Frammenti di un insegnamento sconosciuto: Ouspenski su Gurdjieff
Gurjieff afferma che in India
vi sono scuole filosofiche che conducono alla Conoscenza, in Egitto in passato è
stata conservata la teoria, e in Persia la pratica. Che i suoi capisaldi
fossero stati la tecnica dello stop e la danza è noto, e basa il primo sulla
conoscenza di se stessi a partire da quella fisica (e soprattutto sul
rilassamento muscolare) e la seconda su movimenti del corpo ben precisi tesi a
far scattare la scintilla per la scoperta delle leggi della natura.
Egli insiste anche sull’importanza del lavoro di
gruppo che, se rettamente guidato, può fare molto grazie a coloro
che sono usciti dalla prigione.
Gurdjieff parte dal presupposto che un uomo
ha in se molti uomini, e dal fatto che egli è un dormiente, una
macchina incapace di pensare nel vero senso della parola, utilizzando il suo
vero essere. Per smettere di essere una macchina è necessario conoscere la
macchina, che fino a quando non si conosce si è incapaci di fare qualsiasi
cosa. Per fare bisogna essere, altrimenti tutto accade senza che possiamo fare
nulla.
Su grande scala, tutto ciò che avviene è
regolato da leggi cosmiche generali e influenze, è così, dice Gurdjieff, anche
per le guerre. In questo c’entrano anche le influenze planetarie, e la luna
gioca un ruolo importante. La luna è un pianeta allo stato nascente.
Commenti (in semplicità) al Trattato sulla reintegrazione degli Esseri di Martinez de Pasqually
Del Trattato
sulla reintegrazione degli Esseri di Martinez de Pasqually (una bella analisi è
quella di Le Forestier) esistono
7 manoscritti di cui il più conosciuto è il Matter, tradotto anche in
italiano. Il settimo è quello di Saint Martin.
Lo stesso Martinez, a dìfferenza di quello che
comunemente si dice, proclama la superiorità della via cardiaca rispetto alla
via operativa; via cardiaca scelta da Saint Martin, ma anche consigliata a
Willermoz.
Il punto da cui parte Martinez è quello di considerare il Desiderio
come ricezione attrazione a se delle influenze astrali (de-siderare).
Egli reinterpreta in chiave esoterica Genesi
ed Esodo,
che vanno sempre intese nelle tre forme: letterale (superficiale), allegorica
ed esoterica.
Siccome la Trinità non può essere raffigurata da
alcuna forma sensibile, il triangolo rappresenta solo le tre essenze che
cooperano nella forma materiale terrestre, cioè Mercurio, Zolfo e Sale.
Tutta la Creazione deriva dall'immaginazione di Dio.
I primi essere emanati da Dio avevano piena autonomia e
libero arbitrio.
A seguito del loro peccato d'orgoglio poichè
tentati dalla loro stessa potenza, pensarono di emanare esseri a loro
volta, ma senza il consenso divino.
Il Creatore non può leggere nelle cause seconde, se
non attraverso il pensiero dell'essere spirituale buono o cattivo, o
dell'aziona buona o cattiva. Esso non può ignorare l'essere pensante demoniaco
che tenta i minori spirituali e perciò ha scelto degli Eletti che
facciano seguire all'uomo le sue leggi.
Dio punisce gli spiriti prevaricatori facendoli cadere nel
mondo fisico della materia apparente, soggetta al tempo.
Adamo (Adam Kadmon), il primo uomo, assume il dominio
sugli spiriti buoni e cattivi e sull'universo con le sue creature.
Egli, in quanto puro spirito, leggeva i pensieri e le
operazioni divine.
Anche Adamo crea un essere spirituale senza il consenso
divino, e crea Eva, essere spirituale racchiuso in un corpo di materia.
Adamo si pente della sua prevaricazione e la bontà divina
accorda lui la possibilità di Riconciliazione.
Adamo ed Eva sono esiliati sulla terra, ma abbandonati ai
sensi fisici (dando vita alla discendenza di Caino) ritardano la
loro Riconciliazione.
