulsiva e motoria data dalla vicinanza dello stesso elettrone al nucleo.
Trovano così un equilibrio.
La probabilità di un’onda elettrica di avvinarsi al nucleo porta ad uno stato di eccitamento, ma la radazione fotonica emessa riporterà lo stato alla normalità.
Il fatto poi che tutta la massa sta nel nucleo atomico, fa riflettere sul fatto che noi altro non siamo che massa/materia espansa: se riusciamo a far vibrare l’energia all’interno del “nostro” nucleo, allora l’energia che si creeà sarà di molto superiore a quella originaria ( un po’ come i procesi atomici che avvengono nel sole, che forniscono energia alla terra).
La particella-energia collega i due processi A e B, o la causa con l’effetto, o la potenzialità con la forma-materia-massa, allora quella particella è il nostro intermedio, che crea il Tantra (intreccio) fra le cose. Questa energia è dappertutto e non può essere eliminata.
Quando Capra dice che l’universo oscilla in movimenti ritmici, sta parlando di dinamismo, ma non di disordine. All’opposto, come si dice anche nel Timeo, l’ordine c’è eccome. Alla base delle particelle stesse vi è stabilità (protone, elettrone, fotone, neutrino). Non solo: prendendo ad esempi il neutrino, che non ha né massa, né carica elettrica, si potrebbe pensare che esso sia accomunabile al vuoto, al nulla; eppure, esso è stabile ed ha anche una antiparticella.
E stranamente fra tutte le interazioni, forti, elettromagnetiche, deboli, e gravitazionale, quelle più misteriose, sono quelle apparentemente più deboli: la gravitazionale (ipotesi del gravitone, che pare dia – secondo Enstein – la curvatura dello spazio trimensionale) e la debole (ipotesi del mesone W).
C’è una frase del testo che se letta esotericamente, lasciando da parte la fisica, spiega la legge di causa e conseguenza, quella danza cosmica ritmica di cui parla Capra: un singolo protone che piomba nell’atmosfera terrestre può dar luogo ad un’intera cascata di eventi durante i quali la sua energia cinetica iniziale si trasforma in uno sciame di varie particelle, ed è gradualmente assorbita a mano a mano che quelle penetrano nell’aria subendo urti molteplici.
Insomma, la farfalla che sbatte le ali in Asia provoca un uragano a New York.
In questa “danza di creazione e distruzione”, come la chiama Capra, delle particelle possono continuare ad essere le stesse senza essere le stesse: infatti i processi di creazione e distruzione nelle particelle sono continui, poiché ad esempio un protone può emettere energia con la creazione di un antiprotone, che viene riassorbito dal protone stesso.
In tutti i processi ciò che si conserva non è la massa, ma l’energia.
La danza di Siva, questo ritmo ordinato universale, coniugato alla teoria della relatività fa sì che si trascenda il tempo in quanto tale: ma se si trascende il tempo in quanto tale, la spazialità come materiale ed individuale, si rompe con la linearità e la causalità, e allora si trascende anche la legge karmica causa-effetto.
La dinamicità dell’universo dà la molteplicità delle manifestazioni, che è anche mutamento, rta (corso di tutte le cose, ordine della natura).
Le forme statiche sono solo maya, illusorie.
Alzando questo velo c’è molteplicità, dinamicità, ritmo, vibrazione.
“La quiete in quiete non è vera quiete. Soltanto quando c’è quiete in movimento può apparire il ritmo spirituale che pervade cielo e terra”.
“La vita non è una cosa, né lo stato di una cosa, ma un continuo mutamento”, con una coerenza reciproca, aggiungo io, un principio di organizzazione, un ordine (concezione del “li” taoista, “legge naturale ed inevitabile delle situazioni e delle cose” in quanto parti del Tutto).
“Ogni particella è composta da tutte le altre particelle”.
Ma “la presenza di materia è solo una perturbazione dello stato perfetto del campo in quel punto; si potrebbe quasi dire che è qualcosa di accidentale, soltanto un difetto”.
Il vero vuoto è la forma.
