Il Frontone
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Corrisponde all’Arcano del Matto e al Segno dell’Ariete.
La circonferenza esterna reca la scritta “Tria sunt mirabilia deus et homo mater et virgo trinus et unus” = “Tre sono le meraviglie, il Dio-Uomo, la Vergine-Madre, l’Uno-Trino”.
Essi rappresentano sotto tre forme diverse, i fini prodigiosi cui tende l’alchimista che vuole realizzare le “nozze alchemiche”.
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Il paradosso dell’Uomo-Dio scalza la sensazione dell’uomo secondo cui egli essendo creato, non può essere creatore; alzandosi dal basso verso l’alto l’uomo divinizza sè stesso, la via ricercata dall’alchimista, attraverso i Piccoli Misteri e l’Immaginazione del Fuoco Creatore. Scendendo dall’alto verso il basso l’uomo invece crea l’altro paradosso di Dio che si fa carne in Cristo.
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Il paradosso della Vergine-Madre fa sì che si scenda al livello quotidiano della funzione sessuogenerativa propria della donna: l’Androgino del Dio-Uomo e il Ginandro della Vergine-Madre sono le due partti dell’Ermafrodito, sino alla partenogenesi, la riproduzione verginale. Col magistero alchemico si apre l’animo attraverso gli orifizi dei senso femminilizzati a tutte le possibilità dell’essere umano.
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Il paradosso dell’Uno-Trino/Uno-Tutto: «la metà è superiore al tutto» (Esiodo); nella Teoria degli Insiemi la contraddizione fondamentale è “la classe di tutte le classi che non sono membri di sè stesse”. La meta finale secondo Pawels e Bergier dei paradossi del transfinito di Cantor è l’Aleph di Jorge Luis Borges: il numero mistico che va la di là di tutte le esperienze matematiche comuni, è “maggiore dell’infinito, uguale a tutte le sue frazioni, elevabile alla potenza di sè stesso, il che conduce ancora ad un altro aleph”.
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La circonferenza interna reca la scritta “centrum in trigono centri” = “il centro è nel triangolo del centro”: è il quarto paradosso, quello della geometria multidimensionale. Se il centro del triangolo è il punto in cui microcosmicamente il triangolo è inscritto, la localizzazione del centro stesso procede verso l’infinito.
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I due triangoli orientati l’uno verso l’alto/Fuoco, l’altro verso il basso/Acqua, richiamando il principio «com’è in alto così è in basso, ma in senso inverso», genera il paradosso della profondità. «I ladri, gli omicidi, le prostitute sono i nostri Cristi, poichè grazie a loro possiamo dire di essere persone per bene» (Vivekananda): la demonizzazione del diverso è rinnegare qualcosa che giace nella nostra stessa coscienza. L’alchimista realizza tale identità degli opposti, verso una superiore amoralità (candore della scelta etica), Perfetto Ermafrodito che assomma in maniera equidistante i due sessi.
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L’Architrave
Rappresenta gli Occhi, la Magia della Visione.
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Il settore superiore ha la scritta ebraica “Ruch alhim” = “Spiritus Dei” = Soffio Cosmico; in senso alchemico: inspirazione-condensazione, e espirazione-sciogliemeto (solve et coagula). Crowley mette in rilievo che “Ruach” significa “ciò che si muove o ruota” (soffio divino e mente circolare), come il respiro della mente che ritorna sempre su sè stesso, e per questo deve essere stimolato dall’Intuizione.
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Nel settore inferiore si legge “Horti magici ingressum hesperius custodit draco et sine alcide colchidas delicias non gustasset jason” = “Un Drago custodisce l’ingresso del giardino magico delle Esperidi e senza Alcide (Ercole), Giasone non avrebbe degustato le delizie del Colchide” (il geroglifico ermetico richiama l’Arcano XI La Forza col Segno corrispondente, il Leone).