L'altra discendenza, senza abbandono ai sensi fisici, è
quella di Abele.
Caino uccide Abele, ma viene a sua volta ucciso per errore
dal figlio Booz.
Enoc tenta con i suoi discepoli la Riconciliazione col
divino, ma uno di questi tradisce e ciò significa la caduta dell'intero genere
umano verso i piaceri della materia.
Il diluvio universale fu mandato da Dio non solo per punire
l'umanità che aveva abbandonato il culto per il divino, ma anche per sottrarla
all'influenza degli spiriti perversi che l'avevano sottomessa.
Dopo il diluvio i figli di Noè erano destinati ad operare
un culto misto spirituale e materiale, perchè anche se non avevano
commesso crimini, vivevano comunque del ricordo dei crimini commessi dai loro
contemporanei prima del diluvio.
La seconda posterità di Noè poteva invece operare solo
spiritualmente.
Il calcolo lunare è il primo che il Creatore ha dato
all'uomo, ed è quello che più innalza l'uomo alla conoscenza della natura
universale.
Quello solare è stato successivamente adottato dai
cristiani, e si tratta della suddivisione dell'anno in due solstizi e due
equinozi.
I 10 culti di cui parla Martinez erano i 10 utilizzati da
Mosè in Israele e da Salomone nel Tempio.
Abramo che toglie il figlio dal rogo rappresenta lo
spirito che il creatore invia in aiuto degli uomini che pagano il tributo
alla sua giustizia.
Isacco rappresenta il tipo di Cristo inviato
da Dio sulla terra per realizzarvi il vero sacrificio.
I tre tipi di Abramo, Isacco e Giacobbe rappresentano il
fatto che Dio era in 3 persone e ha operato tre azioni divine e distinte le une
dalle altre in favore dei tre minori spirituali che a loro volta dovevano
formare 3 tipi distinti nell'universo.
Esse non sono la divinità, che è indivisibile, ma
rappresentano appunto le 3 azioni divine.
Se Noè riconcilia i mortali con il Creatore, Mosè
riconcilia la posterità di Abramo, Isacco e Giacobbe.
Mosè rappresenta la triplice essenza divina nella sua
creazione universale, generale e particolare, poichè: la sua nascita
rappresenta l'azione del Creatore, la sua operazione di riconciliazione
rappresenta l'operazione di riconciliazione del Figlio, la condotta del popolo
di Mosè rappresenta lo Spirito divino che conduce.
Nell'operazione di riconciliazione si offre corpo e anima a
Dio.
L'anima come legame fra corpo e spirito nella notte si
ritira; la stessa cosa capita durante la contemplazione quando è abbastanza
forte a far impressionare vivamente l'anima. Essa è staccata dal corpo solo in
azione spirituale e non in natura.
Il culto del Creatore e il suo cerimoniale sono sempre
restati fra gli uomini della terra, ma la debolezza e l'iniquità degli
uomini gli ha fatto dimenticare quelle divine conoscenze.
“Ugualmente, senza la reazione demoniaca, nulla avrebbe
vita spirituale fuori dalla circonferenza divina”.
Lo spirito settenario per Pasqually assolve alla
funzione di essere la guida dell'essere umano durante e dopo l'incorporazione
fisica.
Le dodici tribù d'Israele sono la rappresentazione di un corpo
unico in intimo legame, e la loro separazione l'una dall'altra rappresenta la
caduta nell'ignoranza.
Trattato sulla reintegrazione degli esseri. Le concezioni teurgico-massoniche dell'Ordine dei cavalieri eletti Cohen dell'universo
Trattato sulla reintegrazione degli esseri. Le concezioni teurgico-massoniche dell'Ordine dei cavalieri eletti Cohen dell'universo
L'Eneide e Virgilio: storia e percorso artistico
Il testo completo dell'Eneide lo trovate qua.