“Ciò che osserviamo noi non è la natura in sé stessa, ma la natura sottoposta ai nostri metodi d’indagine”.
Se però noi osserviamo indagando, già facendo questo siamo partecipativi, e modifichiamo con la nostra energia ciò che stiamo osservando. L’essere umano, fintanto che pensa e che agisce, è attivo, sempre costantemente in potenza adatto a modificare qualcosa.
E se questi opposti sono interdipendenti non bisogna sconfiggerne uno, ma semplicemente provare un equilibrio fra i due (polarità).
Allo stesso modo della faccia nascosta del Giano bifronte o del dio di Elephanta, è l’equilibrio della terza faccia che conta; allo stesso modo se prevale l’aspetto maschile, ecco che prevale il la mentalità razionale e scientifica.
Nel mondo fisico, comunque materiale, Capra chiamerebbe tutto ciò legge di conservazione dovuto alla simmetria della materia, che permette il mantenimento, la conservazione delle interazioni (che formerebbe la struttura dei quark).
1) Nei punti in cui l’ampiezza di un’onda è più grande in base alla sua quantità di moto, sarà più probabile trovarla;
2) una lunghezza d’onda corta fa sì che la particella aumenti la sua quantità di moto, e quindi sia più “veloce”.
Queste due condizioni fanno sì che ci sia la grande contraddizione della fisica quantistica (principio di indeterminazione di Heisenberg). Significa però che queste due condizioni rispettano sia il principio ermetico della polarità (data l’opposizione complemetare), sia quello della vibrazione (laddove la particella aumenti la sua energia se confinata in spazi piccoli).
Ci sono poi casi in cui la probabilità di reazione di due particelle aumenta improvvisamente: le risonanze.
Capra fa notare come al Buddismo, a differenza dell’induismo, non interessi una concezione del divino, ma come anzi esso parta dall’analisi della condizione umana, la cui sofferenza è data dall’attaccamento alle composte, mutevoli, e deperibili cose del mondo manifesto.
Di fatto, per far sì che l’uomo non rimanga attaccato e dipendente alle cose della manifestazione ed “uscire” da samsara, deve sostuire questo attaccamento con una liberazione veso l’alto, di cui il buddismo non parla apertamente, ma che per forza di cose si deve rifare all’invisibile che sempre è, e che è sacro.
Per quanto riguarda i cinesi, la figura del saggio e del re, il taosimo e il confucianesimo, hanno sempre influito complementariamente in loro.
Capra parla della “dottrina aurea della mediocrità”: la dottrina della ciclicità temporale fa sì che loro vedano negativamente la spinta di una cosa verso le estreme conseguenze, perché poi sanno che vi sarà un ritorno indietro.
“Secondo la concezione cinese è meglio lasciare un’opera incompiuta che compierla in eccesso, perché, se è vero che in questo modo non si va molto lontano, si è però sicuri di andare nella direzione giusta..
Quando lo yang ha raggiunto il suo massimo, si ritrae in favore dello yin e viceversa.
Lo zen è invece il frutto dell’influenza delle culture indiana (buddista), cinese (soprattutto Ch’an) e giapponese. L’illuminazione qui è la satori, che si raggiunge con la partecipazione attiva alle attività quotidiane.
“Quando ho fame mangio, quando sono stanco dormo”; dietro la banalità di questa affermazione c’ètutta una verità di adattamento al flusso naturale delle cose, senza forzatue, e un riappropriamento degli spazi e dei tempi naturali.
“Sedendo quietamente senza far nulla, viene la primavera e l’erba cresce da sé”.
Riferimenti taoisti sono i seguenti:
1) Ogni volta che si vuole ottenere una cosa, bisogna iniziare dal suo opposto;
2) Se si vuole prendere possesso, bisogna offrire
3) Ogni volta che si vuol tenere una cosa, bisogna accettare che in essa ci sia qualche cosa del suo opposto;
4) non bisogna lottare per il buono, ma mantenere un equilibrio dinamico tra buono e cattivo;
5) non forzare le cose: non agendo, non esiste niente che non si faccia.
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