Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze, Norberto Bobbio

L'Eneide e Virgilio: storia e percorso artistico

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L'Eneide (29-19 a.C.), poema epico di 12 libri, narra le peregrinazioni di Enea e gli scontri da lui sostenuti contro i latini per dare vita a un nuovo popolo, che avrebbe in seguito fondato Roma. L'opera fu composta nell'ultimo decennio di vita di Virgilio e rimase incompiuta perché la morte del poeta troncò il lavoro di rielaborazione e rifinitura. Virgilio aveva espresso, per questo, la volontà che l'Eneide fosse distrutta dalle fiamme, ma Vario Rufo e Tucca, gli esecutori testamentari, la consegnarono ad Augusto, il quale ordinò che fosse pubblicata senza alcuna correzione, nonostante qualche incoerenza e 58 versi incompiuti, e avesse la massima divulgazione possibile: l'Eneide rappresentava infatti il poema da lui tanto atteso.

La composizione fu lunga e travagliata perché Virgilio non possedeva una tradizione alla quale potesse rifarsi e perciò doveva scegliere fra le molte versioni del mito, narrare il crollo di una città antenata di Roma, creare un “padre fondatore”, esule ed errante.
Era necessario rappresentarlo come un combattente e accettare la tradizione secondo la quale una guerra sanguinosa era stata combattuta fra i progenitori di Roma e quelli che sarebbero stati i suoi alleati storici, i latini. Virgilio si stacca dal presente, risale alla leggendaria caduta di Troia, alla quale fa risalire la ancor lontana fondazione di Roma, ma dominante e certa nelle profezie. La guerra di Troia è pertanto narrata per giustificare un unico esito voluto dagli dei: Roma.

Virgilio innova decisamente il poema epico: egli ambienta il suo poema in un'età mitica e introduce la storia come digressione, sotto l'aspetto di visione profetica. La leggenda di Enea rappresentava già la rivincita dei discendenti troiani sui greci; con Virgilio essa assume una forma più coerente e complessa: un ritorno all'antiqua mater, alla terra degli avi, leggenda che parte dall'etrusca Cortona, da dove era partito Dardano, il capostipite dei troiani.
Inoltre il poeta perfezionava la tradizione mitica della nobilissima famiglia Giulia, e cioè di Cesare e Augusto, che si gloriava di discendere da Iulo o Ascanio, figlio di Enea, a sua volta figlio della dea Venere.

Nell'Eneide Virgilio non crea figure di eroi esuberanti e baldanzosi, dotati di una vitalità prorompente, come Omero; i suoi personaggi hanno carattere più sfumato, sono approfonditi psicologicamente, spesso dipinti con atteggiamento dolente e meditativo. Sono personaggi umani e non eroi divinizzati come quelli di Omero. Enea non è un guerriero come Achille o Ettore, o un eroe come Ulisse: egli è colui che accetta con rassegnazione il destino e obbedisce, talvolta con dolore, al Fato.

Le sue caratteristiche sono la pietas, cioè il senso del dovere e la capacità di sacrificio.
Didone, la regina di Cartagine che Enea è costretto dal Fato ad abbandonare e ne rappresenta drammaticamente il suicidio con intenso pathos, rappresenta una delle figure più complete di tutto il poema, presentata prima nella piena forza del sentimento amoroso, poi nella crudezza della morte e, infine, nell'odio inestinguibile, oltre la vita, per l'amante che l'ha tradita.

È la grandezza di Roma che commuove Virgilio, non il trionfo di Enea.
I primi sei libri raccontano la storia del viaggio di Enea da Troia all'Italia, mentre la seconda parte del poema narra la guerra, dall'esito vittorioso, dei Troiani - alleati con i Liguri, alcuni gruppi locali di Etruschi e con i Greci provenienti dall'Arcadia - contro i Rutuli, i Latini e le popolazioni italiche in loro appoggio, tra cui altri Etruschi.