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Il Drago, di natura doppia (alato per portare verso i gradi alti in Aria, e serpente sulla Terra pronto ad attaccare) si può vincere grazie alla Potenza (Ercole). La conquista di Giasone (attraverso gli Argonauti) del Vello d’Oro è un testo alchemico egizio: Giasone cercava la “veste di fuoco”, trofeo della Rubedo. Il Serpente tagliato a pezzi o crecefisso è la vittoria sul mentale, attraverso la trasformazione delle fluttuazioni del pensiero, con gli infiniti possibili visti dall’alto e vissuti dal basso.
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Gli stipiti
Vi sono raffigurati i Segni astrologico-alchemici.
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Stipite destro alto, Giove-occhio, IX L’Eremita:
“Diameter sphaerae thau circuli crux orbis non orbis prosunt” = “Il diametro della sfera, il circolo del thau, la croce del globo non giovano ai ciechi, ai non iniziati”.
L’Iniziazione è la capacità di leggere i Simboli; la poesia del crogiuolo implica la dissoluzione della ragione (“Ciò di cui non si può parlare si deve tacere”, Wittgenstein) e il linguaggio diventa figura. Infinite sostanze mutano verso infinite forme.
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Stipite destro mediano, Venere-cuore, XII L’appeso:
“Si feceris volare terram super caput tuum eius pennis aquas torrentum convertes in petram” = “Se farai volare la terra sopra la testa, con le sue penne convertirai le acque dei torrenti”.
Atlante che regge il mondo, la vittoria sulla legge di gravitazione: è la metafora del ribaltamento sensoriale. La situazione finale è quella dell’Appeso con uno stato di volontaria impotenza apparente, che, nel congelamento dei modi comuni di intendere, prepara all’azione transumana.
Nel glifo di Venere la simbologia della fusione e della trasmutazione dei quattro elementi ritorna: gli elementi circolano in amore tra loro.
L’acqua spegne il fuoco, il fuoco brucia il metallo, il metallo distrugge il legno, il legno distrugge la terra (reciproca distruzione); il legno alimenta il fuoco, il fuoco genera la terra, la terra produce il metallo, il metallo produce l’acqua, l’acqua produce il legno (reciproca produzione).
Nella teoria occidentale, Empedocle riprende i 5 Elementi cinesi e si basa sui 4 Elementi, Aristotele la consacra, ricalcando Jienatuo (frilosofo dell’antica India) che aveva collocato il vento al posto dell’Aria.
Nella ruota cosmica gli elementi leggeri vincono i pesanti e viceversa (volatilizzazione alchemica).
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Stipite destro basso, Sole-genitali, I Il Matto:
“Filius noster mortuus vivit rex ab igne redit et coniugio gaudet occulto” = “Il figlio nostro morto vive, torna dal fuoco Re, e gode del congiungimento occulto”.
L’iniziato è il Matto dell’Essere, percorre la sua via tra la vita e la morte.
L’eternità è quella dell’attimo, degli infiniti attimi; è la visione di una misura limitata del vivere che si espande all’infinito, proprio nella consapevolezza del limite fisico, con riconquista di tutti gli attimi, preziosi come gli innumerevoli granelli di sabbia aurea sul mare baciato dal sole.
La coscienza della putredine è il puntello magico che ribalta l’apparenza, come la Fenice ai piedi della croce dei quattro elementi (R+C) (“Fenice”, dal greco “phoinix” = “rosso porpora”): le scorie del Nero, purificate dall’Acqua Vergine, passano al begno del Re per diventare il perfetto Ermafrodito Signore del Fuoco.
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Stipite sinistro basso, Mercurio-genitali, II La Papessa:
“Azot et ingnis dealbando latonam veniet sine veste dianam” = “quando l’azoto e il fuoco imbiancano Latona Diana viene senza veste”.
