Il Card. Hoyos tocca già nella prefazione quella che è l’essenza del libro di Amerio: “ciò che cambia sono adattamenti che non toccano le basi”. È quello che dice Amerio per il Vaticano II, che per quanto innovativo e radicale, non ha mutato quelli che sono i princìpi ultimi della Chiesa, la Tradizione, anche se la Chiesa cattolica è un’opera in continua costruzione.
Amerio non ha nessun desiderio del passato perché “tal desiderio implicherebbe un rigirare del divenire umano in sé stesso e dunque un compimento”.
Parla di variazione della Chiesa cattolica e non di crisi, proprio per dire che non c’è momento di rottura, non c’è il passaggio da un’essenza all’altra. Allo stesso tempo – puntualizza – non bisogna negare un certo smarrimento della Chiesa (che è anche un dissenso interno ad essa, sino ad intaccarne l’unità), anche se la cosa importante è rendersi conto che l’antagonismo che c’è fra una Chiesa ideale e la sua manifestazione nel mondo reale è solo un fatto accidentale.
Rileva anche come il periodo più profondo del Cristianesimo sia quello medievale, e anche qui i fatti negativi umani, non sono che effetti secondari.
La Chiesa contingentamente occupa anche la vita temporale e perciò è essa stessa influenzata da variazioni accidentali, ma ciò non vuol dire che l’essenza della Chiesa si deve conformare al mondo.
“La Chiesa diviene ma non muta”: non può nascere qualcosa di nuovo.
La crisi in quanto tale, e nel senso di Amerio, non può generare, causare alcun bene. Se anche dei beni occasionali vi fossero, non sono che eventi disgiunti e non sono generati dal male. La linea di causalità è diversa: bene e male restano con la loro intrinseca essenza.
Nel caso della Chiesa buono è il sistema, non i mali entrati nel sistema.
Detto questo, Amerio individua momenti di forte variazione nella storia della Chiesa:
- il Concilio di Gerusalemme (50 d.C.): non solo perché avviene la separazione formale tra ebraismo e cristianesimo, ma anche perché separa il giudizio sui principi dal giudizio sull’applicazione dei principi. Insomma, anche qui non sono i principi ad essere messi in discussione, ma la forma storica che tali principi prendono. La storicità viene distinta pertanto dal principio.
Vorrei notare una cosa: Amerio tende ad una coincidenza fra le parole dogma e principio come sinonimi credendo i dogmi della Chiesa cattolica (credo, più che cristiana in generale) come facenti parte di quei principi invariabili.
- Nicea (325 d.C.), dove si separa il dogmatico dal filosofico e dove i cristianesimo viene considerata religione soprannaturale e del mistero, in particolare del mistero dell’Incarnazione.
- il Medioevo, con la corruzione del costume clericale e il conflitto con l’Impero: anche qui non viene intaccata l’essenza della Chiesa.
- la Riforma, che ha le radici nel Rinascimento inteso storicamente come riscoperta di un uomo naturale e mondano. Questo, fa capire Amerio, significa che si dà preminenza al mondano (e anche uomo misura di tutte le cose), dimenticandosi dell’insegnamento del Cristianesimo, di un uomo Dio restauratore il cui fine è la glorificazione di Dio; e dimenticandosi dei momenti ascetici medievali e rinascimentali che hanno relativizzato il mondano.
“Il cattolicesimo prepone il logico a ogni forma dello spirito e la sua larghezza abbraccia una pluralità di valori”, laddove con la Riforma si mette in discussione il principio fondamentale della Chiesa: la sua autorità; prevale quindi il sentimento e il pirronismo, e la fede diventa persuasione.
Puntualizzo: l’obiettivo di Lutero, non era questo, ma il suo intento originario prima della Riforma storica era di rimanere all’interno della Chiesa e correggerne i difetti contingenti.