L'orientamento alessandrino verso il poema breve (sul modello delle Argonautiche) risalta nella divisione dodici libri di Virgilio che riprende, in dimensione minore, i poemi omerici: l'Odissea nei primi sei libri (tema del viaggio) e l'Iliade nei secondi sei (tema della guerra). L'ordine delle vicende, rispetto ad Omero, viene rovesciato e l'avventura viene trattata prima della guerra.
Era in uso presso la poesia ellenistica limitarsi a dodici libri, invece dei ventiquattro di impostazione classica: si può dunque pensare che Virgilio abbia ripreso questa consuetudine in quanto i Romani non operavano una sostanziale scissione tra la cultura classica e quella ellenistica.
Col suo modello Virgilio instaura un rapporto di raffinata competizione innovativa.
Il viaggio di Ulisse era un viaggio di ritorno, quello di Enea un viaggio di rifondazione proiettato verso l'ignoto; la guerra nell'Iliade era una guerra di distruzione, quella di Enea è rivolta alla costruzione di una nuova città e di una nuova civiltà.

Enea, esule dalla città di Troia, tenta di raggiungere il Lazio, per fondarvi una nuova città e portare in Italia i Penati, una stirpe nobile e coraggiosa e una razza che sarà conosciuta e rispettata da tutti i popoli, come stabilito da una profezia. Parte con una flotta di venti navi, nonostante l'opposizione di Giunone.
La dea infatti è adirata per tre motivi:
- perché ha perso la gara di bellezza contro la madre di Enea;
- perché la sua città favorita, Cartagine, è destinata ad essere distrutta dalla stirpe troiana nata da una relazione tra Zeus ed Elettra;
- perché Ganimede era stato scelto quale coppiere al posto di Ebe, la figlia di Giunone.
La flotta troiana, dispersa da una tempesta provocata da Giunone, giunge sulla costa libica dove sta sorgendo una nuova città: Cartagine.
Enea in compagnia di Acate si avventura ad esplorare il luogo ed ecco che una giovane, in veste di cacciatrice, su fa loro incontro e, dando notizie del luogo e del popolo, conforta l’Eroe preoccupato. Appena essa si allontana, Enea riconosce dal profumo e dalla chioma Venere, sua madre.

Antonio Balestra, Venere cacciatrice appare a Enea e Acate

Entrati in città e ritrovati i compagni creduti dispersi, vengono invitati alla reggia da Didone, la giovane e belle regina, toccata al cuore dalla freccia di Cupido su suggerimento di Giunone.
Durante il banchetto, Enea viene esortato a raccontare la caduta di Troia e le sue peregrinazioni

Nicolò Bambini, Enea racconta a Didone la caduta di Troia, 1712-14


e, nel silenzio della sala, si rivivono le ultime ore della città, gli orrori, le stragi, i dubbi e le tenerezze dell’Eroe che, su consiglio divino, fugge portando in salvo il padre Anchise (che in seguito morì a Drepano – odierna Trapani – stremato dalle fatiche), il figlioletto Ascanio e i Penati, perdendo però nella fuga, per le vie della città in fiamme, la moglie Creusa.

Giovanni Giorgi, Enea fugge da Troia con Anchise Ascanio e Creusa, 1712-14


Nel racconto di Enea suscita profonda commozione l’incontro, avvenuto dopo lo sbarco in Epiro, con Andromaca, la vedova di Ettore ora sposa di Eleno, re e indovino figlio di Priamo, e la dolcezza materna con cui la donna chiede notizie di Ascanio, il piccolo che tanto le ricorda il figlioletto morto.

Giovan Gioseffo Dal Sole, L’incontro di Enea e Ascanio con Andromaca e Eleno a Butrolo, 1712-14
 


Didone si rivolge alla sorella Anna ammettendo i sentimenti per Enea, che ha riacceso l'antica fiamma d'amore, il solo per cui violerebbe la promessa di fedeltà eterna fatta sulla tomba del marito Sicheo.
Giunone allora propone a Venere di combinare tra i due giovani il matrimonio; Venere, che intuisce il disegno di sviare Enea dall'Italia, accetta, pur facendo presente a Giunone la probabile avversità del Fato.
Didone grazie all’intervento divino è già presa d’amore per lo straniero e, durante una battuta di caccia, sorpresa da un temporale di rifugia con Enea in una spelonca, abbandonandosi al dolce sentimento.

Francesco Solimena, Enea e Didone si inoltrano verso la grotta, prima metà sec. XVIII

Ma Mercurio, mandato da Giove, ricorda all’Eroe che il suo Destino è quello di raggiungere l’Italia e fondare una nuova Troia e così, seppure a malincuore, egli obbedirà.