La Papessa Latona, figlia del Gigante Ceo e di Febea, diviene l’amante di Zeus che la ingravida. Era, irata, la condannò a farla partorire Artemide-Diana a Ortigia, un luogo dove non splendeva il Sole dopo esser stata inseguita dal serpente Pitone. Latona = “lateo” = “sto nascosto, fuggo”, da cui viene poi fuori la luce artemidea, un Uomo vero (Guenon, XVIII Cap. “La Grande Triade”): un uomo profondo, autentico, al di sopra degli infiniti possibili, ma ancora legato al suo tempo e alla sua storia.
Latona è il Mercurio negativo che, con Azoto e Fuoco, si purifica in zolfo bianco, sino a Diana, principio femmineo e simbolo dello zolfo puro. È la fine dell’Albedo-Latte di Vergine-Argento.
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Stipite sinistro mediano, Marte-cuore, XIII La Morte:
“Qui scit comburere aqua et lavare igne facit de terra coelum et de coelo terram pretiosam” = “Chi sa bruciare acqua e lavare col fuoco fa della terra il cielo e del cielo la terra preziosa”.
L’Ouroboros fa sì che l’acqua bruci e il cielo lavi (in correlazione con lo stipite mediano destro del panta rei cosmico). In natura nulla si crea e nulla si distrugge. Opera al Rosso, Rebis (“due cose in una”): l’acqua è il fuoco, il fuoco è l’acqua; la terra il cielo, il cielo la terra. L’Enigma della Salamandra, che vive tra le fiamme e si nutre del fuoco, è finalmente sciolto.
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Stipite sinistro altro, Saturno-Occhio, XV Il Diavolo:
“Quando in tua domo nigri corvi parturient albas columbas tunc vocaberis sapiens” = “Quando nella tua casa i corvi neri partoriranno bianche colombe, allora sarai chiamato sapiente”.
Bisogna scendere dentro di sè, nella nigredo, scovare il Baphomet templare e affrontarlo, per poi risalire attraverso la coda.
La purificazione finale non è la conquista della morale assoluta del proprio tempo e della propria gente, quanto piuttosto il librarsi al di sopra di tutte le etiche, al di là del bene e del male. Una catarsi.
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La Soglia
Sagittario-ginocchio/piede, VII Il Carro.
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“Si sedes non is” = “Se siedi, non vai”. Letto in senso inverso “Si non sedes is” = Se non siedi vai”.
Il Carro evidenzia l’ambivalenza moto-stasi: se il cocchiere si alza e dà energia alle redini innesca l’energia che muove il Carro, altrimenti no; una volta generato il movimento può sedere e lasciarsi trainare in un moto d’inerzia all’infinito, fino al sorgere di un nuovo ostacolo.
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Il Gradino
Toro-piede, XXI Il Mondo.
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“Est opus occultum veri sophi aperire terram ut germinet salutem pro populo” = “È opera occulta del vero saggio aprire la terra affinchè generi la salvezza per il popolo”.
Il segno è complesso e rimanda l’energia del Kundalini alla testa. “Visita interiora terrae”, aprendo il vaso del mondo con la forza del Toro che squarcia col ferro le zolle dei campi.
Non tutto è comprensibile da quelli che si trovano al di fuori dal cerchio magico, poichè l’uomo quotidiano, che poi è lo stesso saggio quando viva come tutti gli altri, rimane abbarbicato al suo esserci, alle leggi e alla morale del suo tempo terreno. Alla fine le costruzioni storiche, strutture contingenti della ragione, vengono relativizzate e annullate le une nelle altre e l’essere si scopre potenzialità pura nel tutto.
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Il Vescovo di Worcester, Johan Tornhotough (1551-1641), descrive (trattato del 1617) l’Opera come trattamento della materia prima (il Nulla), la produzione dell’acqua celeste (il Qualcosa), la conquista della pietra filosofale e della resurrezione (il Tutto).