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L'Eneide (29-19 a.C.), poema epico di 12 libri, narra le peregrinazioni di Enea e gli scontri da lui sostenuti contro i latini per dare vita a un nuovo popolo, che avrebbe in seguito fondato Roma. L'opera fu composta nell'ultimo decennio di vita di Virgilio e rimase incompiuta perché la morte del poeta troncò il lavoro di rielaborazione e rifinitura. Virgilio aveva espresso, per questo, la volontà che l'Eneide fosse distrutta dalle fiamme, ma Vario Rufo e Tucca, gli esecutori testamentari, la consegnarono ad Augusto, il quale ordinò che fosse pubblicata senza alcuna correzione, nonostante qualche incoerenza e 58 versi incompiuti, e avesse la massima divulgazione possibile: l'Eneide rappresentava infatti il poema da lui tanto atteso.
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L'Eneide (29-19 a.C.), poema epico di 12 libri, narra le peregrinazioni di Enea e gli scontri da lui sostenuti contro i latini per dare vita a un nuovo popolo, che avrebbe in seguito fondato Roma. L'opera fu composta nell'ultimo decennio di vita di Virgilio e rimase incompiuta perché la morte del poeta troncò il lavoro di rielaborazione e rifinitura. Virgilio aveva espresso, per questo, la volontà che l'Eneide fosse distrutta dalle fiamme, ma Vario Rufo e Tucca, gli esecutori testamentari, la consegnarono ad Augusto, il quale ordinò che fosse pubblicata senza alcuna correzione, nonostante qualche incoerenza e 58 versi incompiuti, e avesse la massima divulgazione possibile: l'Eneide rappresentava infatti il poema da lui tanto atteso.
La composizione
fu lunga e travagliata perché Virgilio non possedeva una tradizione alla quale
potesse rifarsi e perciò doveva scegliere fra le molte versioni del mito,
narrare il crollo di una città antenata di Roma, creare un “padre
fondatore”, esule ed errante.
Era necessario rappresentarlo
come un combattente e accettare la tradizione secondo la quale una guerra
sanguinosa era stata combattuta fra i progenitori di Roma e quelli che
sarebbero stati i suoi alleati storici, i latini. Virgilio si stacca dal
presente, risale alla leggendaria caduta di Troia, alla quale fa risalire la
ancor lontana fondazione di Roma, ma dominante e certa nelle profezie. La guerra
di Troia è pertanto narrata per giustificare un unico esito voluto dagli
dei: Roma.
Virgilio innova
decisamente il poema epico: egli ambienta il suo poema in un'età mitica e
introduce la storia come digressione, sotto l'aspetto di visione profetica. La
leggenda di Enea rappresentava già la rivincita dei discendenti
troiani sui greci; con Virgilio essa assume una forma più coerente e
complessa: un ritorno all'antiqua mater, alla terra degli avi, leggenda
che parte dall'etrusca Cortona, da dove era partito Dardano, il capostipite dei
troiani.
Inoltre il poeta
perfezionava la tradizione mitica della nobilissima famiglia Giulia, e
cioè di Cesare e Augusto, che si gloriava di discendere da Iulo o Ascanio,
figlio di Enea, a sua volta figlio della dea Venere.
Nell'Eneide
Virgilio non crea figure di eroi esuberanti e baldanzosi, dotati di una
vitalità prorompente, come Omero; i suoi personaggi hanno carattere più
sfumato, sono approfonditi psicologicamente, spesso dipinti con
atteggiamento dolente e meditativo. Sono personaggi umani e non eroi
divinizzati come quelli di Omero. Enea non è un guerriero come Achille o
Ettore, o un eroe come Ulisse: egli è colui che accetta con rassegnazione il
destino e obbedisce, talvolta con dolore, al Fato.
Le sue
caratteristiche sono la pietas, cioè il senso del dovere e la
capacità di sacrificio.
Didone, la regina
di Cartagine che Enea è costretto dal Fato ad abbandonare e ne rappresenta
drammaticamente il suicidio con intenso pathos, rappresenta una
delle figure più complete di tutto il poema, presentata prima nella piena forza
del sentimento amoroso, poi nella crudezza della morte e, infine, nell'odio
inestinguibile, oltre la vita, per l'amante che l'ha tradita.
È la grandezza
di Roma che commuove Virgilio, non il trionfo di Enea.