Marcantonio Franceschini, Mercurio che sveglia Enea, 1712-14 

Didone tenta di dissuaderlo ma invano, e riferita la decisione di dedicarsi alle arti magiche per alleviare tante pene, la regina ordina quindi alla sorella di mettere al rogo tutti i ricordi e le armi del naufrago nella sua casa e invoca gli dei. Nella notte, mentre la regina escogita il modo e il momento del suicidio per porre fine a tanti affanni, Enea, avvertito in sonno, fugge e, mentre all’alba le navi troiane appaiono già in alto mare, la regina lanciata una tremenda maledizione contro Enea e la sua discendenza,  per poi trafiggersi con la spada dell’Eroe sopra una pira.

Gregorio Lazzarini, Morte di Didone

Dopo varie peripezie, Enea e i suoi compagni sbarcano a Cuma, in Campania, dove l'eroe, memore dei consigli di Eleno, si reca nel tempio di Apollo ad interrogare la Sibilla Deifobe che, invasata dal dio durante il vaticinio, gli rivela che riuscirà ad arrivare nel Lazio, ma per ottenere la nuova patria dovrà affrontare odi e guerre, essendo inviso a Giunone.
L’Eroe chiede tra l’altro di poter scendere nell’Averno per parlare con il padre morto da un anno. Raccolto un ramoscello d’oro, prova indispensabile da superare per scendere nel mondo delle ombre in quanto chiave degli inferi, e incontrato finalmente Anchise, Enea ha il privilegio di vedere le anime dei discendenti che renderanno eterna Roma.

Giuseppe Gambarini, Enea stacca il ramo d’oro, 1712-14

Giunto nel Lazio Enea manda doni al re Latino che, riconoscendo nell’Eroe il genero predetto da un oracolo del dio Fauno, lo accoglie benevolo e gli promette in sposa la figlia Lavinia, già promessa dalla regina a Turno, semidio figlio della ninfa Venilia e giovane re dei Rutuli.
L’odio diffuso dagli dei è ormai nei cuori dei latini che preparano la guerra contro lo straniero; Enea, turbato viene incoraggiato dal dio Tiberino

Giacomo del Po, Il dio Tevere, 1712-14


e dalla madre Venere che ha fatto preparare per lui, da Vulcano, armi invincibili (e nello scudo rappresentate scene della futura storia di Roma, dalla nascita di Romolo e Remo al trionfo di Augusto dopo la vittoria di Azio).

Luigi Garzi, Venere nella fucina di Vulcano, 1712-14

Paolo De Matteis, Venere offre le armi ad Enea, 1712 


Presto Enea si trova ad affrontare, suo malgrado, schiere di nemici e altri lutti e dolori, fino a che, in uno scontro diretto uccide l’etrusco Mesenzio, re spregiatore dei numi e alleato dei Rutuli e, dopo aver offerto le sue armi come trofeo per Marte, lo stesso Turno, mentre gli dei del cielo concludono tra loro un’alleanza.

Gregorio Lazzarini, Battaglia di Enea e Mesenzio, 1712 

I Troiani possono così finalmente stabilirsi nel Lazio e trascorrere la loro esistenza nella nuova terra conquistata. La città di Roma, fondata nel 753 a.C., sorgerà sul Palatino per opera di Romolo, discendente di Enea, dopo l'uccisione del fratello Remo.

Il personaggio principale, Enea, Eroe pius, è uomo caro alla maggior parte degli dei: è un capo maturo e responsabile, si sottomette completamente al volere degli dei, rispetta e venera il padre, è attento verso il figlio, è leale ma ha momenti di incertezza e di dubbio. Per il resto Enea incarna le virtù dei grandi personaggi romani:
1. Coraggio;
2. Lealtà;
3. Giustizia;
4. Clemenza;
5. Pietas, ovvero devozione verso gli dei e rispetto verso gli uomini;
6. Pazienza;
7. Alto senso civico ed esaltazione dei valori di cittadino romano (quelli che Augusto stava cercando di ripristinare).
La pietas, una delle doti di Enea, rappresenta il senso del dovere, la devozione, il rispetto delle norme che regolano i rapporti tra gli dei e tra gli uomini. Solo occasionalmente l'eroe cede alla ferocia, come quando priva il giovane Tarquito della sepoltura, impedendo così all'anima del nemico morto di raggiungere i cancelli dell'Ade.
Enea inoltre non rispecchia fedelmente i modelli omerici, Achille ed Ulisse.
Egli non è curioso ma cerca solo il fato che lo fa andare avanti, è valoroso ma non cerca guerre.