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Epigrafe all’interno della Villa
“Hoc in rure, caeli rore, fusis aequis, physis aquis, solum fractum, reddit fructum, dum cum sale nitri, ac sole, surgunt fumi sparsi fimi, istud nemus, parvus numus, tenet forma semper firma, dum sunt orte sine arte vites, pira, et poma pura, habens lacum, prope lucum, ubi lupus non, sed lepus saepe ludit; dum non laedit mites oves, atque aves; canis custos inter castos agnos feras mittit foras, et est aegri hujus agri aer solus vera salus, replens herbis vias urbis. Sulci sati dant pro siti scyphos vini. Intro veni, vir non vanus. Extra Venus, vobis, fures, claudo fores. Labe lotus, biba laetus meri mare, bacchi more. Inter uvas, si vis, ovas, et quod cupis, gratis capis. Tibi paro, corde puro, quicquid putas, a me petas. Dant hic apes claras opes dulcis mellis, semper mollis. Hic in sylvae umbra salve tu, qui luges. Nunc si leges notas istas, stans hic aestas, vere mista; fronte moesta nunquam fleres; inter flores si maneres, nec manares inter fletus, dum hic flatus aurae spirant, unde sperant mestae mentes inter montes, inter colles, inter calles, et in valle hujus villae, ubi vallus claudit vellus. Bonum omen, semper amen. Etiam petrae dum a putre surgunt patre, ita notas, hic vix natus, in hac porta, luto parta, tempus ridet, brevi rodet.”
In questa villa, rugiada di cielo, dai campi arati e dalle acque correnti, la terra dissodata dà frutto, mentre per il salnitro e per il sole s’alza il fumo del letame sparso. Questo bosco, di poca entità, immutabile conserva sempre l’aspetto, mentre sono nati spontaneamente viti, peri e frutti schietti. E vi è un lago, vicino al bosco, dove non il lupo, ma la lepre gioca spesso; e non lede le pecore miti e gli uccelli; il cane custode fra gli agnelli innocenti mette in fuga le fiere, e soltanto l’aria di questa campagna è mezzo di guarigione per il malato, e riempe di verdure le vie della città. I solchi coltivati danno coppe di vino, per la sete. Entra, uomo sincero. Fuori Venere. A voi, ladri, chiudo le porte. Bevi lieto, a profusione, vino sincero, secondo il costume di Bacco. Tra le uve, se tu vuoi, esulta, e prendi liberamente tutto ciò che desideri. A te preparo, con cuore schietto, qualcunque cosa tu voglia chiedermi. Qui le chiare api forniscono in abbondanza dolce miele, sempre morbido. Salve a te, che qui piangi nell’ombra della selva. Se leggi ora questi segni stando qui l’estate mista alla primavera; mai piangeresti con la fronte mesta, se restassi tra i fiori, nè gronderesti di lacrime, mentre qui soffiano le brezze, donde le anime malinconiche sperano fra i monti, fra i colli, fra i sentieri, e nella vallata di questa villa, dove una palizzata recinge le pecore. Ti faccio buon augurio, così sia per sempre. Ma tu, appena lo potrai, scrivi qui, su questa porta, generata dal fango – perchè le pietre nascono dalla putrefazione – che il tempo sorride, ma in breve tempo distrugge ogni cosa.
Dalla Nigredo (letame sparso) si ascende al Sole, Oro potabile. L’augurio finale è di vivere il mondo come se fosse un’eterna, dolce primavera, mantenendo nel fondo della coscienza il senso della fine di ogni cosa.
Per creare il Tutto e gioire, l’Alchimista deve saper distruggere il Tutto, alleandosi e immedesimandosi al tempo del Nulla.
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CUM SOLO
SALE ET
SOLE SILE
SOPHORUM LAPIS NON
DATOR
LUPIS
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“Resta tranquillo con il solo sale e con il sole. La Pietra dei Saggi non è data ai lupi.”