I primi sei libri
raccontano la storia del viaggio di Enea da Troia all'Italia, mentre la seconda
parte del poema narra la guerra, dall'esito vittorioso, dei Troiani - alleati
con i Liguri, alcuni gruppi locali di Etruschi e con i Greci provenienti
dall'Arcadia - contro i Rutuli, i Latini e le popolazioni italiche in loro
appoggio, tra cui altri Etruschi.
L'orientamento
alessandrino verso il poema breve (sul modello delle Argonautiche) risalta
nella divisione dodici libri di Virgilio che riprende, in dimensione minore, i
poemi omerici: l'Odissea nei primi sei libri (tema del viaggio) e l'Iliade
nei secondi sei (tema della guerra). L'ordine delle vicende, rispetto ad
Omero, viene rovesciato e l'avventura viene trattata prima della guerra.
Era in uso presso
la poesia ellenistica limitarsi a dodici libri, invece dei ventiquattro di
impostazione classica: si può dunque pensare che Virgilio abbia ripreso questa
consuetudine in quanto i Romani non operavano una sostanziale scissione tra la
cultura classica e quella ellenistica.
Col suo modello
Virgilio instaura un rapporto di raffinata competizione innovativa.
Il viaggio di
Ulisse era un viaggio di ritorno, quello di Enea un viaggio di rifondazione
proiettato verso l'ignoto; la guerra nell'Iliade era una guerra di distruzione,
quella di Enea è rivolta alla costruzione di una nuova città e di una nuova
civiltà.
Enea, esule dalla
città di Troia, tenta di raggiungere il Lazio, per fondarvi una nuova città e
portare in Italia i Penati, una stirpe nobile e coraggiosa e una razza
che sarà conosciuta e rispettata da tutti i popoli, come stabilito da una
profezia. Parte con una flotta di venti navi, nonostante l'opposizione di Giunone.
La dea infatti è
adirata per tre motivi:
- perché ha perso
la gara di bellezza contro la madre di Enea;
- perché la sua
città favorita, Cartagine, è destinata ad essere distrutta dalla stirpe troiana
nata da una relazione tra Zeus ed Elettra;
- perché Ganimede
era stato scelto quale coppiere al posto di Ebe, la figlia di Giunone.
La flotta
troiana, dispersa da una tempesta provocata da Giunone, giunge sulla costa
libica dove sta sorgendo una nuova città: Cartagine.
Enea in compagnia
di Acate si avventura ad esplorare il luogo ed ecco che una giovane, in veste
di cacciatrice, su fa loro incontro e, dando notizie del luogo e del popolo,
conforta l’Eroe preoccupato. Appena essa si allontana, Enea riconosce dal
profumo e dalla chioma Venere, sua madre.
Antonio Balestra, Venere
cacciatrice appare a Enea e Acate
Il significato di Borè nella Cabala
Borè = Creatore, Unione delle
parole Bo – Rè, letteralmente: vieni e vedi
Borè = forza della natura, Luce, qualità del dare in
assoluto, di Amore +
Creatura = forza di ricevere quello che crea il Borè,
Desiderio di contenere la Luce -
Scopo della creazione = dilettare, portare Bene alle sue
creature
Il Fondamento è il Desiderio
Questo Bene primario non ha riempito il Desiderio, perché i
due elementi si annullano (+ -).
I cabalisti ci dicono infatti che la Creatura è già piena
di Bene e Amore, ma:
1) la creatura non sente tutto questo piacere. Se mi
mancasse questa Luce per una volta, allora lo sentirei. Il desiderio materiale
deve essere sostituito dal Desiderio per la Luce
2) non abbiamo un desiderio autonomo che proviene dalla Luce
che è in noi. Dobbiamo risvegliarlo
Il Borè deve occultare se stesso e la sua Luce attraverso i
5 mondi, e da un mondo all’altro il desiderio sente via via più se stesso e la propria
separazione, e sempre meno la Luce.
Si arriva al punto della disconnessione e del distacco
totale della Luce che porta alla materialità (“questo mondo”). Invece di
avere un Desiderio che ci unifica, abbiamo un desiderio che ci separa.
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