Il poema è stato composto in un periodo in cui a Roma stavano avvenendo grandi cambiamenti politici e sociali: la Repubblica era caduta, la guerra civile aveva squassato la società e l'inaspettato ritorno ad un periodo di pace e prosperità, dopo parecchi anni durante i quali aveva regnato il caos, stava considerevolmente mutando il modo di rapportarsi alle tradizionali categorie sociali e consuetudini culturali. Per reagire a questo fenomeno, l'imperatore Augusto stava tentando di riportare la società verso i valori morali tradizionali di Roma e si ritiene che la composizione dell'Eneide sia specchio di questo intento.
Con l'Eneide, inoltre, si tenta di legittimare l'autorità di Giulio Cesare e, per estensione, di suo figlio adottivo Augusto e dei discendenti: il figlio di Enea Ascanio, chiamato Ilo (da Ilio, nome alternativo di Troia) viene rinominato Iulo e presentato da Virgilio come antenato della gens Iulia, la famiglia di Giulio Cesare.
  
I Troiani secondo il poema furono gli antenati dei Romani, mentre gli eserciti greci, che avevano assediato e saccheggiato Troia, erano i loro nemici: tuttavia, all'epoca in cui l'Eneide è stata scritta, i Greci facevano parte dell'Impero romano e, pur essendo un popolo rispettato e considerato per la sua cultura e civiltà, erano di fatto un popolo sottomesso. Virgilio risolve questo problema sostenendo che i Greci avevano battuto i Troiani solo grazie ad un trucco, il cavallo di legno, e non con una battaglia in campo aperto: in questo modo l'onore e la dignità dei Romani restavano salvi.

Il testo dell'Eneide è quasi interamente dedicato alla presentazione del concetto filosofico della contrapposizione. La più facile da riscontrare è quella tra Enea che, guidato da Giove, rappresenta la pietas intesa come devozione e capacità di ragionare con calma, e Didone e Turno che, guidati da Giunone, incarnano il furor, ovvero un modo di agire abbandonandosi alle emozioni senza ragionare.
Altre contrapposizioni possono essere facilmente individuate: il Fato contro l'Azione, Roma contro Cartagine, il maschile contro il femminile.
La pietas era il valore più importante di ogni onesto cittadino romano e consisteva nel rispetto di vari obblighi morali: gli obblighi verso gli dei, verso la patria, verso i propri compagni, e verso la propria famiglia. Virgilio, infatti, insiste sulle forti relazioni presenti tra padri e figli, e sul sentimento dell'amicizia al maschile tra commilitoni che talora può sconfinare nell'eros.

Il principale insegnamento dell'Eneide è che, per mezzo della pietas, si deve accettare l'operato degli dei come parte del destino. Virgilio tratteggiando il personaggio di Enea allude chiaramente ad Augusto e suggerisce che gli dei realizzano i loro piani attraverso gli uomini: Enea doveva fondare Roma, Augusto deve guidarla, ed entrambi devono sottostare a quello che è il loro destino.

Virgilio per la stesura dell'Eneide si ispira alla teoria orfico-pitagorica, la quale affermava che l'anima è immortale. Questa si fonda a sua volta sulla dottrina della metempsicosi, che consiste nella trasmigrazione dell'anima dopo la morte in un altro corpo. L'autore rifiuta quindi l'epicureismo, una filosofia elaborata da Epicuro che si basa sulla credenza che gli uomini siano formati da atomi, che con la morte si disgregano. Secondo questa teoria quindi non bisognerebbe aver timore della morte.

(il percorso artistico è lo stesso suggerito nel Palazzo Buonaccorsi di Macerata, e ricomprende tutti olii su tela)

Luca Giordano, Il duello di Enea e Turno

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