Il Sale è il simbolo della Saggezza Infinita, il Sole della Solitudine. La Pietra dei Saggi non è data ai lupi, perchè questi, avendo in sè il segreto della solitudine, nascono già con i poteri della trasmutazione.
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QUI POTENTI
NATURAE ARCANA
REVELAT
MORTEM
QUAERIT
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“Colui che rivela gli arcani della natura al potente cerca egli stesso la morte”.
Il segreto dell’Opera è la riservatezza delle operazioni magiche; mostrarlo al popolo è pericolo, al potente letale. Serve un gioco di pazienza, un’armonizzazione intima e silente. È il dire-non dire.
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I sette libri dei supremi insegnamenti magici, Paracelso
“Della trasmutazione dei metalli e delle epoche propizie.
Per trasmutare l’oro in argento inizierai l’Opera nell’ora della Luna, allorchè questa occupa il 6° grado del Cancro, sempre che tu comprenda bene la tavola di trasmutazione dei metalli.
Saturno-piombo
Giove-stagno
Marte-ferro
Sole-oro
Venere-rame
Mercurio-idrargirio (mercurio)
Luna-argento”
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Von Helmont
“Si sublima sei volte dello zolfo allo stato di natura, ed una settima con puro cinabro, poi vi si aggiunge limatura di argento nel crogiuolo, esponendolo ad un fuoco costante di 16 ore: quando è raffreddata si polverizza e si mescola; si ripete tal sublimazione e polverizzazione per tre volte consecutive.
In fine alla quarta sublimazione si troverà in fondo al crogiolo un dischetto bianco e traslucido, quale una perla, che si scioglie nell’aceto di vini e si distilli; il risultato della distillazione avrà perduto la lucidezza perlacea e sarà come d’un bianco denso di amido; polverizzata si mescoli con spirito di vino e si filtri di nuovo per renderla fissa. Questo corpo fisso si mescola con borace, cera e polvere d’argento e si filtra altre sette volte e così si ottiene la Pietra Filosofale, che proiettata su qualunque metallo in fusione, lo deve subito mutar in oro.”
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Il libro infernale. Tesoro delle scienze occulte.
“Acqua gloriosa per la preparazione dell’oro potabile.
Occorrono due libbre di mercurio crudo e quattro libbre di vetriolo Roma. Lavare il mercurio con aceto forte e sale comune, tanto da ridurlo chiaro e risplendente come uno specchio, poi asciugare con un panno o una spugna per togliere tutta la umidità.
Seccare il vetriolo al sole o al fuoco lentamente finchè sia ridotto in cenere bianca.
Prendere quindi una libbra di detto mercurio, due di vetriolo, una di sale comune disciolto, lavato e congelato, e mettere tutto su una pietra pulita, lasciando le varie sostanze riposare.
In breve tempo il mercurio si mescolerà con la cenere di vetriolo e col sale.
Mettere l’amalgama in una bottiglia di vetro piuttosto larga, collocare la bottiglia entro una casseruola piena di cenere e di arena, ed esporre il tutto a un fuoco blando, fino che sia evaporata dalla amalgama la umidità, aumentando gradatamente il fuoco. Quando il mercurio sia salito aderendo alla parete della bottiglia, bianco come neve e risplendente come cristallo, lasciarlo raffreddare per poi cavare il mercurio raffinato.
Prendere quindi una libbra e mezza del medesimo vetriolo, otto once di sale, mescolare col sublimato questi ingredienti ponendoli a raffinare nella maniera precedentemente indicata. Questa operazione si ripete sette volte, aggiungendo sempre sale nuovo, vetriolo romano e bagnando il miscuglio.
Fatto questo, avendo già pronto l’erba lunaria filosofica, della quale tutti i sapienti hanno trattato nei loro libri, si estrarrà da detta erba il vino rosso chiamato liquore di lunaria, seguendo la formola qui sotto indicata:
Prendere due libbre di detta lunaria, metterle in una storta di vetro di media capacità lascinado i due terzi della storta vuoti e otturandola ermeticamente in tutte le sue aperture. Esporla alla fiamma del fornello degli alchimisti, avendo cura in principio di mantenere una temperatura media, aumentandola gradualmente, mano mano che dal recipiente stilla un’acqua rossa e densa come il miele. Quando cesserà la distillazione ritirare il recipiente dal fuoco e lasciare raffreddare per tre giorni il liquido ottenuto, conservandolo come una acquavite divina. È il famoso e magico liquore chiamato da Aristotile e da Raimondo Lullo nigrum, nigrus, nigro.
Estratto il liquore, i residui depositati in fondo alla storta si gettano via.
Per estrarre lo spirito del detto vino se ne prende una libbra e si mette un vaso di vetro fornito di lambicco, otturando bene il vaso perchè non abbia a evaporare il liquore. Si pone il vaso a bagnomaria e si espone a fuoco lento, tanto che il vaso si mantenga ad una media temperatura. Si vedrà colare dal vino un’acqua chiara come acqua comune. Si lascerà distillare durante quattro giorni sempre lentamente, avendovi molta cura perchè questa è l’acqua celeste, la quinta essenza del mercurio, la parte più pura e più incorruttibile di esso.
Questa acqua portentosa contiene ancora una parte superflua, chiamata flema, dalla quale deve venir liberata.
La purificazione dello spirito si ottiene nel modo seguente:
Si versa l’acqua distillata dal vino rosso in una bottiglia di vetro munita di lambicco e ben tappata e si pone a bagnomaria e la si fa distillare, togliendo dalla bottiglia il residuo conservandolo a parte. Lo spirito si rettifica cinque volte, ripetendo cinque volte questa operazione, qualche alchimista lo rettificava sette volte.
Essa è dotata della più squisita flagranza.
Con questa acqua si fabbrica l’oro potabile considerato il rimedio universale.
Oro Potabile
Presa una data quantità di oro (calcinato secondo i sistemi dell’arte) e mescolato con altrettanta quantità di acqua gloriosa precedentemente descritta, si mette il miscuglio nella storta, badando di non esporlo al contatto con l’aria.
Si pone la storta sopra un recipiente largo, colmo di cenere, e lo si lascia così 24 ore a un fuoco lento, sufficiente a mantenere la cenere tiepida, non lasciandola mai raffreddare.
Trascorse le 24 ore si toglie la bottiglia dalla cenere e si mette a bagno maria, facendo sciogliere il contenuto durante due giorni e lasciandolo per un poco raffreddare. Il liquido, che si sarà formato nella storta, si passerà in un altro vaso di vetro, tappando bene il vaso lo si collocherà entro un bagno tiepido, perchè l’acqua ottenuta non deve raffreddarsi totalmente.
Il residuo dell’oro rimasto nella storta non disciolto si sottopone alla operazione precedente e così via, finche tutto non sia trasformato in acqua gloriosa.
L’acqua gloriosa riunita tutta in una bottiglia si pone di nuovo in un bagno leggero, lasciando distillare l’acqua mercuriale, fino a quando nel fondo del vaso rimanga una poltiglia somigliante a cera molto molle.
Collocata questa materia in un sito umido e freddo, nello spazio di sei giorni si scioglierà in acqua chiara e risplendente. Questo è l’oro potabile del quale una goccia sola data a un moribondo è sufficiente a ridonargli la vita, e se vecchio con la vita a restituirgli la giovinezza, sempre che la si usi con la grazia di Dio.”
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Il libro di Artefio
“Il segreto dell’Oro di Artefio.
Parecchi mesi prima Artefio lo aveva riempito di piombo fuso, ed ogni giorno lo controllava, teso in una concentrazione spasmodica. Sembrava che sciogliesse e condensasse quella scura materia solo con la forza del pensiero. Ma quella sera, al calar del sole, Artefio aveva raggiunto uno strano stato di serenità, quasi di estasi. Fuori, la notte sembrava in attesa del prodigio.
L’oro che noi costruiamo è un simbolo e non può essere visto con gli occhi. Esso è insieme spirito e materia: è il Tutto.
«Ma noi lo raggiungeremo, Maestro?», chiese il discepolo avidamente. «Io lo raggiungerò. Tu non possiedi in te stesso la Forza».
Il vecchio si era steso sopra un giaciglio di stracci. La Luna gl’illuminava il viso. Mosse appena le labbra per rispondere: «Sciogli et coagula: questo io ho sempre fatto e questo fanno i sapienti. Condensare lo spirito in materia, sciogliere la materia e trasformarla in spirito.
La trasmutazione del piombo è stata, come per gli altri Sapienti, soltanto una pratica di concentrazione, la manifestazione esteriore di ciò che avveniva in me. E ora va’, vendi quell’oro: comprati una bottega e non cercare più. Il segreto per creare l’oro non segue le leggi della natura: sta nell’uomo, nel suo volere, nella sua saggezza».
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Il clinamen epicureo, fulco della visione patafisica, gemica il principio ermetico di identità degli opposti e quindi dell’assoluta uguaglianza di tutte le cose. «Tutto è la stessa cosa, quindi tutto va sufficientemente bene» (J. Torma). La patafisica è tutto e il contrario di tutto.
L’arte dell’alchimia è la capacità di trasmutare in oro qualunque metallo, anche quello vile come il piombo, o come la professionalità, l’accademia, il lavoro. «Un cervello veramente originale funziona esattamente come lo stomaco di uno struzzo: inghiotte di tutto, polverizza i sassi e torce i pezzi di ferro... Una personalità non assimila nulla, essa deforma; o meglio essa trasmuta, nel senso ascendente della gerarchia dei metalli».
«L’associazione delle parole si fa attraverso la dissociazione delle idee» (Prevert).
Il Chaos si riperpetua all’infinito attraverso un richiamo costante alla virtualità infinita dei significati.
«Nell’ordine del particolare ogni avvenimento è il risultato di un numero infinito di cause. Per conseguenza la soluzione d’ogni problema particolare, cioè l’attribuzione di causa ed effetto, si basa su una scelta arbitraria. Che differenza fa attribuire la gravitazione alla curvatura dello spazio piuttosto che all’attrazione elettromagnetica?» (Roger Shattuck).
«Alla fine tutte le teorie scientifiche vanno ugualmente bene e scienza, alchimia e fantascienza si equivalgono. Anzi per la patafisica la stessa relatività è relativa» (V. Dagnino).
«Il Mito sommo è quello platonico della caverna, regno di ombre e di universi immaginari. La rivelazione della Caverna libera dalla presuzione politica di creare la metafora ultima. L’idea di “verità” è la più immaginaria di tutte le soluzioni» (E. Baj). La verità del mondo è la metafora che è indifferente alla verità del reale.
La patafisica è la scienza dei crani a pera. Tramontata la tecnica di deformare il cranio per mezzo di bende, asticelle di legno, e tavolette di scorze d’albero praticata presso gli Egizi, presso i Peruviani e gli Unni, non rimane che “perizzare” la nostra coscienza con mezzi alchemici, per cercare di trarre per via spirituale il “terzo occhio” di Budda. Salto per clinamen, con spremute accurate e sciogliementi ritmati della coscienza, dalle “teste a pera” alle “teste d’uovo”.
Il Patafisico persegue il principio dell’energia pulita per liberarsi della “Merd(r)a d’Artista”. «La soluzione strategica patafisica contempla l’uso indiscriminato della “atomica pulita”, il nuovo tipo di bomba che in omaggio ai concetti igienici imperanti distrugge totalmente l’uomo, ma lascia intatte, senza disordine e sporcizia, le suppellettili, i portaceneri, le sedie, i vetri, le case, etc.».
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